«#(non)piove» di Massimo Parolini presentato al Vittoriale – Di Daniela Larentis

Il poemetto mette in scena un dialogo serrato tra d'Annunzio e Duse, ritornati, o semplicemente riapparsi, sulla terra ai giorni nostri – Intervista all’autore

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Massimo Parolini a Trento è molto conosciuto; insegnante di materie letterarie presso le scuole superiori del Trentino, curatore d’arte, laureato in Filosofia all’Università di Venezia Ca’ Foscari, per il Centro Universitario Teatrale di Venezia – nato su iniziativa di Giorgio Gaber – ha scritto e rappresentato le commedie «Il medico della peste» e «Svevo e Joyce».
Ha pubblicato la silloge «Non più martire in assenza d’ali» (Editoria Universitaria) sul tema della guerra nella ex Jugoslavia, premiato al Concorso Internazionale di Poesia «San Marco - Città di Venezia».
 
Splendida la sua raccolta di poesie dal titolo «La via cava», presentata innanzi a un folto ed entusiasta pubblico un paio di anni fa nella Sala degli affreschi della Biblioteca comunale di Trento, con intervento critico dello storico dell’arte dott. Roberto Pancheri e del teologo Mons. Lodovico Maule, seconda classificata al prestigioso Premio «Giovanni Pascoli - L’Ora di Barga» 2017.
Autore, inoltre, di un poemetto da poco presentato in occasione della festa del Vittoriale degli Italiani dal titolo «#(non)piove», edito da LietoColle, una, come lui stesso la definisce, «Passeggiata (di una giornata) semiseria (virtuale) di d'Annunzio e della Duse dal Vittoriale e gli asolani ai giorni nostri - mestamente - quotidiani».
 
È proprio Giordano Bruno Guerri, Presidente della Fondazione, a rivolgersi a Massimo Parolini, riguardo alla presentazione del suo poemetto.
«Caro professor Parolini, - scrive - mi sono accinto con allegria a leggere il suo divertissement dannunziano, convinto sempre che gli omaggi non seriosi sarebbero graditi al Comandante. Andando avanti nella lettura, però, un timore mi ha colto.
«Lei ricorda certamente che nel 1886 d’Annunzio pubblicò la silloge poetica intitolata Isaotta Guttadauro, in onore di una Isotta quattrocentesca, amante di Sigismondo Malatesta, signore di Rimini.
«Il volume, sontuosamente decorato dai suoi amici pittori, raccoglieva le liriche scritte dal 1883 al 1886, tutte improntate a una virtuosistica ricerca di soluzioni espressive di puro stampo parnassiano e alla volontà, come scrisse l’Autore, di “riprodurre in una vasta immagine la vita italiana del secolo XV, cantando le ballate alla maniera di Lorenzo il Magnifico”».
 
«In questo caso, qualche recensione positiva ci fu. Enrico Panzacchi parlò di una «lingua rinverdita talvolta fino ad una certa gustosa acerbità» e Nencioni si soffermò sugli esiti singolari prodotti dalla musicalità di alcuni versi, ma la prima edizione di 1.500 copie numerate rimase in parte invenduta, benché la propaganda dannunziana affermasse il contrario.
«In compenso abbondarono le stroncature e la beffa della parodia. Nei giorni precedenti l’uscita del volume il Corriere di Roma, diretto da Scarfoglio, pubblicò l’opera canzonatoria Risotto al pomidauro.
«L’autore si firmò Raphaele Pannunzio (ma era lo scrittore Giovanni Alfredo Cesareo) e ridicolizzò i preziosismi dell’autore oltre ad amplificare le voci sulla presunta tresca tra la moglie di Gabriele e Maffeo Sciarra. Ne scaturì un duello con Scarfoglio.
«D’Annunzio, che pure vantava anni di esercizio al Cicognini, e per di più aveva scritto sulla Tribuna come esperto di scherma, fu ferito ad un braccio e sconfitto: a suo dire di proposito.
«Certo è che molti, vedendo rinascere l’antica amicizia tra i due subito dopo la contesa, insinuarono che lo scontro fosse un’altra trovata pubblicitaria del poeta in difficoltà.
«Come che sia - e d'accordo con lei che d’Annunzio deve vivere nei nostri tempi - leggendo di versi hi-pop e di piss-up, di flash mob e di park urb mi ha preso il timore che fra noi potesse finire come con Scarfoglio. E avevo deciso di non scrivere un bel niente per lei.
«Ma ora mi accorgo di averlo già fatto, trascinato dal suo spirito e dal suo evidente amore per il Comandante.»
 
