«Paesaggi nell’arte trentina», una mostra che emoziona – Di Daniela Larentis
Curata da Massimo Parolini, propone opere, molte delle quali inedite, di alcuni fra i più rappresentativi artisti trentini da fine Ottocento ai giorni nostri
Venerdì scorso è stata inaugurata a Trento una mostra dal titolo «Paesaggi nell’arte trentina», a cura di Massimo Parolini, una prestigiosa esposizione che rappresenta una panoramica significativa di opere di alcuni fra i più rappresentativi artisti trentini dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri e che sarà visitabile fino alla fine del mese corrente.
Ospitata dallo Studio Rensi di Via Marchetti a Trento, la mostra, come sottolinea il curatore, «segue di un anno un’altra esposizione collettiva, dedicata al tema religioso nell’arte trentina (I segni del sacro), ribadendo la volontà dello studio fotografico gestito da Claudio Rensi (in continuità elettiva con il fondatore, il padre Rodolfo) di porsi come luogo privilegiato d’incontro tra la ricerca pittorica, fotografica e plastica nella città di Trento, in dialogo con le mostre curate dalle gallerie e dai musei d’arte pubblici nel nostro territorio provinciale».
Una preziosa opportunità offerta con grande generosità, va sottolineato, a tutti gli abitanti e ai visitatori della nostra città, i quali potranno cogliere l’occasione di poter ammirare delle opere altrimenti riservate a soli pochi eletti (i collezionisti, gli artisti e i familiari degli artisti scomparsi).
Un atto davvero apprezzabile, quello di mettere a disposizione di tutti la bellezza di queste opere d’arte, soprattutto in un periodo di crisi etica come quello che stiamo attraversando.
Si tratta delle realizzazioni di trentuno artisti, molte delle quali inedite, prestate da collezionisti privati, ossia di raffinati acquerelli come quello di Basilio Armani («Paesaggio», metà Ottocento), di straordinari quadri ad olio su tela come quelli di Eugenio Prati («Casolari a Ospedaletto»), di Bartolomeo Bezzi («Piccolo ruscello alpino», 1908, inedito in Trentino, è stato esposto a Torino), di Umberto Moggioli («Paesaggio Veronese», 1916, inedito), di Gino Pancheri («Paesaggio con covoni»), di Carlo Bonacina («La stazione di Cles», 1928, e «Cortile veronese», 1959), di Giuseppe Angelico Dallabrida («La sepoltura», già inserito nella mostra e catalogo dedicatogli dalla Galleria Civica di Trento nel 1990, a cura di Fiorenzo Degasperi e Danilo Eccher), di Guido Polo («Canale della Giudecca», 1926, inedito, e «Paesaggio», 1974), di Bruno Colorio («Case sulla Marzola», anni ’60, e «Calisio al tramonto», 1961), un artista al quale nel 2011 il Mart ha dedicato un’antologia a Palazzo Trentini a Trento (a cura di Margherita de Pilati).
Scendendo le scale ci sorprende l’olio di Aldo Schmid («Alberi», 1957), ricordiamo che lui assieme a un gruppo di altri grandi artisti quali Luigi Senesi, Giorgio Wenter Marini, Mauro Cappelletti, Gianni Pellegrini, Diego Mazzonelli, nell’autunno del 1976 sottoscrisse il Manifesto di Astrazione oggettiva, dando vita al maggiore movimento artistico trentino del secondo dopoguerra (la mostra a loro dedicata intitolata «Astrazione oggettiva, oltre la teoria il colore», curata da Giovanna Nicoletti, è tuttora aperta al pubblico fino al 17 maggio 2015, presso la Galleria Civica di Trento).
E poi ancora quelli di Luigi Pizzini («Lago di Tenno», 1960), di Raffaele Fanton («Alveo del Centa», 1987, e «Paesaggio», 1983), di Giovanni Zanetti («Paesaggio trentino invernale»), di Camillo Rasmo («Paesaggio», anni ’60), di Cesarina Seppi (presente con le sue «amate Dolomiti», «Montagne di Val d’Adige, 1956), di Gino Castelli, al quale Palazzo Trentini ha dedicato una vasta antologia nel marzo del 2014 e che è presente in mostra con tre oli («Inverno a Palù», 1968, «Bosco rosso», 2000, «Il bosco dei pensieri», 2002) e una china («Ascoltando Vivaldi», 1986), nonché l’olio su tela di Carlo Sartori («Spuntino sull’erba», 1993). Non possono sfuggire all’attenzione del visitatore gli stupefacenti oli su tavola di Remo Wolf («La pergola», 1959) e di Pietro Verdini («L’angelo sulla città», 1985, un paesaggio urbano e extraurbano su cui incombe un angelo protettore), così come i luminosi acrilici: su tela quello di Renato Pancheri («I colori della primavera», 1993), su tavola quello di Marco Berlanda («Paesaggio agrario», 1993), e su carta intelata quello di Fabio Seppi («Blue spiral», 2011).
Alcuni lavori sono stati realizzati con tecniche miste, come quello di Lino Lorenzin («Paesaggio», 1995), di Paolo Tartarotti («Le cime dei Lumi», 2014), di Giuliano Orsingher («Nido», 2013), del quale è esposta anche l’opera in acciaio e granito grigio del Vanoi intitolata «Paesaggio cavo», 2010, (è tra gli artisti presenti nel percorso ArteNatura ad arte Sella).
Vi sono delle corrispondenze fra i singoli quadri, fra quadri e fotografie, come se le singole opere nate in tempi e contesti differenti si fossero dati appuntamento in galleria.
