Prime esperienze, farfalle e bagnetti... – Di Stefania D'Elia
Perché, quando diventi mamma, non tutto è come immagini
Diventare mamma significa fare una serie infinita di «prime esperienze».
Il primo test positivo, la prima ecografia, il primo calcetto... Tutte cose che, piano piano ti cambiano dentro, trasformandosi nella mamma che sarai.
Ma per quanto ci si possa sforzare, quello che sta accadendo ha un sapore un po’ astratto. Leggi, ti informi, vivi sensazioni nuove e indescrivibili, ma che non ti appartengono del tutto.
Sei tu che le vivi, ma allo stesso tempo non sei tu.
La gravidanza rappresenta una sorta di limbo, in cui tutto è ovattato e perfetto.
Ti trovi a metà strada tra bruco e farfalla, una crisalide che aspetta impaziente di scoprire i colori che apparterranno alla sua nuova vita.
Certo gli ormoni danno una bella scossa alla tua vita e a quella di chi ti sta intorno, sopportare certi sbalzi d’umore metterebbero alla prova la resistenza del più innamorato dei mariti; certo la stanchezza e l’ingombro della pancia non ti permettono di compiere semplici movimenti che nella tua vita pre, facevi con un’agilità che, in quei momenti di pare impossibile; ma, la tua vita è sempre più o meno la stessa.
Se vuoi uscire esci, se vuoi stare sul divano ci stai, se vuoi dormire dormi, se vuoi mangiare mangi, il tutto senza eccessivi sensi di colpa, insomma, se hai fame è perchè devi mangiare per 2.
Passano i mesi e arrivi alla data del parto che ti senti pronta.. hai letto, studiato e ti sei informata per i nove mesi precedenti su quello che la tua vita sarà. Sei pronta a essere farfalla e ti sembra di aver fatto anche un buon lavoro.
Hai schematizzato il tutto in semplici punti. Il tuo compito è solo quello di seguirli alla lettera.
Del resto, un esserino di neanche 4 kg di cosa avrà mai bisogno se non mangiare e dormire?
Ma la realtà è che non c'è nulla, libro, racconto o esperienza che possa preparare a quello che ci aspetta all'arrivo a casa con un bambino.
Siamo geneticamente portate a pensare fino al parto e mai al dopo.
Che sia un caso oppure istinto di conservazione della specie umama è dal momento in cui la pancia è un accenno visibile solo agli sguardi più attenti, che rispondiamo a domande come «Quando è il termine?» Tanto che ci sentiamo autorizzate a pensare che sia quella la parte difficile.
Anche i corsi che ci ostiniamo a frequentare non aiutano, non dovrebbero essere «corsi di preparazione al parto» ma «corsi che preparano a essere genitori»
Chiamiamo termine quello che è solo un inizio.
A conti fatti il termine, il parto, il momento della nascita, è tra tutte la cosa più semplice.
Per quanto sia doloroso, lungo ed estenuante, hai la certezza che passa e che alla fine riceverai il tuo premio, potrai finalmente stringere tra le braccia il bambino che ha sognato e immaginato sin dalla prima ecografia.
Per quanto mi riguarda, i primi giorni sono stati la fisiologica continuazione del limbo in cui ero sprofondata durante la gravidanza.
Seduta sul letto osservavo Gaia nella sua culletta, era piccola e perfetta con le sue manine carnose come quelle delle bambole.
É incredibile come una mamma sia programmata per trovare suo figlio irresistibile, ai miei occhi quella piccola creaura che avevo custodito dentro di me per tanto tempo trascendeva la perfezione divina con i suoi grandi occhi azzurri, la boccuccia sempre spalancata e i pugnetti serrati.
Pure la cellulite che le bucherellava le coscette nude era irresistibile, la stessa cellulite che io avevo aborrito fin dall'adolescenza su di lei risultava incantevole.
E poi avevo mio marito accanto a me, a casa dal lavoro, abbiamo passato 2 splendide settimane a giocare alla famiglia del Mulino Bianco.
