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«Agire con saggezza nell’oggi per poter sognare nel domani» – Di Daniela Larentis

Il nostro modo di pensare la natura si è modificato nel tempo, ora occorre capire in fretta quali siano gli atteggiamenti più corretti da adottare per rispettarla

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Vivere in armonia con la natura cercando di costruire un futuro migliore è possibile, a patto che si sia disposti a fare qualche piccola rinuncia, come non usare l’auto quando non è strettamente necessario, tanto per fare solo un piccolo esempio (certo questo non basta ma è pure un inizio).
Che l’uomo abbia creato inquinamento, immettendo nell’aria una massiccia quantità di sostanze normalmente presenti in quantità minima, alterando quindi l’equilibrio naturale della biosfera, è sotto gli occhi di tutti. Dello studio delle varie tipologie di inquinamento si occupa l’ecologia, ma quale significato ha esattamente questo termine?
Sebbene ci siano alcuni che parlandone la confondono con la natura e concetti simili, l’ecologia è definita come la scienza che studia le relazioni degli organismi fra loro e l’ambiente.
Il termine «ecologia» pare si debba al noto scienziato e biologo Ernst Haeckel, filosofo, zoologo e artista tedesco (grande sostenitore della teoria evoluzionista di Darwin), il quale lo coniò nella seconda metà dell’Ottocento (1866), introducendolo nella sua opera intitolata «Morfologia generale degli organismi».
«Studio delle interrelazioni che intercorrono fra gli organismi e l’ambiente che li ospita, si occupa di tre livelli di gerarchia biologica: individui, popolazioni e comunità…» secondo l’enciclopedia Treccani, viene così descritta dal Devoto-Oli: «Scienza che ha per oggetto lo studio delle funzioni di relazione tra l’uomo (e. umana o assol. ecologia), gli organismi vegetali e animali (e. vegetale, e. animale) e l’ambiente in cui vivono…».
 
Il nostro modo di pensare la natura si è modificato nel tempo, ci si interroga sempre più su quale posto occupi l’uomo nella natura, ci si chiede se egli ne sia il padrone, il suo custode o semplicemente un elemento come lo è una marmotta, una quercia o un orso. Il rapporto fra uomo e natura può essere inteso in vari modi; nei dibattiti di filosofia ambientale si sente parlare di ecologia «superficiale» e di ecologia «profonda», la prima si limiterebbe a considerare la natura una risorsa da utilizzare, alla seconda apparterrebbe una visione più olistica (il filosofo norvegese Arne Naess negli anni Settanta del Novecento scrisse un articolo nel quale parlava di «movimento ecologico di superficie» e di quello «profondo e di lungo respiro», da qui i termini).
Parecchi si professano ecologisti, persone, cioè, che nutrono interesse verso l’ambiente e i problemi ad esso correlati, cercando soluzioni al fine di assicurare la salvaguardia dell’ambiente naturale.
Proteggere la natura è una necessità oggi più di ieri e capire quali siano gli atteggiamenti più corretti da adottare per rispettarla è qualcosa che dovrebbe stare a cuore a tutti.
L’argomento solleva non poche domande, per esempio vien da chiedersi se l’uomo sia ancora da considerarsi al centro del creato o meno, se la natura debba essere rispettata o dominata e via di questo passo.
Ci si domanda quale altro significato si possa attribuire alla parola «ecologista» e a cosa abbiano portato le economie che hanno finito per distruggere, almeno in parte, la natura.
 
Stephane Hessel, noto scrittore tedesco (naturalizzato francese, combatté nella Resistenza francese durante la Seconda Guerra Mondiale, fu deportato in un campo di concentramento), alla domanda di Gilles Vanderpooten che gli chiede cosa significhi per lui essere ecologista, ecco come risponde nel libro intitolato «Impegnatevi» (Salani Editore, 2011):
«Essere ecologista vuol dire rendersi conto – e da un pezzo è diventato evidente – che l’uomo non è il padrone della natura ma è un oggetto naturale, e di conseguenza che l’evoluzione del pianeta è un quadro in cui lui stesso evolve.
«Capire come evolve la natura, quali sono i rischi che corre, sia per se stessa sia per l’azione delle società umane, significa aprire la strada a una strategia intelligente per preservare quegli equilibri indispensabili senza i quali la sopravvivenza delle società umane non è possibile.»
Egli considera «l’uomo nuovo» non più come il padrone della natura ma «provvisto di una migliore conoscenza del funzionamento di quella natura».
 
Nello stesso libro gli viene posta da Vanderpooten un’interessante domanda sul multiculturalismo che riteniamo interessante riportare così come è stata scritta: «Il multiculturalismo è una cosa che le sta molto a cuore.
In effetti, è innegabile che ci si debba aprire alle altre culture. Al tempo stesso, però, ciò può dar luogo a effetti perversi.
Come giudica lei il fatto che certi Paesi profondamente impregnati di culture molto diverse dalle nostre si siano lasciati conquistare dall’ideologia consumistica propria del nostro modo di sviluppo?
Penso a Paesi quali la Cina, l’India, il Giappone, che hanno adottato delle economie distruttrici della natura… proprio loro che avevano concepito delle filosofie imperniate sull’amore per la natura… sotto gli occhi o nell’indifferenza delle grandi istituzioni internazionali.»
 
Ecco come risponde Hessel:
«È il rimprovero principale che si può fare agli ultimi vent’anni della nostra storia. La globalizzazione culturale ha spacciato come esemplare lo sviluppo culturale dei Paesi più ricchi, e a volte dei Paesi più potenti: URSS, Cina postmaoista.
«Queste culture hanno una tendenza naturale all’espansione: noi europei siamo stati i primi a innescare questo movimento. È dall’Europa, la prima parte del mondo che abbia acquisito grande ricchezza e potenza, che sono nate le acculturazioni di altri Paesi: l’America, la Russia sovietica sono figlie dell’Europa.
«Questa tendenza all’espansione ha dato luogo a rischi reali: si è incoraggiata un’economia predatrice della Terra. La giovane generazione può darsi l’obiettivo di salvaguardare la feconda diversità delle culture. Ne abbiamo bisogno nel campo dell’agricoltura: gli OGM e le multinazionali che li distribuiscono sono veri e propri pericoli perché limitano la diversità delle colture.
«Lo stesso, si andrebbe contro un muro se esistesse un’unica cultura, vuoi americana vuoi cinese. È importante salvaguardare le molteplicità delle culture e garantire che si rispettino reciprocamente. Il diritto di ciascuno alla propria cultura e il diritto che essa sia considerata dalle altre come una realtà da rispettare è ciò che permette alla coesistenza delle culture di dar luogo a qualcosa di diverso dalla conflittualità».
 
Un ultimo pensiero. È necessario convincersi, e ognuno se ne renderà certamente conto, che per sognare nel domani occorre agire con prudenza e saggezza nell’oggi, poiché tutto ciò che viene fatto ora, in questo preciso momento, avrà delle ripercussioni sul futuro nostro e delle prossime generazioni.
 
Daniela Larentis – [email protected]

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