A proposito di Onore e Rispetto – Di Daniela Larentis
Schopenhauer scrisse un trattato sull’onore, quattordici massime sul tema della rispettabilità
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Qualsiasi idea si abbia, qualsiasi azione si intraprenda, qualsiasi cosa si faccia, che sia di grande rilevanza o meno, si finisce prima o poi con l’andar a genio a qualcuno e al contrario con l’infastidire qualcun altro, con l’essere valorizzati o denigrati a seconda delle persone con cui si interagisce (e meno raramente di quanto si sia disposti ad ammettere).
Sarebbe davvero tanto utile svegliarsi e riuscire ad abbandonare una volta per tutte l’insana idea di piacere a tutti o peggio ancora quella di deludere chi ci sta attorno, imparando nelle varie situazioni della vita a non essere troppo schiavi dei giudizi altrui, ascoltando invece la voce della propria coscienza.
Stando in mezzo agli altri, tuttavia, è impossibile dissociarsi completamente dal contesto in cui si vive. Farsi rispettare, non permettendo a chicchessia di calpestare la nostra dignità, è un atto doveroso verso se stessi.
Per godere del rispetto altrui occorre a ogni modo scegliere i mezzi più adatti, adottare i comportamenti più idonei.
Essere assertivi aiuta. L’assertività si rivela spesso un’arma vincente in diverse situazioni, ossia la capacità di difendere le proprie idee in maniera efficace senza tuttavia offendere o aggredire il proprio interlocutore (sia verbalmente che men che meno fisicamente).
Tutelare il proprio punto di vista, far valere le proprie opinioni con fermezza, senza scivolare sull’insidioso terreno della rabbia (quando si viene dominati da questo sentimento non si sa mai come possa andare a finire) è un atteggiamento considerato intelligente.
Comportarsi diversamente è davvero poco dignitoso e significa un po’ macchiare la propria reputazione, passare per deboli o per prepotenti non fa certo onore a nessuno.
A proposito di onore, quel sentimento che rimanda al concetto di reputazione, del rispetto e della considerazione altrui, quella sorta di riconoscimento che viene attribuito dagli altri, esso era un principio guida nella società del passato ma il significato di questo termine è alquanto cambiato.
Pare per esempio che un tempo Aristotele lo considerasse il più grande dei beni esteriori, il cui fondamento sarebbe la virtù.
Alcune epoche furono segnate dall’etica dell’onore, poi sostituita pian piano da quella della dignità umana.
La perdita dell’onore, comunque lo si consideri, fa comunque soffrire oggi come ieri, anche se nella nostra società sembra non essere considerato più un valore centrale come un tempo.
Quella dell’onore è una questione che sta a cuore a tutti da che mondo è mondo, in fondo godere del rispetto altrui è sempre stato importante, perlomeno questo è ciò di cui ci si convince leggendo Arthur Schopenhauer, il quale scrisse un trattato sull’onore, un vademecum steso attorno al 1828 e presentato per la prima volta in edizione italiana con il titolo «L’arte di farsi rispettare esposta in 14 massime» di Arthur Schopenhauer, a cura e con un saggio di Franco Volpi, traduzione di Giovanni Gurisatti, (edito da Adelphi, prima edizione 1998).
«Si tratta» come è sottolineato nella premessa della sopra citata pubblicazione «di un prontuario di massime sul tema della rispettabilità e dell’onore che Schopenhauer raccolse negli ultimi anni del periodo berlinese ed elaborò fino a una forma quasi definitiva, ma che rinunciò poi a pubblicare per ragioni a noi sconosciute.»
Pag 11: «Solo più tardi lo utilizzò nella stesura degli Aforismi sulla saggezza di vita (1851), per l’esattezza nel quarto capitolo che ha per tema Ciò che uno rappresenta (dopo il secondo su Ciò che uno è e il terzo su Ciò che uno ha). Nel manoscritto autografo il trattatello è intitolato Abbozzo di un trattato sull’onore, e quando vi si riferisce Schopenhauer lo cita semplicemente come il suo Trattato sull’onore.»
Per quanto riguarda l’argomento trattato, nel cap. 3 viene spiegato quanto segue.
«L’attrattiva del presente testo sull’onore risiede dunque nella prospettiva empirico-pragmatica da cui è affrontato il problema in esame, al quale – è lecito supporre – tutti dovrebbero essere interessati.»
Schopenhauer scrive il testo basandosi innanzitutto su esperienze personali, elabora la questione da un punto di vista pratico ed essenziale (il tema dell’onore fu trattato da svariati autori anche moderni, dai filosofi Hobbes, Mandeville, Hume, Rousseau, Kant e molti altri, come viene ricordato del resto anche nel libro).
Ma cosa sostiene Schopenhauer di tanto interessante nel suo breve manuale? Egli affronta sul piano filosofico il tema dell’onore evidenziando due aspetti separati, quello scaturito dall’opinione che gli altri hanno di noi e quello cavalleresco.