Paolo Puppa, ordinario di storia del teatro e dello spettacolo all'Università Ca’ Foscari di Venezia, autore di numerosi saggi, testi teatrali, e di libri di narrativa, nel suo intervento critico presenta il volume di Parolini.
«Nel moderno, ovvero nella tradizione novecentesca, di solito i classici si utilizzano o attraverso gesti irrituali e blasfemi, nell’accanimento di cesure e sottrazioni, per intenderci i baffi alla Gioconda ideati dall’estro dadaista, op-pure tramite l’accumulo meta discorsivo coll’accumulo ipercorretto dei materiali originari.
«È questo il metodo seguito da Massimo Parolini, in passato mio brillante studente cafoscarino, con predisposizione spiccata per la scrittura poetica, in prima fila nei corsi di storia del teatro che tenevo in quella sede. Adesso firma questa bizzarria, centrata su d’Annunzio e la Duse, che dialogano tra loro quasi come automi in trance.
«Forse si tratta di una scrittura terapeutica, a liberarsi da miraggi autoriali, in cui Massimo, lettore onnivoro e solitario, stanco ironicamente di annusare l’odore dei libri, espelle da sé ruminazioni e metabolismi bibliografici.
«In questa antologia impazzita fuoriescono frammenti da Lorenzo il Magnifico a Ungaretti e Montale, lacerti foscoliani, madeleines leopardiane, spruzzatine crepuscolari, escursioni rimbaudiane e alchimie verlainiane dettate dall’assonanza di altre precipitazioni. Il tutto ingolfato anzi incollato in modo da essere pronto al dileggio carnascialesco di impronta goliardica.
«Battute lunghe come recitativi, in una reciproca e rituale alternanza, amicale e pososa, ad animare questo caprice divertito e divertente, nella ripetizione, nella variazione, nel chiasmo, grazie a incessanti ludismi e luddismi, anacronismi e pancronie […].»
Abbiamo avuto il piacere di porgere a Massimo Parolini alcune domande.
 
Potrebbe brevemente raccontarci la trama del poemetto?
«Il poemetto mette in scena un dialogo serrato tra d'Annunzio e Duse, ritornati - o semplicemente riapparsi - sulla terra ai giorni nostri, per un permesso di ventiquattrore, - una sorta di libertà vigilata con obbligo di rientro serale.
«I due sono di fronte alla pineta versiliana ma l'incantesimo della pioggia non avviene e quindi la pineta resta chiusa, senza metamorfosi, senza purificazione panica degli amanti.
«Nel tempo in cui aumenta progressivamente l'arsura - climatica, etica, civile e spirituale, - a dispetto della categoria ormai stereotipata della società liquida coniata dal sociologo polacco Bauman, il Vate e la Musa sono testimoni di una progressiva diminuzione di liquidità nelle vene e nei tessuti degli eventi mondani e storici attuali.
«D'Annunzio e Duse citano se stessi e molti altri autori: Leopardi, Baudelaire e i simbolisti francesi, Carducci e Valery, Gozzano e altri crepuscolari, Marinetti e altri futuristi, Apollinaire, Ungaretti, Rebora, Montale, Pasolini, Luzi e vari altri, reindirizzando ai mittenti anche le parodie già espresse da alcuni di loro all'originale La pioggia nel pineto.
«La società attuale, con le sue nevrosi e le sue psicosi, entra nel dialogo fra gli amanti; un dialogo che in realtà si risolve spesso in monologo alternato, dato che il destinatario, come un qualunque prigioniero tecnopata odierno, anziché ascoltare il mittente legge e sfoglia lo smartphone.
«Il monologo alternato rispettoso della incomunicabilità dei giorni attuali è rallentato, talora, da apparizioni fugaci ed effimere, ma conturbanti, di altre amanti della biografia sensuale dannunziana, fra apparente indifferenza e parvenze di gelosia da parte della Divina Eleonora.
«La scena si rivela alla fine quella di un Centro di Salute Mentale e i due Divi semplicemente due pazienti soggetti a monomania da orgoglio o due abili amanti che nella finzione pirandelliana del disturbo delirante hanno trovato il loro spazio per un amore clandestino.
«Ma questo è ciò che pensano gli altri. Perché i due personaggi si definiscono, nell'avallato gioco delle finzioni, gli autentici.»
 
