Quella voglia di menare le mani che è dura a morire
Il corteo per Ramy si è trasformato in guerriglia urbana, ma ogni scusa è buona per scatenare guerriglie
L’incipit è stato ancora una volta la «solidarietà» nei confronti di Ramy, il ragazzo morto al termine di un inseguimento dei carabinieri.
Il corteo «Verità e giustizia per Ramy», che si è svolto nel pieno centro di Bologna, è finito in violenza, con scontri fra manifestanti e polizia, lanci di oggetti e danneggiamenti.
Quella che doveva essere una manifestazione pacifica si è trasformata in un campo di battaglia, con molti ragazzi, anche giovanissimi, che si sono scontrati con gli agenti in tenuta antisommossa.
La situazione è degenerata quando alcuni attivisti, reggendo uno striscione con la scritta «Giustizia per Ramy», si sono diretti verso via del Pratello, lanciando bottiglie e petardi contro le forze dell'or dine.
Ingenti i danni registrati lungo il percorso del corteo, dove sono stati rovesciati cassonetti e spaccate alcune vetrate come quella del negozio Vuitton in Galleria Cavour e di alcuni locali in via d'Azeglio.
Nelle cariche sono stati feriti dieci poliziotti, due invece i manifestanti fermati e portati in questura, prima di essere denunciati a piede libero.
Gli aspetti da affrontare sono tre.
Il primo riguarda il fatto in sé. Si tratta pur sempre di un ragazzo senza patente che ha rubato uno scooter, ha fatto salire dietro il suo amico Ramy e, quando i Carabinieri hanno provato a fermarlo, si è dato a una fuga folle.
Non sappiamo se i Carabinieri abbiano voluto o no speronare lo scooter – lo dirà la magistratura – ma il nocciolo della questione sta nel reato commesso e nel tentativo di sfuggire alle forze dell’Ordine.
Sicuramente nessuno si meritava di morire, tanto meno il ragazzo seduto dietro che con ogni probabilità avrà urlato spaventato al suo amico di fermarsi.
In queste proteste però si denunciano solo i Carabinieri e non il folle pilota, che fra l’altro è rimasto vivo, e che comunque avrà sulla coscienza la morte dell’amico
Questo sta a indicare come i giovani siano portati a condannare le divise apoditticamente, solo perché sono divise..
Il secondo sta negli atti di vandalismo che accompagnano queste manifestazioni. Bombe carta, petardi, lancio di oggetti, vandalismi e quant’altro.
E a nulla è servito l’appello del papà di Ramy che invocava di non essere violenti per ricordare il suo figliolo, unica vera vittima.
Questo sta a indicare che i giovani hanno sostanzialmente voglia di menare le mani e basta. Il piacere di fare danni. Di prendersela con ogni cosa che rappresenti il quieto vivere della maggior parte della gente.
Già che c’erano, se la sono presa anche con una sinagoga, perché gli ebrei sono comunque il nemico di tutto. Sembra di tornare agli anni Trenta…
Il terzo aspetto riguarda il «falso ideologico». Quei giovani stranieri che, scendendo in piazza scandiscono slogan come «vaffanculo Italia!», non hanno diritto di chiedere l’asilo politico al nostro Paese. E perfino i regolari dovrebbero rischiare di perdere la regolarità del loro permesso di stare in Italia.
Non è accettabile che si veda mordere la mano che ti aiuta.
Non sappiamo quanto sia stato preso in considerazione questo aspetto, ma la Digos dovrebbe identificare gli autori di frasi contro l’Italia. Questi non possono stare nell'Italia che disprezzano.
Non possono neanche essere rimandati a casa loro? Teniamoli in centri per il Rimpatrio, prima o poi dovremo pur trovare una soluzione al loro status di persone che sono qui perché sanno di non poter essere cacciati.
GdM