La Ruta de la Lana 6 / Di Elena Casagrande
La deviazione a Sigüenza è un tuffo nella storia, dal Doncel alla Battaglia di Lepanto, ma passa da luoghi poco abituati al passaggio dei pellegrini
Il primo gregge del cammino.
Link alla puntata precedente.
La lavanda si coltiva anche in alcune zone della Spagna
Sul «cerro» (colle) di Las Inviernas, dopo le case affrescate di Moranchel, il paesaggio si apre. Incontriamo il nostro primo gregge del cammino, tra i campi riarsi dal sole. Poco oltre, vicino a Mirabueno, le distese si popolano di inaspettati ciuffi di lavanda viola.
Alla «gasolinera» (stazione di servizio) un cartello reclamizza il menu del giorno. Con 10 euro a testa portano il mondo: insalata contadina, «pastel de merluza» (terrina di merluzzo), stufato d’agnello e «migas» (pane fritto) con uovo.
Col senno di poi dico che abbiamo fatto bene a «fare il pieno». Infatti la «casa rural» (l’agritur) di Mandayona è chiusa: niente pernotto e niente cena. Che fare? Al bar ci consigliano di aspettare il sindaco, per chiedere se c’è una soluzione. Concordiamo anche noi, visto che il paese è «final de etapa oficial» (sosta ufficiale).
La vista dal colle di Las Inviernas.
Mandayona, sosta ufficiale della Ruta de la Lana, ci lascia l’amaro in bocca
Quando arrivano i tizi del comune ci dicono di aspettare, perché devono spostare del materiale col furgone.
Dopo un’ora ritornano e ci portano, con fare sbrigativo, al «deportivo» (centro sportivo), fuori dal paese. Se ne stanno in silenzio. Peccato. La cosa che ci piace di più, in cammino, è parlare con la gente del posto. Al deportivo ci indicano un campo di basket. Ringraziamo.
«Sarà» – dico a Teo – «ma non se ne parla di dormire qui, senza poter chiudere la porta, in balia di chissà chi, su dei gradoni sporchi, vicino ai bidoni della spazzatura, nel nulla».
E poi preciso: «E tieni in conto che la piscina sta chiudendo, per cui non potremo fare neanche la doccia».
«Ad averlo saputo avremmo dovuto incamminarci prima per Sigüenza» – conclude Teo.
I campi di lavanda di Mirabueno.
Decidiamo di deviare a Sigüenza, per andare a dormire lì e per visitarla
Così ricominciamo a marciare. Da qui manca ancora molto per la mitica città del Doncel e abbiamo già fatto 26 chilometri. Proseguiamo per un po’. Un cartello segnala il Camino del Cid.
Ad un certo punto mi devo fermare. Mi appoggio ad un guard rail, perché mi fa male un piede. Teo prova a fermare qualcuno. Passa una berlina nuova.
«Ovvio che non si ferma, capisco» – sussurro. Invece il suo conducente ci ripensa e torna indietro.
Miguel da Madrid sta rientrando dalla moglie a Sigüenza, città natale dei suoceri. L’estate abitano qui. Suo fratello è un giovane prete che ha fatto il cammino di Santiago e comprende la situazione.
Ci fa salire e ci porta in cima al borgo, davanti al Castello, oggi Parador de Turismo (hotel storico).
Teo ed io concordiamo sul da farsi: «dormiamo qui».
Miguel lo sentiamo ancora. La sua famiglia si è allargata ed ora ha tre figli meravigliosi.
Il Castello – Parador di Sigüenza.
Il monumento funebre del Doncel è riportato in tutti i libri di storia dell’arte
Sigüenza non è sul cammino della lana (che, invece, va diritto ad Atienza), ma il suo incredibile patrimonio storico giustifica la deviazione. Servono almeno un paio di giorni per visitarla.
Staremo qui due notti. Prenotiamo le visite all’ufficio del turismo. La Cattedrale, quasi una fortezza, è dedicata a Santa Maria Maggiore.
Il suo monumento più famoso è il sepolcro cinquecentesco del Doncel, cavaliere dell’Ordine di Santiago.
Chi non ricorda la croce rossa della sua armatura sui libri di storia dell’arte? Don Martín Vásquez de Arce morì in battaglia a soli 25 anni.
Era un uomo colto e sensibile. Lo evidenzia la sua postura, così elegante e naturale. Ha tra le mani un libro aperto a metà, come la sua giovane vita, spezzata in due a Granada, durante la Riconquista.
E quel libro è anche un monito per il fratello: «Ascolta nostra madre: meglio studiare, che andare in guerra».
Il monumento funebre del Doncel.
