Nouriel Roubini non ha dubbi: «L’Euro dovrà essere svalutato»

La vecchia cura della Lira riemerge nell'analisi dell'economista che ha previsto la «bolla»



La figura di Nouriel Roubini è una delle più significative dell'intero panorama che si è affacciato sul Festival dell'Economia 2010.
Noi l'abbiamo intervistato e pubblicheremo la sua e altre interviste nei prossimi giorni, perché è uno dei personaggi che più meritano attenzione.

Il 7 settembre del 2006 un suo intervento al Fondo monetario internazionale, dove avvertì del rischio di una bolla immobiliare nel mercato americano, lo portò ad essere guardato come un mentecatto.
Un anno dopo tornò all'FMI e questa volta fu accolto come una sorta di profeta.

Ecco perché Nouriel Roubini, docente di economia e business internazionale alla New York University, oltre che consultato dalla Casa Bianca - oggi protagonista dell'intervento su «Crisi della finanza: passato, presente e futuro» - è stato presentato da Tito Boeri, direttore scientifico del Festival, come l'economista che più di tutti è riuscito ad avvicinare e capire i fattori che erano alla base della crisi.

«Non ha avuto paura ad andare controcorrente», ha detto Boeri alla platea del teatro Sociale.
E non si è certo sottratto alle domande (e alla risposte) scomode. A cominciare da quel che ci tocca più da vicino: l'euro.



Nouriel Roubini non ha dubbi.
«L'euro dovrà essere svalutato. È una scelta necessaria, auspicabile, inevitabile. Perché in alcuni casi, penso alla Grecia, siamo molto vicini all'insolvenza. L'euro è arrivato a quotare 1,50 contro il dollaro. Ora è a 1,20. La parità (ma anche meno se pensiamo che nel 2002 il rapporto era 0,82) è antidoto al rischio di default, alla bancarotta, a quel che è già successo in Argentina.»

In altre parole, ha suggerito una delle cure periodicamente utilizzate dai governatori della nostra vecchia Lira. Per quanto riguarda l'Euro, non siamo tanto sicuri che la strada sia percorribile. Ma ne parleremo appunto nella nostra intervista di cui abbiamo accennato.

Economista che ha saputo mettere radici in molti paesi del mondo, Italia compresa (è passato per la Bocconi, anche), nato a Istanbul nel 1958, autore del libro in questi mesi tradotto da Feltrinelli («La crisi non è finita»), Roubini ha esordito facendo i complimenti al festival.
«Non c'è dubbio che anche la mancanza di informazioni e di conoscenze ha il suo peso in quel che accade e per questo sono salutari appuntamenti come quello di Trento.»

No, la crisi non è finita.
«Errato pensare di essere di fronte ad avvenimenti rari, eccezionali, al passaggio di un cigno nero che prima di ricomparire chissà quanto tempo passerà ancora. Questo secolo, specie per quel che riguarda le economie emergenti, è disseminato di crisi.
«Eppure non sono avvenimenti da accettare supinamente, in parte sono prevedibili e in qualche misura anche prevenibili. Va soprattutto compreso quel delicato passaggio rappresentato dal passaggio dal debito privato a quello pubblico. Rimettere a posto le cose ha costi altissimi, si pensi a quel che significa il salvataggio delle banche che in alcuni Paesi ha voluto dire metterle nella lista spese del bilancio pubblico.
«Le crisi hanno tratti comuni: il boom economico che precede il crollo, un incremento assurdo del valore della Borsa, la deviazione enorme dei prezzi dal valore reale, il rapido accumulo del debito. Chi è il colpevole? Sono in molti. Scarsi controlli delle istituzioni finanziarie, un certo lassismo, distorsioni nel comportamento dei banchieri, agenti di rating disinvolti, la stessa stampa che dipinge una realtà nella quale sembra sia tutto possibile senza accorgersi che molto si regge su un castello di carta.
«L'errore degli esperti che continuano a pensare alla crisi come a qualcosa di eccezionale e non come ad una regola.»

I rischi di default.
«Vi è stata una esuberanza psicologica, - prosegue Nouriel Roubini. - Tutti volevano stare nella bolla, poi hanno sbattuto la faccia nella realtà. La gente non impara niente, un festival come questo serve anche a far capire le cose. E la cosa è che c'è stato un eccesso di accumulo di debito.
«Guardate, la Grecia è solo la punta dell'iceberg, un piccolo assaggio. I grandi deficit di bilancio sono comuni a molti Paesi dell'Europa, specie a est e lo stesso mercato americano potrebbe avere problemi.
«È inevitabile ricorrere alla riduzione della spesa pubblica e all'aumento degli introiti. La cifra fatta per il debito complessivo europeo (750 miliardi di euro) è sintomatica se si pensa ai 30 che hanno portato il Brasile anni fa in zona fallimento.
«Certo, alcuni paesi - Usa, Giappone, Gran Bretagna - in possesso di monete mondiali possono monetizzare il deficit con inevitabile aumento dell'inflazione. Ma nelle zone deboli dell'euro (dalla Grecia alla Spagna) la BCE non può certo monetizzare i debiti. Se la Grecia non risolve il suo problema l'unica soluzione è il default o la ristrutturazione del debito pubblico.
«E poi, abbiamo garanzie che i governi riusciranno a far digerire le misure prese? Per evitare lo scompaginamento dell'unione monetaria europea si può pensare alla deflazione ma vuol dire recessione, non sopportabile per anni e con enormi costi sociali e politici oppure si deve ricorrere alle riforme strutturali, come in Germania.
«Ma servono 10 - 15 anni di tempo. Ecco perché dico che la svalutazione dell'euro appare come la soluzione necessaria, auspicabile e inevitabile. Per arrivare a quel buon equilibrio tra condizioni fiscali e politiche monetarie, per evitare deflazione e recessione.
«E poi, con l'austerità fiscale accompagnata dalla crescita economica aiutata da riforme strutturali, stimolare la domanda interna. Proprio come ha fatto la Germania.»