Beppe Devalle, prima retrospettiva al Mart – Di Daniela Larentis
La mostra sul grande maestro della pittura italiana è visitabile al Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto dal 16 ottobre al 14 febbraio
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Il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto dedica, a pochi anni dalla scomparsa, un’importante retrospettiva a Beppe Devalle, uno fra i grandi maestri della pittura contemporanea italiana.
Le opere esposte (settantacinque) raccontano l’intero percorso creativo dell’artista, compresa la produzione più recente (2008-2012) pressoché inedita (l’ultima retrospettiva risale infatti al 2008 e fu organizzata a Milano, presso il Museo Diocesano).
La mostra, aperta al pubblico dal 16 ottobre 2015 e visitabile fino al 14 febbraio 2016, è un progetto corale a cura di un comitato scientifico di eccellenza composto da studiosi che conobbero, frequentarono o lavorarono con Devalle: Carlo Bertelli, Paolo Biscottini, Barbara Cinelli, Flavio Fergonzi, Daniela Ferrari, Maria Mimita Lamberti, Sandra Pinto, Giovanni Romano, Dario Trento, Alessandro Taiana.
Il gruppo di lavoro è stato sostenuto dal coordinamento di Maria Teresa e Jolanda Devalle, rispettivamente moglie e figlia dell’artista, che per prime si sono spese per la realizzazione di questo fondamentale progetto espositivo.
Attraverso i dipinti dalle dimensioni importanti, i collage, i fotomontaggi, gli ambienti e soprattutto i ritratti, affascinato dai protagonisti dello spettacolo, della politica, dell’informazione, Beppe Devalle, la cui caratteristica principale è l’assoluta libertà espressiva, osserva le irresistibili e seducenti caratteristiche della società contemporanea.
Profondo conoscitore del linguaggio pubblicitario e delle regole della comunicazione, si fa interprete dell’attualità, cogliendone le contraddizioni.
Ne emergono intensi ritratti psicologici nei quali vive un’analisi tanto pop quando profonda della realtà, composta di palcoscenici e di retroscena.
Nella narrazione si inseriscono spunti personali, aneddoti privati e una tecnica dedotta dalla profonda conoscenza della tradizione pittorica.
Due parole sull’artista, nato a Torino nel 1940 e scomparso a Milano nel 2013. Fin da giovanissimo si dedica all’arte e in particolare alla pittura, appena ventenne allestisce la sua prima mostra, una doppia personale con Gianluigi Mattia nella quale espone opere di grande formato.
Gli anni Sessanta segnano l’inizio di un susseguirsi di mostre e premi: dalla Biennale di Tokyo, al Museo di Ixelles a Bruxelles, passando per la partecipazione alla 23.Biennale di Venezia nel Padiglione Italia curato da Nello Ponente.
Nel 1972 e nel 1982 espone ancora alla Biennale di Venezia, nello stesso periodo partecipa due volte alla Quadriennale di Roma (1972 e 1986).
Dal 1976 è docente all’Accademia di Brera di Milano, nel frattempo l’attività espositiva prosegue in Italia e all’estero per il ventennio successivo.
Dal 1997 al 2003 vive a New York.
Sono del 2008 e del 2012 le ultime importanti esposizioni a Milano, rispettivamente al Museo Diocesiano, a cura di Paolo Biscottini, e al Museo del ’900, a cura di Flavio Fergonzi.
L’imponente mostra è impreziosita da un esaustivo catalogo scientifico, suddiviso in nove momenti o periodi, tutti rappresentati nelle sale del Mart.
Il primo contrassegnato da una ricerca nel postinformale e subito dopo da ascendenze surrealiste, mentori rispettivamente Gorky e Klee, 1961-1963.
Il secondo contraddistinto dalla scoperta della tecnica del collage e del nuovo linguaggio pop U.S.A. in traduzione formale europea, 1963-1966.
Il terzo, 1967-1969, segnato dalla seduzione delle tre dimensioni e della spazialità in un’accezione diversa dall’environment americano e dall’«ambiente» italiano.
