Il metodo classico che si arricchisce col «peso del tempo»
Il Trentodoc ha presentato i suoi gioielli, le riserve, nella bellissima sede della Sosat
Stefano Berzi alla sede Sosat Trento - Foto Matteo Rensi.
Nella splendida cornice di Palazzo Bortolazzi, il miglior sommelier d’Italia dell’Associazione Italiana Sommelier 2021, Stefano Berzi, ha accompagnato gli ospiti del Trentodoc Festival in un viaggio alla scoperta delle riserve tra le bollicine di montagna.
Bottiglie speciali, che hanno affinato le proprie caratteristiche grazie al tempo, ma che, di quel tempo, non subiscono mai gli effetti negativi.
«Trentodoc è capace di migliorare senza mutare, – spiega. – Lo dimostra l’aspetto cromatico, sempre tendente al giallo-oro; lo dimostrano un corredo olfattivo sempre fruttato, anche se via via potenziato nel tempo, e un gusto sempre elegante, che mostra mai il sapore del territorio in cui cresce.»
È un «metodo classico» speciale, Trentodoc. A darne prova provata, con un percorso degustativo che si è strutturato come un vero e proprio viaggio, Berzi, che ha aggiunto così.
«Trentodoc parte da una caratteristica fortunata - oggi, col cambiamento climatico, più fortunata che mai - che è il fatto di crescere in altitudine.
«Sono 1.154 gli ettari di viticoltura ad esso votati (l’11% di quelli totali), il che ne fa, automaticamente un vino di nicchia, prodotto, sul territorio da 64 case spumantistiche.
«Lo Chardonnay è la varietà principe che lo compone, affiancata, per lo più da Pinot nero.
«La sua vera forza, tuttavia, è questa capacità di incrementare le caratteristiche gustative e aromatiche grazie all’autolisi (la sosta sui lieviti), senza acquisire mai quel sapore 'di pane' che essi portano con sé.»
Si è partiti quindi, nel percorso pensato per il Festival, da bottiglie riserva più giovani, come il Balter e il San Michael, con 72 mesi di sosta, fino ad arrivare ai più longevi Ferrari Riserva Lunelli, 96 mesi, e Aquila Reale di Cesarini Sforza, 100 mesi.
Composizioni diverse, aromaticità diverse, gusti e sapori diversi, che richiamano alla memoria - guidata dal sommelier - le più svariate note, dalle spezie, alle colazioni della mamma, fino a giungere ai cocktail più celebri, ma che mantengono caratteristiche costanti.
«La bollicina è sempre integrata nel sorso – continua infatti Berzi – il colore, nelle sue variazioni, tende sempre al giallo-oro per il bianco, mentre ad un rosa deciso per il rosé.»
In una variazione che somiglia a una sinfonia di sensazioni, gusti, immagini e metafore, quello che sembra certo è che «per Trentodoc, se degustato alla cieca, bendati, è difficile individuarne gli anni.
«È sempre elegante, fresco, non “mostra mai i muscoli”, lascia che a raccontare la sua storia sia sempre il richiamo - presente e chiaro per un palato attento - del territorio da cui proviene: dalla bassa quota (400-500 metri) alle elevature; dai terreni dal passato glaciale, a quelli calcarei e gessosi.»