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Mastro 7 e la sua ricerca di verità – Di Daniela Larentis

L’artista trentino ha dedicato una vita intera all’arte di plasmare i metalli, regalandoci grandi emozioni nel dare corpo a opere intrise di grande spiritualità

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Settimo Tamanini, in arte «Mastro 7», l’artista trentino famoso per le sue raffinate creazioni orafe e per le straordinarie sculture esposte in mostre prestigiose, ha dedicato una vita intera all’arte cara ad Efesto di usare il fuoco per plasmare i metalli, regalandoci oggi come ieri grandi emozioni nel dare vita a opere in ognuna delle quali domina l’armonia, tutte intrise di grande spiritualità. Un termine, quest’ultimo, di ampio uso e che in questo caso rimanda a una riflessione legata certamente alla religione, ma che richiama anche altri contesti.
Sono opere che si prestano a una lettura polivalente e che in sintesi possiamo definire «opere spirituali».
Ci teniamo a sottolineare che anche se le definizioni e accezioni del termine spirito varia da cultura a cultura, alcune caratteristiche all’interno delle stesse sono tuttavia simili.
Leggiamo a tal proposito nell’esaustiva e interessante pubblicazione di Antonio Zimarino, docente e critico d’arte, intitolata «La spiritualità nell’arte – guida alla lettura dell’arte contemporanea» (Casa editrice Diogene Multimedia): «…Nell’induismo, il termine sanscrito usato per parlare di spirito è prana che indica appunto vita e respiro: questi significati e concetti appaiono in modo simile sia nella tradizione ebraica che in quella greca.
«Il termine greco Pneuma (inteso come anima del mondo, l’Anima come principio vitale) è stato utilizzato per tradurre l’ebraico ruach che aveva invece il significato di soffio, vento, spirito, termine frequentemente associato all’agire e alla presenza del Dio biblico.
«L’uso che oggi si fa del termine spirito appare riferibile maggiormente alla tradizione latina: il termine latino spiritus ha un’accezione diversa rispetto al pneuma greco presocratico.
«Spiritus significa: soffio, respiro, alito, ma anche ispirazione, vita, spirito vitale, disposizione d’animo; la forma verbale spirare significa: soffiare, respirare, vivere, essere animato da…»
Riprendendo e servendoci delle parole di Zimarino, siamo con lui d’accordo sul fatto che «tanto la religione quanto la spiritualità sono interpretabili come movimenti di ricerca di verità, di significati e di attuazione concreta dei valori in cui si crede e che si percepiscono come necessari, sia che vengano garantiti da una rivelazione di una divinità sia che vengano definiti da una riflessione filosofico-esistenziale…».
 

 
Mastro 7 è impegnato da sempre in una costante ricerca di verità, di lui dice Aurel Chiriac (prof. universitario, nella prefazione al catalogo che ha accompagnato la mostra Custodi dell’anima allestita in Romania presso il Museo Tării Crisurilor di Oradea, Palazzo Barocco, dal 20 giugno al 20 settembre 2015): «Un alchimista del nostro secolo, Settimo Tamanini ha cessato di cercare di trasformare i metalli in oro.
«Le sue opere fanno altro: trasformano la fluidità o la durezza del metallo in una forma di penitenza, una forma di salvezza che solamente questo mondo pieno di vessazioni può capire e accettare.
«Il suo lavoro è quello di un monaco della sacralità del metallo.»
 
L’artista trentino si ispira spesso alla Bibbia nella creazione delle sue sculture, anche di quegli alberi meravigliosi, frutto del contrasto, da cui nasce l’armonia delle forme.
Come abbiamo in altre occasioni ricordato, il contrasto è un tema a lui caro: la rappresentazione delle due facce della stessa moneta, il bene e il male, il caldo e il freddo, il buio e la luce: il contorcersi del tronco dell’ulivo di Getsemani nell’opera intitolata «Albero della meditazione» trasmette un senso di infinita sofferenza e si contrappone allo splendore della chioma e dei frutti, simbolo di fecondità e pace.
 

