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Solo due parole su Giordano Bruno – Di Daniela Larentis

Il filosofo fu bruciato nel 1600, testimoniando che non sempre le nuove idee vengono accolte con benevolenza da tutti, anche questo ci insegna la storia

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Giordano Bruno, nato a Nola, scrittore e frate domenicano del Cinquecento, uomo dall’intelligenza acuta e dal carattere non certo docile, è considerato da molti uno dei più grandi pensatori del Rinascimento italiano.
Il filosofo, il quale conobbe personaggi molto potenti della sua epoca (la Regina Elisabetta I di Inghilterra e non solo), proprio a causa delle sue convinzioni in materia di religione e di astronomia (era per esempio dell’idea che Dio fosse presente in natura e che il nostro pianeta fosse uno dei tanti collocati nell’universo infinito e non l’unico), si mise contro la Chiesa (e il cardinale Bellarmino).
Successe che lui, dopo varie vicissitudini, venne invitato a Venezia per insegnare i metodi per esercitare la memoria (già Enrico III lo aveva precedentemente chiamato a corte, in Francia, pare per lo stesso motivo).
Solo che venne poi denunciato alla Santa Inquisizione, subì quindi un lungo processo durato parecchi mesi, venne successivamente rinchiuso in carcere per lunghi anni (pare siano stati sette gli anni che passò nelle prigioni romane) e, giudicato eretico, fu quindi condannato al rogo.
Morì nel 1600 a Roma, come è risaputo fu bruciato vivo nella piazza di Campo de’ Fiori.
 
Scrisse numerose opere (ne ricordiamo alcune: De la causa principio et uno, il De l’infinito universo e mondi, De umbris idearum, La cena delle ceneri, De gli eroici furori” ecc.).
Fu anche l’autore di un piccolo capolavoro intitolato «La cabala del cavallo pegaseo», una sorta di «Elogio dell’Ignoranza» come è stato definito nella versione moderna di Gianmario Ricchezza intitolata «La cabala e l’asino» (edizioni Excelsior 1881), ossia il testo a cui facciamo riferimento in questo articolo.
Ecco cosa spiega a pag. 16 Gianmario Ricchezza: «La Cabala è un’opera molto particolare, fin dal titolo e dal frontespizio che hanno tratto in inganno più di un commentatore: il cavallo pegaseo del titolo è in realtà un asino e lo stampatore indicato, Baio, richiama nel nome un tipo di manto equino, color castagna».
«Si tratta, sostanzialmente, di un divertissement, anche se spesso il discorso, mantenuto funambolicamente sul filo del paradosso, fornisce al filosofo lo spunto per importanti agganci e riflessioni. Ma tanti studiosi hanno invece ritenuto di affrontare quest’opera solo dal lato serio, nascondendo lo spirito dell’Autore con fiumi di inchiostro.
«C’è da dire che il Bruno stesso, a volte, ce la mette tutta per camuffare il suo vero pensiero, attingendo alla sua vasta conoscenza dei testi religiosi e alla ancor più vasta conoscenza del linguaggio in tutte le sue accezioni, latine e italiane, sa, infatti, di mettere a repentaglio la sua libertà e integrità.»
 
Prosegue poi facendo presente quanto segue.
«Sarebbe però altrettanto errato considerare la “Cabala” solamente dal lato ironico, perché alla base dell’opera ci sono presupposti critici che riguardano temi di grande importanza.»
A pagina seguente scrive: «A partire dai primi secoli il cristianesimo ebbe la necessità di darsi delle basi dottrinarie, univoche per tutti: l’intento era di acquisire potere politico e sostituire i canoni della società pagana con i propri, divenendo Chiesa.
«Agli appartenenti a questa confessione si richiedeva così di seguire le nuove regole che, trasmesse sulla divinità, cancellavano le precedenti. Questo regole venivano quotidianamente ricordate e tramandate attraverso il culto.
«Il cristianesimo si collocava in tal modo nel solco dell’ebraismo, religione che però aveva posto l’accento sull’esclusività degli eletti da Dio, sul fatto che la rivelazione divina si fosse manifestata a un suo popolo, il popolo prescelto.
«La religione cristiana, invece, con la sua apertura universale, incondizionata di base ma condizionante progressivamente nei secoli in senso politico, tese sempre a crearsi uno spazio terreno cercando di intervenire sulle condizioni e le leggi civili con i suoi precetti e la sua politica.
«La religione musulmana si spinse ancora più in là, negando addirittura l’esistenza del potere politico, la validità di regole scelte e stabilite da e tra uomini, e imponendosi come teocrazia.»
 
Sottolinea inoltre (pag. 18): «La caratteristica comune di queste religioni monoteiste, per quello che riguarda il problema della conoscenza, è di opporsi, a volte in maniera violenta, al sapere che non derivi direttamente dal loro insegnamento…»
Introducendo l’opera di Giordano Bruno rimarca quanto segue: «Giordano Bruno si pone però su un piano di assoluta originalità avvalendosi di un duplice registro: il primo è il lato ironico con il quale lui, scugnizzo nolano abituato alla vita naturale della campagna, entrato in convento si accostava allo studio delle sacre scritture, senza l’atteggiamento di sottomissione o di rinuncia che la nuova condizione richiedeva, ma con lo spirito critico e giocoso di una intelligenza precocemente matura e superiore; il secondo registro è il lato razionale del filosofo che si pone il problema della conoscenza e trae spunto dalla trattazione per inserirlo qua e là, rapportandolo ai tipi diversi di umanità che volenti (pensatori) o nolenti (asini) lo affrontano.»
 
Riflettendo su Giordano Bruno, uomo vissuto nel periodo rinascimentale, vien da pensare che in ogni epoca vi siano luci e ombre, la storia umana lo testimonia, e non sempre le nuove idee vengono accolte con benevolenza da tutti.
A anche questo ci insegna la storia.
 
 Daniela Larentis – [email protected]

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