La mostra Atempora mi dà modo di ammirare i reperti della Battaglia di Lepanto
In Cattedrale, oltre alla cappella di Santa Liberata e al magnifico coro ligneo, veniamo stupiti dalla Sacristía de las Cabezas (Sacrestia delle Teste).
È chiamata così perché il soffitto è costellato da 304 teste di marmo grandi e da 3.000 testine più piccole.
Mai visto nulla di simile! Ma quello che, inaspettatamente, finisce per emozionarmi di più è la bandiera navale della Lega Santa.
Solitamente si trova a Toledo (assieme ad altri 3 «pendónes», molto più grandi), ma grazie alla mostra Atempora è stata portata qui.
La guardo ammirata, immaginandola sventolare sulle navi cristiane, il 7 ottobre 1571, festa della Vergine del Rosario.
Cervantes, che partecipò alla Battaglia di Lepanto, nel prologo della seconda parte del Don Quijote (don Chisciotte), la descrisse così: «La più alta occasione di gloria che abbiano visto i secoli passati ed i presenti e che quelli futuri non possono nemmeno sperare di vedere».
La Cattedrale di Sigüenza.
Al Diocesano trovo una bellissima tela del pittore Francisco de Zurbarán
Anche il museo diocesano nasconde delle chicche: una su tutte l’Immacolata di Zurbarán, con gli angioletti rosa tutt’intorno, tra le nuvole bianche e blu e la Giralda di Siviglia in basso, a sinistra.
È uno dei miei pittori preferiti, fin dai tempi della Via de la Plata, quando passai per Fuente de Cantos.
Peccato non poterla fotografare! Usciti dal museo passeggiamo in centro, tra le sue viuzze, fino alla Casa del Doncel e poi fino alle chiese di San Vicente e di Santiago.
C’è anche un bel parco dove riposare. Per cena optiamo per un ristorantino davanti alla Cattedrale, perché ce la vogliamo guardare per un’ultima volta.
«Pisto manchego» (peperonata con pomodori e zucchine) e riso nero, il nostro menù.
Il castello di Palazuelos.
Nei paesini dopo Sigüenza tutti sembrano un po’ chiusi ad eccezione del pastore
Lasciamo Sigüenza dall’Alameda, attraversando la ferrovia e, tra i campi dorati, arriviamo a Palazuelos. È un paesino medievale con un bel castello.
Tra l’edera rampicante dei muri in pietra delle sue case svolazzano dei fogli che riportano delle poesie: tutto molto artistico. Di qui passa anche la Ruta del Quijote (Chisciotte).
Proseguiamo poi per La Olmeda de Jadraque. Saliamo in paese con un pastore che, dall’alto, ci fa apprezzare le saline del Río Salado. Sono bellissime, di un tenue color rosa-viola, lambito dal bianco del sale. Un ragazzino in bici ci dice di tornarcene a casa nostra.
Qui abitano pochissime persone (15 se sono tante!) e la mentalità è quella che è. Da Santamera, è tutta salita fino a Riofrio del Llano, dove mi fermo a preparare due panini, sulle panchine davanti alla fontana.
Nessuno ci parla. Un ragazzo gioca a tennis sulla facciata della chiesa. Indossa una maglietta dell’AS Roma. «Complimenti per la maglietta!» - gli dico e lo dico per davvero, visto che sono romanista! Ma lui tace.
«Peggio dei nostri montanari!» – dico a Teo.
Le saline de La Olmeda de Jadraque.
La sagra agostana di Atienza rende impossibile la visita al borgo
Da Riofrio si sale verso un falsopiano. Il sole brucia e mi viene l’eritema sulle gambe.
In fondo già si vede Atienza, uno dei più bei borghi medievali della Ruta de la Lana. Si staglia da lontano, col suo castello. Prima di entrarci facciamo una pausa fuori dal bosco. Di colpo sbuca un capriolo: il secondo, oggi.
Due anziani che incrociamo in fondo al paese ci indicano la strada più breve per il nostro hotel. Sono stanca e non vedo l’ora di arrivarci. C’è la sagra. Fatichiamo a farci strada tra la folla.
«Accidenti, quasi mi ammazzo! Deve esserci stata la festa della schiuma. Non riesco a stare in piedi» – sbotto con Teo, quando arrivo in Piazza del Grano.
E non va meglio nemmeno in Piazza di Spagna. Si scivola anche qui! Non ci resta che tornare in hotel e guardare i giochi olimpici di Rio.
Elena Casagrande - [email protected]
(La settima puntata de «La Ruta de la Lana» sarà pubblicata mercoledì 29 maggio 2024)
In fondo si vede Atienza.