La natura unitaria dell’organismo umano – Di Daniela Larentis
Nel libro intitolato «L’arte di vedere» l’autore, colpito in gioventù dalla perdita della vista, racconta ciò che ha imparato durante la sua esperienza di autoguarigione
Secondo la visione olistica del mondo che ci circonda tutto sarebbe interconnesso: non saremmo affatto separati gli uni dagli altri, l’uomo sarebbe strettamente collegato all’ambiente in cui vive e il nostro stesso corpo, annesso alla mente, non andrebbe considerato semplicemente come un insieme di singoli organi (da riparare all’occorrenza), ma nella sua totalità.
Da questa prospettiva, la malattia sorgerebbe per una mancanza di armonia e i suoi sintomi non sarebbero che i segnali della perdita di equilibrio.
A proposito di questo, un vecchio detto afferma «Medicus curat, natura sanat» (il medico cura, la natura sana), mettendo in evidenza quanto la naturale forza risanatrice che ognuno possiede sia importante al fine di assicurare la guarigione da una malattia.
Nel libro intitolato «L’arte di vedere» di Aldous Huxley, pubblicato nel 1942 negli Stati Uniti (edizione italiana Adelphi, 2012), l’autore, colpito in gioventù da una forte diminuzione della vista, racconta quanto lui abbia imparato durante la sua esperienza di autoguarigione.
Come scrive nel primo capitolo «quando le condizioni sono favorevoli, gli organismi malati tendono a guarire mettendo in azione forze autorisanatrici ad essi intrinseche».
Nel capitolo successivo parla del metodo Bates, spiegando quanto segue: «Nei primi anni di questo secolo il dott. W. H. Bates, oculista di New York, insoddisfatto del normale trattamento sintomatico degli occhi e desideroso di trovare un sostituto alle lenti, si mise alla ricerca di un metodo che rieducasse la visione difettosa riportandola a condizioni di normalità.
«Le esperienze fatte con un gran numero di pazienti lo portarono a concludere che la maggior parte dei difetti visivi aveva carattere funzionale ed era dovuto alle cattive abitudini contratte. Tali abitudini erano invariabilmente in relazione, egli trovò, con una condizione di sforzo e di tensione.
«E com’era da prevedersi, data la natura unitaria dell’organismo umano, tale sforzo aveva conseguenze sia fisiche sia mentali». Attraverso determinati esercizi, svolti naturalmente con costanza, Bates aveva quindi notato che era possibile sostituire abitudini scorrette, le quali erano la causa della cattiva visione, con quelle corrette, provocando il conseguente miglioramento della funzionalità.»
C’è da sottolineare che la tecnica del dott. Bates pur essendosi dimostrata efficace negli anni a detta di molti (pare che il suo utilizzo abbia risolto innumerevoli difetti visivi) non sia tuttavia ancora riconosciuta nell’ambiente medico e oculistico.
Come lo stesso autore precisa vi sono nel mondo molti seguaci del metodo Bates «ben preparati e coscienziosi», però esistono anche molti ciarlatani che non conoscono affatto le tecniche in questione.
Ecco cosa scrive Aldous Huxley a tal proposito (pag. 26): «Il numero di coloro che non ottengono alcun vantaggio dall’attuale trattamento sintomatico dei difetti visivi è considerevole, e il metodo Bates gode di un’alta reputazione per la sua efficacia in tali casi. Inoltre, trattandosi di un metodo non riconosciuto, chi lo applica non è tenuto a dare alcuna prova della sua competenza.
«Una vasta clientela potenziale, un disperato bisogno d’aiuto e nessuna richiesta di titoli scientifici, doti caratteriali e capacità! Proprio le condizioni ideali per il prosperare dei ciarlatani.
«Perché allora meravigliarsi se qualche individuo poco scrupoloso è riuscito a trar vantaggio da un tale stato di cose? Ma dal fatto che alcuni seguaci di metodi non ortodossi siano ciarlatani non segue necessariamente che lo siano tutti…»
Vedere significa entrare in rapporto con il mondo esterno attraverso gli occhi (con il sistema nervoso). Come l’autore spiega a pag. 37: «Nel processo della visione mente, occhi e sistema nervoso sono strettamente associati in un tutto unico. Influenzando uno di questi elementi si influenzano tutti gli altri».
Spiega poi successivamente il processo della visione (pag. 38): «Il processo della visione può essere scisso analiticamente in tre processi distinti: sensazione, selezione e percezione.
«Oggetto della sensazione è un complesso di sensa che si trovano in un determinato campo (Un sensum visivo è una delle chiazze colorate che formano, per così dire, il materiale grezzo della visione e il campo visivo è la totalità di tali chiazze colorate di cui si può avere la sensazione in qualsivoglia momento).
«La sensazione è seguita dalla selezione, un processo per cui una parte del campo visivo viene distinta e sceverata dal complesso. Questo processo ha come fondamento fisiologico il fatto che l’occhio registra le sue immagini più chiare nella parte centrale della retina, la regione maculare, che ha nella piccolissima fovea centralis il punto dove la visione è più distinta.
«La selezione, naturalmente, ha anche una base psicologica, perché in qualsiasi momento c’è in generale nel campo visivo qualcosa che ci interessa distinguere più chiaramente di tutto il resto.
«Il processo finale è quello percettivo. Esso comporta il riconoscimento del sensum sentito e selezionato come apparenza di un oggetto fisico esistente nel mondo esterno.»
Come chiarisce più avanti, negli adulti questi tre processi (sensazione, selezione e percezione) sono praticamente simultanei e si ha coscienza solo del processo nel suo complesso, ossia della visione degli oggetti. Secondo l’autore, inoltre, la percezione si fonderebbe sulla memoria. A pag 43 egli fa degli esempi: «Camminando per un bosco un cittadino sarà cieco davanti a una quantità di cose che verranno colte senza difficoltà dal naturalista. In mare il marinaio scorgerà oggetti del tutto inesistenti per la gente di terra».
Spiega qualche riga più avanti: «Nel trattamento classico dei difetti visivi si presta attenzione a uno solo tra gli elementi del complesso processo del vedere, e precisamente al meccanismo fisiologico dell’apparato sensitivo. La percezione e la capacità di ricordare, che ne è il fondamento, sono completamente ignorate».
Tornando da dove siamo partiti e cioè dalla considerazione di una visione olistica dell’essere umano, vien da sé riflettere sul fatto che forse dovremmo tutti quanti sforzarci di pronunciare nella vita quotidiana meno la parola «io» e più la parola «noi» per essere felici: noi esseri umani, noi Ècittadini del mondo».
Un mondo, il nostro, purtroppo dilaniato dai conflitti, pieno di contraddizioni, dove peraltro è impossibile non fare distinzioni. Bisogna imparare a vedere, non solo con gli occhi. Talvolta, occorrerebbe davvero cambiare ottica rendendosi conto che variando la prospettiva, osservando ogni cosa da altri punti di vista, anche i problemi più complicati si potrebbero magari ridurre notevolmente. Intanto, non resta che combattere e cercare di sopravvivere in un mondo sempre più difficile da comprendere, ma dove è ancora possibile sperare in un futuro migliore.
Partendo anche da noi stessi.
Daniela Larentis – [email protected]
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