In più casa nostra era diventata un crocevia di parenti amici che arrivavano a tutte le ore del giorno con il loro carico di regali e complimenti, Il mio compito era sorridere, scartare pacchetti e tenere tra le braccia l’oggetto di tanta mistica adorazione, cosa potevo mai volere di più dalla vita?
Il problema è che poi le prime settimane sono passate... mi sono ritrovata da sola.
Per Loris erano terminate le ferie e parenti e amici avevano finito di sciamare a casa mia portando doni e conforto.
Mi sono svegliata così una mattina e c'eravamo solo io e lei.
Ho realizzato in quel momento una grande verità: ero a casa con una sconosciuta. Non solo, una sconosciuta molto esigente che tra l'altro si esprimeva in un’arcaica lingua dimenticata fatta di pianti e grugniuti.
E lì, davanti a un fagotto urlante di graziosa cellulite ho preso atto della fantastica, disorientate, incredibile e pazzesca avventura che era appena iniziata.
La crisalide si era schiusa, la farfalla era uscita, e io sono diventata una mamma.
Succede così, le cose, incuranti che tu sia pronta oppure no, cambiano, un giorno hai una pancia enorme che sbatte da tutte le parti, il giorno dopo ti ritrovi con un frugoletto rosa che ti guarda con gli occhioni più belli del mondo.
Ma mentre sei all'ospedale, la vita è bella.
Le ostetriche controllano che nelle tue zone basse tutto stia rientrando nei ranghi.
Se ti hanno dovuta aprire come una cozza perchè tuo figlio aveva un testone da guinness e non passava ti prestano la ciambella per sederti.
Le infermiere del nido ti aiutano nell'allattamento, ti mostrano come si cambia un pannolino, ti stanno vicino mentre gli fai in bagnetto.
Ed è proprio quello che a casa aspetti con trepidazione, non vedi l’ora che il moncone ombelicale cada , per fare il primo bellissimo, rilassante, bagnetto al tuo bambino.
Passi una settimana, sognando, immaginando il momento della sua prima immersione nelle acque rigeneratrici: i tuoi e i suoi occhi che si incrociano, l'amore e la beatitudine che aleggiano nel bagno.
Finalmente il moncone cade: è arrivato il momento del bagnetto..
Ti chiedi se sia il caso di aspettare il tuo lui.
Ma nel tuo intimo senti che quello deve essere un momento solo vostro tuo e del tuo bambino.
In fondo è da te che è uscito, sei tu che non riesci a sederti, se non con mezza chiappa sollevata per via dei punti, sei tu che ti ritrovi un seno più duro di un pallone da basket.
Il primo bagnetto è un tuo diritto di mamma.
Appoggi il tuo piccolo capolavoro sul fasciatoio e intanto riempi la vaschetta.
Quando è piena e la temperatura è giusta, spogli il nano, lentamente, vuoi assaporare ogni minuto di questa nuova bellissima esperienza.
Hai pronta, vicino al fasciatoio, la bottiglietta di olio alle mandorle, per fargli dopo un bagnetto un bel massaggio rilassante.
Adagi tuo figlio nella vaschetta, lui ti guarda per un secondo con gli occhi sbarrati, rimani sconcertata, non è beatitudine quello che cogli nel suo sguardo, è terrore, pure, profondo, primordiale. Parte la sirena e tu temi che i vicini chiamino gli assistenti sociali.
Tuo figlio è terrorizzato dall'acqua.
Tu sei terrorizzata da tuo figlio.
5 secondi il tempo di una sciacquata veloce e lo sistemi sul fasciatoio.
Nella foga rovesci l'olio di mandorle.
Lo vesti nel modo più rapido possibile, gli hai messo il body storto e la maglia sporca di rigurgito, ma decidi che non importa.
Gli asciughi i capelli, mentre lo calmi dandogli il latte.
Sei stremata dall'esperienza.
Tuo figlio è stremato dall'esperienza, ma pure traumatizzato e non vuole staccarsi da te.
Ti domandi come ha fatto a sopravvivere nuotando 9 mesi nel liquido amniotico.
Ripeti questa operazione una decina di volte.
Poi il rapporto con l'acqua migliora, decisamente.
Stefania D'Elia
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