Recovery plan. Saremo all’altezza? – Di Maurizio Panizza

Investimenti e ricorsi storici. Cent'anni fa l'esperienza di Ottone Brentari

Si parla in queste settimane del cosiddetto «Recovery Plan» che porterà in Italia, in buona parte al Sud, ingenti risorse europee in tema di investimenti.
Giorni fa ne discutevano in tv (con molta preoccupazione) alcuni importanti ospiti che si auguravano che il Meridione sia stavolta all’altezza della sfida che tale piano epocale di investimenti e riforme comporterà per il Paese.
In effetti, dicevano i relatori, nei prossimi anni da parte dei territori - in particolar modo di tutti i politici, tecnici, amministratori e cittadini - ci sarà bisogno di coesione, organizzazione, capacità, rapidità e pure di tanta onestà.
Personalmente credo anch’io che un’occasione del genere non potrà mai più ripetersi e proprio per questo dovrà assolutamente essere colta al volo con un’azione mai riuscita prima, pena la credibilità dell’intero Paese e la messa a rischio di un‘economia già di per sé precaria.
 
Nel sentire quanto dicevano costoro, chissà perché mi è venuta in mente una testimonianza di 100 anni fa di Ottone Brentari, giornalista, storico, irredentista e interventista della Prima Guerra Mondiale (come Cesare Battisti), autore di numerose guide turistiche del Trentino.
Il Brentari, che aveva fatto di tutto affinché con la guerra il Sud Tirolo, l’attuale Trentino-Alto Adige, passasse sotto l’Italia, dopo appena due anni di amministrazione italiana (impiegati e dirigenti erano stati chiamati appositamente dal Regno) pare essersi pentito delle sue idee.
 
In una conferenza tenuta a Milano il 12 giugno 1920, così descrive la situazione dei territori annessi al Regno d’Italia, rispetto a quando facevano parte dell’Impero Asburgico.
«Le comunicazioni erano per tutte le valli, regolari e frequenti, mentre ora o mancano o difettano e idem per il servizio postale, telegrafico, telefonico, tutte tre prima dipendenti da unica direzione, regolari, rapidi e a buon mercato (…).
«Si sperperano milioni su milioni, facendo costar cento, quanto vale dieci, senza un piano organico, senza un concetto direttivo, senza una coscienza serena, facendo molte volte ciò che dovrà venir disfatto e rifatto (…).
 
Poi - in altro scritto - Brentari riporta la testimonianza di un amico.
«Per affari pubblici mi recai cento volte a Vienna (la capitale dell’Impero, ndr), senza bisogno di deputati presentatori, di raccomandazioni, di prenotazioni, di anticamere di mezze giornate. Di rado occorreva andare fin là, ma di solito bastava andare a cercare qualche direttore, picchiare all’uscio, entrare, presentarsi.
«Il personaggio sentiva, capiva di cosa si trattava e vi consegnava alla persona da cui l’affare dipendeva. Dopo due o tre giorni ricevevate la risposta. Adesso sono cose da impazzire! Girate di via in via, di palazzo in palazzo, di ufficio in ufficio, e quando finalmente si arriva al posto sospirato potete sentirvi rispondere: Le carte di lei? Mi par bene di aver visto qualcosa che si riferisce all’affare di cui ella mi parla; ma chi riuscirebbe più a trovar quelle carte? E’ passato tanto tempo! Sa che cosa deve fare? Rifaccia la domanda, rinnovi i documenti e stia certo che si vedrà, si provvederà!».

Maurizio Panizza