 
Nell’introduzione alla pubblicazione «La Collezione d’arte di Cassa Centrale Banca» (edita da Cassa Centrale Banca, dicembre 2015, stampata da Litografica Editrice Saturnia), a cura di Margherita de Pilati, è la stessa Responsabile della Galleria Civica di Trento a scrivere nella sezione a lui dedicata: «Fin dagli anni ’70, Settimo Tamanini, in arte Mastro 7, alterna e integra l’attività artigiana di orafo con quella artistica.
«Da allora è riuscito a far convivere la dimensione commerciale di una azienda fiorente e riconosciuta a livello internazionale con una ricerca artistica che affonda le proprie radici in un profondo legame, spirituale e affettivo, con il territorio e con la sfera religiosa.
«Grazie alla sapienza artigiana nel trattamento dei materiali, riesce a piegare alle proprie esigenze estetiche e poetiche i metalli, sia quando agisce sul confine dell’astrazione, talvolta valicandolo, altre volte rimanendovi all’interno, anche solo con minime tracce figurative, sia quando si dedica alla mimesi naturalistica.
«Si segnala in questo ambito in maniera particolare il ciclo Alberi delle grandi Madri: la vite, l’olivo, il fico, il mandorlo, il melo, il castagno, il melograno. Sette alberi, come sette sono i metalli simbolici del percorso di trasmutazione alchemica: piombo, ferro, stagno, rame, mercurio, argento, oro…»
Due sue opere sono ora esposte fino all’11 gennaio 2016 in Duomo a Trento, presso l’Aula San Giovanni (sotto la Sacrestia), dove ha sede una stupenda mostra sull’Avvento e la Natività, curata da Massimo Parolini, dal titolo «Veniva nel mondo la luce vera».

La prima è intitolata Ottavo giorno. Come ci spiega il Decano del Capitolo della Cattedrale di San Vigilio, Mons. Lodovico Maule, «l’Ottavo giorno è il giorno della Resurrezione. La domenica secondo la Scrittura è il primo giorno della settimana, è il giorno che viene dopo il sabato. La settimana per gli Ebrei si concludeva con il sabato, ultimo giorno della Creazione, il giorno in cui Dio ha riposato. Il primo giorno dopo il sabato Gesù risorge dalla morte, simbolicamente diventa l'Ottavo giorno. L’Ottavo giorno è il giorno in cui risorgendo Gesù dalla morte la Creazione acquista il suo pieno senso».
«La seconda è Custodi dell’anima, la cui forma – sottolinea sempre Mons. Lodovico Maule - ricorda l’ala dell’angelo, ma soprattutto un orecchio, quindi rimanda all’ascolto e alla figura di Maria. Di Maria i Padri dicono che «accolse prima nel cuore e generò nel grembo» per cui l’Annunciazione avviene prima nel cuore e nella mente di Maria, che obbedisce, e nel momento in cui accogliendo la parola dice sì, ecco che nel suo grembo avviene il miracolo del concepimento. Chi obbedisce è colui che ascolta e ascoltando cambia».
Ammirati dalla bellezza delle sue creazioni, abbiamo avuto occasione di porgergli alcune domande.
 

 
Mastro 7 è un nome d’arte che rappresenta lei come artista e una passione per i metalli condivisa da un’intera famiglia, quella con sua moglie Fausta e i suoi due figli, Gianfranco e Luca, i quali si dedicano da anni con successo all’arte orafa. Come è avvenuta in origine la scelta di questo nome?
«Questo nome d’arte è nato 45 anni fa, dalla combinazione simbolica del mio nome, Settimo, e di mastro, un termine che ha diverse accezioni e che in italiano sta per maestro.
«Negli anni Settanta incaricai una società milanese che all’epoca indagò sui vari significati della parola sia in Italia che in Europa, generalmente la si intende come maestro d’arte e mestiere, anche se ha un significato più ampio.
«Ho scelto come nome d’arte Mastro 7, perché è un nome evocativo che mi identifica e con cui vengo ricordato facilmente.»
 
Il suo è un percorso artistico lungo e ricco di soddisfazioni. Quando ha cesellato il suo primo pezzetto d’oro?
«Il 7 settembre 1957 è una data importante per me, ho cesellato il mio primo chicco d’oro 750.
«Il maestro Vittorio Benetti mi lasciò cesellare un piccolo pezzettino d’oro e io, che ero lì a bottega per passione, dopo averlo fatto mi riproposi che, una volta divenuto grande, avrei lavorato l’oro.»
 