Riguardo al primo aspetto, leggiamo testualmente a pag. 21: «Esso costituisce il principio basilare nelle relazioni dell’individuo umano con i suoi simili. Seguendo una tradizione secondo cui tale specie di onore ha aspetto proteiforme, Schopenhauer lo divide in varie sottospecie da lui esaminate una per una: l’onore privato o civile, comprendente a sua volta l’onore professionale e quello commerciale, l’onore pubblico o d’ufficio (Amtsehre), l’onore sessuale (Sexualehre) maschile e femminile, l’onore nazionale (Nationalehre), l’onore dell’umanità (Ehre der Menschheit).»
A proposito dell’onore cavalleresco, Schopenhauer lo considererebbe una follia. A tal proposito leggiamo a pag. 22: «Proprio in merito a questo punto, Schopenhauer si impegna in una polemica contro lo spirito dominante della sua epoca. A dispetto dell’immagine di lui più diffusa – che lo dipinge come misantropo egoista, cinico e pessimista, sempre pronto ad argomentare ex summo malo – egli si rivela invece un insospettato e appassionato paladino dei diritti della ragione contro l’oscurantismo e il conservatorismo che ne impediscono l’affermarsi nella società.
«Tanto che si mostra preoccupato del fatto che, mentre l’onore dell’individuo può essere reintegrato, le macchie che infangano l’onore dell’umanità non potranno mai scolorare né essere cancellate, nemmeno dal trascorrere distruttivo del tempo: è lui – maestro di pessimismo e disincanto, che ha eletto a proprio rifugio la solitudine dei re – e a rammentarci, alla fine del primo capitolo del presente trattatello, che l’atroce ingiustizia di eventi quali l’esecuzione di Socrate, la crocefissione di Cristo, l’assassinio di Enrico IV, l’Inquisizione, il commercio degli schiavi, celebri infamie che offendono l’onore dell’umanità, è destinata a perdurare in eterno in tutta la sua esecrabilità.
«Ulteriore riprova, questa, del fatto che Schopenhauer sta al di là dell’opposizione di razionalismo e irrazionalismo, di illuminismo e oscurantismo, e che il suo disincantato pessimismo non gli impedisce di mantenere alta la soglia della vigilanza critica né di esercitare il giudizio morale.»
Alcune delle quattordici massime contenute nel libro catturano particolarmente la nostra attenzione. La massima n.1 definisce cosa si intende per onore (pag. 33): «L’onore è l’opinione che gli altri hanno di noi, cioè l’opinione generale di coloro che sanno di noi, più precisamente è l’opinione generale che coloro che ci conoscono hanno del nostro valore sotto un qualche aspetto che va preso in seria considerazione, e che determina i diversi generi dell’onore. In questo senso si può definire l’onore come il rappresentante del nostro valore nei pensieri altrui».
Riportiamo alcuni passaggi della massima n. 3: «A prima vista ciò che determina l’opinione generale che gli altri hanno di noi, cioè l’onore, non è la nostra vera natura, ma quella apparente; è la vera solo nella misura in cui quella apparente coincide con essa. L’onore e il valore che esso rappresenta sono quindi due cose diverse: uno può perdere il proprio onore senza aver perduto il proprio valore, e viceversa…»
Qualche riga più avanti leggiamo: «… a chiunque piace avere un’opinione su ogni cosa, senza però che si abbia la voglia di impegnarsi in un’indagine approfondita. All’onore e alla fama può essere applicata la massima di Gracián: L” (le cose non si considerano per quel che sono, ma per quello che appaiono, Baltasar Gracián, Oráculo manual y arte de prudencia, par.99) ….»
È molto interessante leggere cosa Schopenhauer afferma a proposito dell’onore pubblico (massima n.8, lettera b): «L’onore pubblico è l’opinione generale degli altri secondo la quale colui che ricopre una carica pubblica possiede davvero tutte le qualità a ciò necessarie, e in tutte le circostanze soddisfa puntualmente le incombenze del suo ufficio.
Quanto più vasta e importante è la sfera d’influenza di un uomo nello Stato – cioè quanto più elevata e influente è la posizione che occupa – tanto più alta dev’essere l’opinione sulle capacità intellettuali e sulle qualità morali che lo rendono idoneo a essa…».
Più avanti, alla fine di pag. 47, ci soffermiamo a riflettere sulla seguente affermazione: «…In breve, è l’onore di tutti coloro che si sono assunti pubblicamente un impegno. Rientra in questo caso, perciò, anche il vero onore militare: esso esige che chi si è impegnato alla difesa della patria comune possegga realmente le qualità necessarie a tale scopo, quindi principalmente coraggio, ardimento e forza, e sia pronto davvero, anche a costo della vita, a difendere la patria e soprattutto quella bandiera che una volta ha giurato di non abbandonare per nulla al mondo.»
Sia che lo si tenga in considerazione o che non gli si dia importanza, l’onore è un sentimento che sembra appartenere all’intera umanità, da sempre.
Perfino un vecchio detto popolare (trentino) qui di seguito riportato accenna all’onore, ritenendolo un valore, considerandolo un bene fondamentale: «Oh Signore, la vita e l’onore, un bell’uomo a questo mondo, un paradiso a quell’altro, Signore Iddio non Vi domando altro».
Una sorta di preghiera che nella sua infantile semplicità pare possa racchiudere il segreto, forse, della felicità (almeno quella delle nonne o bisnonne…).
Daniela Larentis – [email protected]
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