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«Arroganza antropocentrica» – Di Daniela Larentis

Anche gli animali soffrono, il dolore non è una prerogativa solo umana

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Avere considerazione per il prossimo significa molte cose, innanzitutto cercare di non procurargli un danno, rispettandolo.
Questo è già un inizio. Poi, naturalmente, sarebbe desiderabile cercare di aiutare gratuitamente nei limiti delle proprie possibilità chi si trova in difficoltà.
Viene piuttosto naturale comportarsi a tal modo con i propri simili, è meno scontato con gli animali, con i quali l’uomo si relaziona in maniera spesso contradditoria.
Il fatto è che l’uomo si considera un po’ da sempre un essere superiore agli altri esseri viventi, il padrone di una natura che domina e della quale può disporre a suo piacimento.
Vengono in mente, con l’estate che si avvicina, certe immagini di cani abbandonati lungo il ciglio della strada ed è impossibile evitare di riflettere sulla loro sofferenza e su quella di altre specie spesso trattate con vera crudeltà: un comportamento abominevole indice di poca sensibilità e di assenza di compassione (chi è crudele con un animale potenzialmente lo è anche con i propri simili).
Certamente nel passato non la si pensava esattamente così, i diritti degli animali non venivano affatto presi in considerazione.
Del resto in un mondo come quello in cui viviamo ora il problema della tutela dei diritti umani costituisce già di per sé un concetto assai complesso (figurarsi un tempo).
L’indifferenza alla sofferenza altrui, a ogni modo, che sia quella di altri esseri umani o di animali, e la crudeltà, certo non nobilitano l’uomo.
 
Alcuni filosofi hanno indagato la capacità degli animali di provare dolore, pensiamo all’inglese Jeremy Bentham (il quale già nel Settecento si interrogò sulla capacità «di sentire» degli animali ma che non era contrario alla loro uccisione a scopi alimentari) e all’australiano Peter Singer, il quale è andato oltre il pensiero di Bentham (famoso il suo libro «Liberazione animale» scritto nel 1975, nel quale mette tutti gli esseri senzienti sullo stesso piano).
Un libro che pare abbia influenzato la visione di Oscar Horta, colui che poi è diventato a sua volta un testimone contro lo specismo, un termine che potremmo definire come il pregiudizio che porta a privilegiare la specie umana sulle altre (o a discriminare chi non appartiene alla nostra).
Nel saggio di Oscar Horta intitolato «Una morale per tutti gli animali – Al di là dell’ecologia» a cura di Michela Pettorali, introduzione di Leonardo Caffo (Mimesis Edizioni), l’autore, professore di filosofia morale presso la Universidad de Santiago de Compostela (Spagna), a proposito della sofferenza degli animali non umani afferma quanto segue (pag. 27):
«È necessario tenere in considerazione due punti fondamentali: in primo luogo, non esistono prove fisiologiche evidenti per sostenere l’ipotesi che il dolore o il piacere fisico sperimentabile da un essere umano sia maggiore di quello che possono provare gli altri animali.
«In secondo luogo, va notato che non abbiamo motivi per asserire che la capacità di sentire dolore e piacere fisico che possediamo noi esseri umani sia minore della capacità che abbiamo di sentire la sofferenza o il piacere psicologico.
«Nella nostra vita possiamo sperimentare molti piaceri puramente intellettuali, ma rinunceremo mai al nostro piacere fisico solo per aumentare tali piaceri intellettuali?
«Ciò nonostante, se anche possiamo patire enormi sofferenze psicologiche, non dobbiamo dimenticare che possiamo soffrire anche immensi patimenti fisici che non sarebbero certo meno spiacevoli.»
 
Un pensiero che merita certo attenzione. Evidenzia qualche riga più avanti: «Inoltre, è certamente vero che ci sono alcune situazioni in cui se si possiede un maggior grado di intelligenza si soffre di più. Questo accade, per esempio, quando prevediamo un male che subiremo in futuro.
«Ma non dobbiamo dimenticare che in molti casi succede esattamente l’opposto: il fatto di non possedere un alto grado di intelligenza fa sì che molti esseri soffrano molto di più.
«Poniamo un esempio: un animale intrappolato destinato ad essere liberato subito non può comprendere la sua situazione, crede che la sua cattura sia definitiva e, probabilmente quello che aspetta è la morte.
«In questo modo, soffrirà immensamente più di chi, invece, fosse in grado di capire che la sua cattura è solamente temporanea.»
 
Trattare gli animali (sia quelli che mangiamo che quelli definiti da compagnia e tutti gli altri) con riguardo, cercando di risparmiare loro sofferenza inutile, è senza dubbio un dovere morale di tutti, anche se Horta, a dire il vero, va ben oltre questo proposito nel suo ragionamento (lui sostiene infatti che non sia più possibile continuare ad accettare l’uso degli animali non umani come risorsa e che non basta prestare attenzione ai loro interessi, continuando comunque a discriminarli).
Abbiamo dei doveri, comunque la si pensi, non solo nei confronti dei nostri simili, ma anche nei confronti di tutte le altre specie, e abbandonare un animale al proprio destino, magari lungo una strada deserta in una calda notte d’estate, è tanto profondamente triste e ingiusto quanto immensamente spregevole.
 
Daniela Larentis - [email protected]

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