Può condividere con noi un ricordo di quando era ragazzino?
«Quando andai alle medie a Trento, attraverso i libri conobbi l’Iliade. Leggendo il passo in cui veniva descritto lo scudo di Achille rimasi affascinato dalla descrizione minuziosa di Omero, la mia fantasia galoppava immaginando quei soggetti sbalzati sul metallo come la terra, il cielo, il mare, il sole, la luna, le costellazioni, il campo arato, il vigneto ecc.
«Ho questo ricordo, l’immagine di quello scudo che prendeva forma attraverso la fantasia, un desiderio, quello di realizzarlo, che non ho mai voluto concretizzare, volutamente ho preferito rimanesse un sogno nel cassetto.»
 
Come è avvenuto il passaggio dagli esemplari unici delle sue creazioni orafe alle sculture di grandi dimensioni?
«Sono partito come cesellatore moltissimi anni fa, perseguendo con umiltà la mia grande passione per i metalli e impegnandomi in una ricerca ininterrotta che mi ha condotto fino a qui, regalandomi grandi soddisfazioni.
«Partendo dal microcosmo dell’arte orafa sono approdato alle macro sculture, dedicandomi dapprima alle creazioni di piccole dimensioni, ai gioielli, la cui realizzazione è oggetto di continuo studio e sperimentazione, e a cui dal 2000 si dedicano i miei figli Gianfranco e Luca (da tempo ho loro affidato, con orgoglio, il compito di proseguire lungo il solco già tracciato).
«Sono poi arrivato alle grandi opere, è nato così il percorso delle piante delle Grandi Madri, Frammenti di icone, Gocce di fuoco. La mia è una ricerca spaziale e spirituale, in quanto alzando lo sguardo verso l’alto è nato in me il desiderio di riconciliazione con il cosmo, con l’Uno.
«Realizzando le Grandi madri, mi sono reso conto che non ero completamente appagato, la scultura mi era servita per superare l’icona, per essere e sentirmi libero di esprimermi, tuttavia la mia ricerca spirituale mi ha spinto ad andare più in là e a dirigermi verso nuovi orizzonti.
«Non avendo usato stampi per realizzarle, le sculture di grandi dimensioni sono creazioni uniche che trasmettono un’idea di purezza rappresentata da materiali che trovo allo stato naturale, non sono fuse come gli idoli che si ripetono e che ci rimandano al concetto di vitello d’oro della Bibbia, ma opere realizzate con il martello, sono martellate.
«E proprio per non correre il rischio di ripetermi, di creare nel futuro degli idoli, sono tornato all’icona per poi andare oltre e approdare a una nuova forma di espressione artistica, rappresentata dalle mie ultime realizzazioni, le quali hanno un’ispirazione che rinvia sempre al trascendente, esse si rifanno alla Bibbia, sono opere per la preghiera che rientrano nell’arte sacra.
«Arrivato a questo punto ho scoperto che non mi interessava più occupare e rappresentare uno spazio fisico, ma dare forma a uno spazio mentale, dedicarmi a creazioni non necessariamente di grandi dimensioni, frutto di un’ispirazione che va oltre la realtà contingente.»
 
Qual è il più bel complimento che ha ricevuto in tutti questi anni di intenso lavoro?
«Nel 2005 portai alcune mie realizzazioni di grandi dimensioni, l’olivo, il castagno e il fico, nello splendido monastero di S. Chiara a Lovere, dove mi trovai di fronte alle clarisse a spiegarne il significato. Le visualizzo ancora, i loro occhi curiosi puntati verso i miei, in attesa di ascoltare le mie parole.
«Venne anche il sindaco, il quale innanzi all’ulivo di Getsemani, l’opera intitolata Albero della meditazione, in quel momento investito da un fascio di luce che pareva accenderlo, mi disse che quell’opera racchiudeva la potenza di Rodin e la raffinatezza di Cellini. Specialmente quest’ultimo, come è risaputo fu orafo e scultore, è il mio modello: lui ha rivoluzionato il modo di fare scultura con la fusione in un solo getto del Perseo.
«Citare quei due grandi nomi in quell’occasione mi ha emozionato e, al ricordo, mi emoziona anche oggi.»
 
Un’ultimissima domanda ancora: dove sta andando adesso Mastro 7?
«Verso il futuro: continuerò a creare e a esporre le mie opere. Il mio prossimo percorso avrà il titolo di Abissi di luce…»
 
Avremo modo di parlarne presto, l’appuntamento con la prossima mostra di Mastro 7 è assai vicino.
 
Daniela Larentis – [email protected]

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