Come si è svolto l’evento?
«È stata un bella esperienza: ci siamo recati presso il Laghetto delle Danze (anfiteatro) e il Presidente ha presentato i prossimi eventi della Fondazione, in particolare l’evento clou sarà, nel 2019, il centenario di Fiume.
«Oltre all’esposizione del mio poemetto, del quale ho letto alcuni versi, sono stati presentati altri testi: Gabriele d’Annunzio e Adolfo de Carolis L’infinito della melodia - Carteggio 1901-1927, Gabriele d’Annunzio Il fastello della mirra -Autobiografia a cura di Angelo Piero Cappello, Gabriele d’Annunzio al Vittoriale nei ricordi di Luigi Mometti (per cinquant’anni factotum, testimone e poi custode della casa e della vita del Comandane), un numero monografico sul Vate (a ottant’anni dalla morte) de La biblioteca di via Senato di Milano.
«Inoltre si è presentata una ditta di Napoi (Duecci) che ispira la propria produzione di guanti a D’Annunzio, l’olio Oleum Vatis e i nuovi vini rosé ricavati da vigne piantate dal Consorzio Valtenesi nei campi della tenuta del Vittoriale (alla sera c’è stata la raccolta del primo grappolo d’uva).»
 
Lei fa parte del Comitato promotore del Premio di Poesia Città di Trento. Potrebbe darci qualche informazione sull’evento intitolato «Poesia al buio»?
«Mercoledì scorso, alle 20.30, all'interno degli eventi organizzati dal Comitato del Premio di Poesia Città di Trento presso la propria sede di via Malvasia 15 a Trento, l’Associazione Irifor del Trentino (ciechi e ipovedenti) ha proposto alla cittadinanza Poesia al buio, recitazione di poesie a memoria (al buio) di alcune poetesse trentine (tra le quali Luisa Gretter Adamoli, Antonia Dalpiaz), la recita (sempre al buio) dell’intero Sesto canto dell'inferno di Dante (i golosi) da parte di Tony Sartori, e la lettura in braille di altre poesie di poeti trentini (Lilia Slomp Ferrari, Nadia Scappini, e altri).
«Una proposta che si aggiunge alle precedenti Bar al buio, Teatro al buio, Mostra al buio sperimentati da Irifor in questi anni con successo, all’interno della propria sede o del Camion on the road nelle piazze delle città italiane (compresa piazza S. Pietro a Roma).
«Un’esperienza che può far comprendere anche ai vedenti un diverso modo di vedere, seguendo il motto dell’Istituto dei Ciechi: “Non occorre vedere per guardare lontano”.
«Gli uditori sono stati accompagnati al buio da guide non vedenti nella sala di via Malvasia, per un’avventura alla riscoperta degli altri sensi e delle emozioni più intime. E, trattandosi di poesia, gustando la più alta essenza della buona poesia: il suono, la musicalità.»
 
Avete in serbo altri appuntamenti?
«Certo: segnalo il momento conclusivo del Premio che avverrà oggi, sabato 29 settembre, alle 17 a Trento, presso Sala Falconetto (Palazzo Geremia) alla presenza della Giuria e del Comitato promotore.
«Saranno premiati Stefano Raimondi (Il cane di Giacometti, Marcos y Marcos) per la Sezione A (libro edito), Fabrizio Bajec (Miglior Traduzione, per la traduzione di William Cliff, Poesie scelte, Fermenti) e Kabir Yusuf Abukar (Reflex, LietoColle) per il Premio Giovani.
«Quindi, segnalo anche due importanti incontri a Trento il 2 ottobre: alle 10,45 presso il Liceo Da Vinci, una lettura di poesie civili (sui temi del Vajont, dello stragismo anni ’70 e dell’omicidio Falcone) con analisi critica di Giuseppe Colangelo e considerazioni giuridiche del giudice Carlo Ancona e (alle 16) l’incontro col poeta Umberto Piersanti presso il Seminario permanente di poesia del Dipartimento di Lettere in via Tommaso Gar.»
 
Progetti futuri?
«Alcune presentazioni del poemetto (anche nella terra dove dorme la Duse, Asolo) e la realizzazione di uno spettacolo teatrale per la sua messa in scena (utilizzando non solo la recitazione ma anche la musica e la danza). Il testo presenta un’# (hashtag) all’inizio perché, dopo un periodo di distribuzione cartacea del libro, il poemetto sarà inserito nel sito della casa editrice dove chiunque potrà proporre uno o più nuovi versi da inserire nel testo (dopo un periodo di controllo di coerenza e convenienza da parte mia, come in Wikipedia).
«In questo modo il testo diventerà aperto, condiviso e potrà modificarsi (senza però stravolgersi nella sua trama essenziale e nella propria a coerenza e coesione interne).»
 
Daniela Larentis – [email protected]