È quello che pare sia accaduto all’opera di Luigi Bonazza, «Il bosco di betulle» (acquaforte su acciaio, 1920-1930), una splendida incisione acquerellata di uno scorcio di betulle che suscita lo stesso senso di stupore che si prova osservando un altro bosco di betulle, la stessa magia catturata dall’obiettivo di Claudio Rensi e immortalata nella fotografia in bianco e nero intitolata «Il bosco incantato» (2007).
La fotografia rappresenta lo sguardo dell’uomo sul mondo, non si tratta di una riproduzione sterile di ciò che noi tutti possiamo vedere con i nostri occhi, uno scatto sa cogliere la complessità di ciò che ci circonda, suscitando delle emozioni. In mostra sono esposte una serie di suggestive fotografie: uno scatto di Flavio Faganello, un paesaggio in cui lo scorrere del tempo pare essere simboleggiato dall’emblematico riflesso di un uomo che sta attraversando a piedi con la sua bicicletta un ponte sul fiume Brenta («Campolongo dove nasce il Brenta», foto b/n, 1963), una suggestiva immagine di Gianni Zotta che immortala la Val di Cembra nel momento in cui tiepidi raggi di un sole invernale accarezzano i tetti innevati («Verla», Valle di Cembra, 2013), le foto di tre generazioni di fotografi Rensi: uno scatto di Matteo Rensi, il quale indaga le mutazioni del territorio trentino («Paesaggio trasformato», foto b/n, 2008), una rara resinotipia di Rodolfo Rensi («Chiesetta solitaria», 1953) che affianca l’opera del nipote e del figlio Claudio (del quale sono anche esposte le fotografie intitolate «Risveglio in Valsugana», foto b/n, 2012, «La carezza della neve», foto b/n, 2013, «Prime luci a Canzolino», foto b/n, 2012).
La mostra è inoltre accompagnata da un’esaustiva pubblicazione che raccoglie tutte le opere esposte, in fondo alla quale sono riportate alcune note biografiche dei vari artisti.
Un catalogo completo, nella cui prefazione viene sottolineato quanto segue: «Paesaggio: alberi, fiori, montagne, marine, campagne, vedute hanno ispirato nei secoli curiosità, paura, desiderio. Come ci ricorda il critico d'arte inglese Kenneth Clark (nel suo memorabile saggio Il paesaggio nell’arte) l’uomo ha ricreato gli elementi naturali nella sua immaginazione per riflettervi i propri sentimenti. Siamo giunti a considerarli come elementi costitutivi di una idea che abbiamo chiamato natura. La pittura di paesaggio segna le tappe della nostra concezione della natura».
Una natura, viene da aggiungere leggendo le parole di Massimo Parolini, che richiama il rapporto con l’uomo e che invita a riflessioni profonde, il cui concetto è uno dei più complessi di tutta la storia del pensiero.
Approfittando della sua gentilezza, gli abbiamo rivolto un paio di domande.
Da dove è nata l’idea di allestire questa «piccola-grande mostra»?
«Nel 2014 avevamo organizzato sempre in questo studio un’altra mostra collettiva, dedicata al tema religioso nell’arte trentina.
«L’idea è sempre quella di riuscire a raccogliere, attraverso i prestiti dei collezionisti privati, degli artisti viventi o dei familiari degli artisti scomparsi, una quarantina di lavori inerenti a un determinato tema, operando in sinergia con le gallerie e gli spazi pubblici espositivi, dando così vita a uno spazio nuovo in cui l’elemento pittorico e scultoreo si mischia alla fotografia.
«Già l’anno scorso si voleva organizzare la mostra sul paesaggio, in collegamento con la mostra del Mart intitolata “Perduti nel paesaggio” (a cura di Gerardo Mosquera).»
Qual è l’intento primario della mostra?
«L’idea è di tenere viva l’attenzione su una pittura di qualità, quella di pittori trentini come Dallabrida, Sartori, Pizzini e tanti altri, ma anche artisti viventi come Verdini, Berlanda ecc.»
Che cosa rende un’esperienza come questa particolarmente stimolante?
«Il bello di un’esperienza come questa è anche riuscire a scovare opere importanti inedite, in questa mostra ve ne sono circa la metà.»
È stato difficile reperire i pezzi esposti?
«Generalmente non è affatto facile convincere i collezionisti e i familiari degli artisti scomparsi a prestare le loro opere.
«C’è una certa ritrosia nel separarsene, in quanto non sono quasi mai considerate pezzi d’arredamento ma piuttosto una sorta di feticci, sono tracce mnestiche.
«In questo caso i prestiti sono nati anche da rapporti di amicizia, dal desiderio di condivisione, sono atti di generosità, e questo è stato molto bello.»
Pensando alle parole di Massimo Parolini non possiamo che essere d’accordo con lui. Prestare un quadro, una scultura, e poi vedere esposta la propria opera è un po’ come tessere un rapporto con chi l’ha creata, poiché «il ricordo è una forma d’incontro» come scrisse il poeta libanese K. Gibran in «Sabbia e Schiuma».
Nella prefazione a «Il ritratto di Dorian Gray» Oscar Wilde affermò che «tutta l’arte è perfettamente inutile», ma quanto bisogno abbiamo noi di quel tipo di inutilità, quanto ci è di conforto posare lo sguardo sulla bellezza di un’opera d’arte, intrisa di sentimento e di spiritualità ancor prima che di colore.
Daniela Larentis – [email protected]
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