25 aprile 2025, l’intervento del sindaco di Trento
«Non c’è nessuna salvezza possibile nella neutralità e nell’isolamento»
Permettetemi di iniziare questa celebrazione nel ricordo di papa Francesco, scomparso solo pochi giorni fa. Era il papa degli ultimi e dei dimenticati: e questo ce lo ha reso caro, anche quando le sue parole erano scomode, urticanti.
Anche quando ci ha chiesto conto della nostra indifferenza, anzi della «globalizzazione dell’indifferenza» nei confronti dei drammi di oggi: i migranti in fondo al mar Mediterraneo, Gaza, l’Ucraina e la «terza guerra mondiale a pezzi», i poveri, i senza dimora che aveva voluto ospitare in un dormitorio a pochi metri dal colonnato di San Pietro.
In questo tempo spaesato, cinico, che normalizza gli orrori più indicibili, papa Francesco è stato il solo leader globale autorevole, l’unico capace di richiamarci ai principi fondamentali: che ogni vita conta, che la pace è un bene supremo, che i bambini hanno gli stessi diritti qualunque sia la loro nazionalità, che la Terra è l’unico pianeta a disposizione e dunque va preservata.
In verità, non dovrebbe sorprenderci il fatto che la celebrazione della festa della Liberazione prenda oggi le mosse dalle parole di un uomo di fede.
Perché la Resistenza è stata un movimento composito, capace di unire gli antifascisti di ogni appartenenza ideologica, culturale e religiosa: cattolici e comunisti, azionisti, socialisti e monarchici.
Del resto l’antifascismo era ed è tuttora ben più di un partito. È una scelta per la dignità di ogni uomo e per la democrazia pluralista, è il rifiuto di concepire un «noi» gerarchicamente superiore e in opposizione agli «altri», spogliati della loro umanità oltre che di ogni diritto.
Per tanti motivi, quest’anno l’anniversario della Liberazione è ben più di un appuntamento rituale.
Pesano certo gli ottant’anni passati dal giorno in cui il Comitato di liberazione Alta Italia impartì quell’ordine di insurrezione generale che diede la spallata decisiva al nazifascismo.
Proprio le otto decadi piene trascorse da quell’evento epocale ci hanno indotto a scegliere il teatro Sociale per queste celebrazioni in modo da dare la possibilità a quante più persone di partecipare, di ricordare le circostanze e le ragioni che sono alla base dell’Italia democratica.
Ma non sono solo i numeri e le date a rendere questo 25 aprile così prezioso, così importante per tutti coloro che amano la libertà, la giustizia, la solidarietà.
In questo preciso momento storico noi sentiamo che l’antifascismo è l’antidoto indispensabile a un veleno che si infiltra e dilaga anche in Europa, anche nei Paesi che consideravamo la patria della democrazia.
Il veleno è la rivendicazione orgogliosa della violazione dei diritti umani e del diritto internazionale, è l’esibizione della crudeltà, della disumanità, della discriminazione.
È il dileggio di tutti i contropoteri, dalla magistratura agli organi d’informazione, è la negazione del pluralismo, è la repressione del dissenso in nome di un presunto ordine illiberale.
Il veleno è la strategia di chi lavora per mettere i penultimi contro gli ultimi, così i primi restano al primo posto, sempre.
È la falsificazione della realtà, la manipolazione del significato delle parole, la diffusione irresponsabile dei discorsi d’odio che alimentano l’intolleranza.
È infine la tentazione di delegare le sorti del mondo a un capo, a un uomo forte e carismatico, a un potere plebiscitario svincolato dal controllo democratico.
Se questo è il male da cui oggi sorprendentemente dobbiamo guardarci, l’antifascismo del 25 aprile assomiglia piuttosto alla cura.
Non è un concetto astratto, non è solo un movimento storico: è “un’idea luminosa” (così lo definisce il detenuto Sandro Pertini in una lettera alla madre), capace di rischiarare e interpretare il presente.
L’antifascismo è nel Dna della nostra democrazia ed è all’origine della nostra Costituzione, la Carta mai del tutto attuata che ha garantito questi ottant’anni di pace.
Non è dunque per sterile nostalgia che oggi guardiamo indietro al periodo eroico della Liberazione.
A tenerci legati a quella fase storica è la consapevolezza che nella Resistenza troviamo ancora la bussola per orientarci nell’imprevedibilità di questi giorni complicati.
Se vogliamo continuare a onorare i partigiani, a camminare sulle loro orme, serve allora un’assunzione di responsabilità individuale capace di esprimersi in un’azione collettiva.
Perché, come ha scritto Giaime Pintor prima di morire a soli 24 anni, dilaniato da una mina tedesca, «non c’è nessuna salvezza possibile nella neutralità e nell’isolamento».
Non c’è nessuna salvezza possibile nella neutralità e nell’isolamento:
Mandiamo a memoria queste parole. Teniamole come un memento per i momenti difficili, per ritrovarci insieme quando si palesano tentazioni autoritarie, quando assistiamo alla negazione di quei valori di emancipazione e di uguaglianza che sono tra i cardini della Repubblica.
Avvertiamo tutti l’urgenza di tornare alla partecipazione, a una politica viva e propositiva, capace di immaginare il futuro non per pochi, non per una classe o una generazione o un’etnia, ma per tutti i viventi, per il pianeta.
Chiudo con un richiamo all’Europa, unita proprio da quei valori di libertà e giustizia che alimentarono, dalla Scandinavia all’Italia, la Resistenza dei partigiani in clandestinità.
Quell’orizzonte continentale, così ben delineato nel Manifesto di Ventotene, è l’unico capace di corrispondere ai sogni e alle ambizioni delle giovani generazioni.
Rinchiuderli nel ristretto campo del nazionalismo, negare la forza delle interconnessioni tra i Paesi significherebbe avviarci verso un’epoca di barriere, insicurezza e forse anche di guerre fratricide.
L’Europa immaginata a Ventotene da un collettivo di intellettuali dissidenti mandati al confino continua a parlarci: è quella del federalismo politico, della giustizia sociale, è l’Europa libera e solidale capace di contrastare gli aspetti più oscuri della sua stessa storia, dalla schiavitù al colonialismo alle mire imperialistiche.
Care cittadine, cari cittadini, questo giorno di festa assume il suo vero significato se siamo persuasi che la Resistenza non è mai finita, che l’antifascismo non è quello di ieri, che la democrazia non è acquisita per sempre: è un compito che ci attende ogni giorno.
Buona festa della Liberazione a tutti voi
Franco Ianeselli, sindaco di T.rento