Il quarto, 1970-1976: fotomontaggi primo tempo, la subalternità preziosa della fotografia.
Il quinto, 1977-1983: fotomontaggi secondo tempo, la figura nell’ambiente mondano.
Il sesto, 1984-1989, dedicato al tema delle nature morte, allo studio del disegno con matite colorate e pastello.
Il settimo, 1990-1997-2002: i grandi formati e il collage per cronache di violenza e soggetti familiari. Dal ’97 Devalle soggiorna prevalentemente a New York.
L’ottavo periodo, 2002-2008, è dedicato a grandi formati, collage e ritratti di forte pregnanza psicologica.
Il nono e ultimo periodo, 2009-2012: grandi formati, collage e ritratti, con una prevalenza dell’uso della fusaggine e del pastello.
Particolarmente interessante è ciò che Paolo Biscottini scrive nella preziosa ed esaustiva pubblicazione (pag. 63): «La storia non ha potuto risolvere il problema del destino individuale dell’uomo, del destino che rappresenta il tema delle geniali rivelazioni di Dostoevskij e con il quale è legata tutta la metafisica della storia (Berdjaev, Il senso della storia: saggio di una filosofia del destino umano, Jaca Book, Milano).»
«Devalle raggiunge questa consapevolezza nel tempo e con la pittura. Ha letto e visto molto, è difficile che qualcosa gli sia sfuggito. La sua memoria ha immagazzinato tutto e nel suo studio si vanno accumulando immagini ritagliate dai magazine, dai giornali ecc.: illustrazioni del mondo reale, come documenti di uno scavo archeologico, relitti del grande naufragio della storia, che la mente, gli occhi, le mani ricompongono come tessere di un puzzle, alla ricerca del loro significato intrinseco, della loro forza immaginifica.
«Il mondo che Devalle mette in scena non è fantastico, né tanto meno una narrazione fumettistica. È ciò che resta della storia quando, sciolti i legami temporali e causali, essa diventa immagine di ciò che è stato (mai di ciò che avrebbe potuto essere), così come l’artista la vede, la pensa, la ricorda.
«È del resto noto come l’immagine abbia uno stretto rapporto con la memoria, da cui trae storie, forme, colori che, accostati, definiscono i contorni di una visione nuova: l’immagine.
«Esiste una stretta reciprocità fra immaginazione e memoria: mentre ricordiamo immaginiamo, e quando immaginiamo vediamo ciò che possiamo trarre dal bagaglio della nostra memoria.
Dunque l’immagine è in relazione con il vedere e nel medesimo tempo con il sapere.
«In questo senso la pittura di Devalle viene lentamente configurandosi (almeno a partire dagli anni novanta e più precisamente dalla mostra di Monza del 1992) come una pittura di immagini consapevoli, colte, che si propongono una rilettura del mondo, una sua interpretazione meditata e ragionata.
«Una pittura di storia in cui l’artista affronta il tragico conflitto del destino individuale con il destino mondiale, con il destino di tutta l’umanità (Berdjaev, Il senso della storia, cit.)».
Spiega poi: Nella mostra del 2008 al Museo Diocesano, per altro significativamente preceduta dall’esposizione di marzo all’Accademia di Brera, appare con evidenza come il tema centrale della pittura di Devalle sia ormai questo, in cui l’arte pone con forza la sua riflessione sulla metafisica della storia.
Se la tragicità del destino umano non si risolve nella storia, è necessario adombrare un oltre, un senso superiore, che attribuisce valore metaforico alle vicende terrene.
Una sorta di apertura della storia ad un futuro non visibile né immaginabile, ma spiritualmente (e non religiosamente) avvertibile.
Qui l’arte di Devalle accede talora al sacro, come nel caso emblematico di Marry me, ma in generale in tutte le opere di questa mostra che, inaugurando la fase finale della produzione dell’artista ne stabilisce in modo chiaro e decisivo l’orientamento».
Daniela Larentis – [email protected]
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