È triste parlare con chi non sa ascoltare – Di Daniela Larentis
Il Natale potrebbe essere una bella occasione per imparare a dialogare e per riscoprire la grande forza delle parole
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A chi non è mai capitato di sentirsi sommergere da una valanga di chiacchiere sterili, senza avere la possibilità di aprir bocca?
Ci sono delle persone che non hanno affatto a cuore il dialogo, parlano e parlano con l’unico intento di vomitare addosso agli altri i loro pensieri.
Costoro non sono generalmente interessati allo scambio di opinioni, se ne infischiano altamente di ciò che pensa il loro interlocutore, hanno solo l’insano bisogno di sfogarsi e di trovare qualcuno che soddisfi tale urgenza.
Altre volte si parla con qualcuno che come un pappagallo sembra possedere solo la capacità di ripetere ciò ascolta (a dire il vero il pappagallo è un’animale molto intelligente che possiede una sensibilità e un intuito superiore a molti uomini e il paragone non gli rende giustizia).
In una conversazione, tuttavia, «ascoltare» va a braccetto con «parlare», è l’alternarsi delle due azioni che determina il vero «incontro» fra le persone, (infatti il dialogo è proprio un confronto verbale fra individui, altrimenti è un monologo).
C’è un libro intitolato «Parlare attentamente, tacere con forza» di Anselm Grün, Edizioni Messaggero Padova, nel quale viene affrontato in modo approfondito il tema della comunicazione.
L’autore, un monaco benedettino, esperto consigliere spirituale, sonda il mondo della parola, invitando a sperimentare l’ascolto.
Egli, nel capitolo quinto intitolato «Parlare e ascoltare» scrive testualmente: «È piacevole parlare con una persona che ascolta bene. In questo caso, il dialogo diventerà spontaneamente sempre più profondo e toccherà sempre più il cuore».
«Ma è estremamente spiacevole parlare con persone che non ascoltano. In questo caso, ho l’impressione che queste persone non ascoltano né se stesse né l’interlocutore.
«In ciò che egli dice colgono solo qualche parola che serve da spunto per i loro lunghi monologhi. Coprono la persona con una valanga di parole. Non riescono a sopportare le pause.
«Devono parlare continuamente. Evidentemente non ascoltano se stesse. Forse queste persone hanno paura di ascoltare il loro cuore e la loro anima. Perciò esprimono solo banalità e luoghi comuni…»
Come lo stesso Grün sottolinea, non si ascoltano solo le parole di qualcuno, ma il modo in cui quelle parole sono dette: ne percepiamo l’autenticità, l’amore o la freddezza, la vicinanza o la distanza.
A pag. 56 scrive: «Per i greci la persona ideale era il filosofo che vede, per i romani il retore che parla agli ascoltatori, entra in relazione con loro, li ammalia e mette in movimento qualcosa dentro di loro».
«Parlare e ascoltare è essenzialmente un processo relazionale. Per la riuscita della comunicazione occorre un buon ascolto: ascolto non solo delle parole, ma anche delle sfumature, dell’intenzione, dello stato emotivo della persona che parla.
«Molti dialoghi falliscono, perché non siamo capaci di ascoltare e perché vogliamo imporre solo i nostri argomenti, senza ascoltare ciò che c’è di nuovo nelle parole dell’altro, che forse potrebbe farci fare passi avanti.»
Visto che siamo nel periodo natalizio, è bello ricordare il potere e la forza delle parole contenute nei Vangeli, per esempio in quello di Luca.
A proposito del suo Vangelo ecco cosa si legge a pag. 19: «L’evangelista Luca aveva ricevuto una formazione filosofica e retorica greca».
«Lo si nota nella sua lingua colta e bella. Secondo la tradizione, era medico e pittore. L’esercizio di queste due professioni spiega in parte il suo linguaggio.
«Luca usa un linguaggio che guarisce. Non si abbandona a riflessioni moralistiche e non propone neppure tesi dogmatiche. Racconta. Il racconto era la prima forma di terapia.»
Qualche riga più avanti scrive: «Quest’efficacia guaritrice della lingua colloca Luca nella tradizione dei filosofi greci».
Plutarco parla, ad esempio, di Antifone, il guaritore: «Mentre si occupava ancora di poetica, scoprì un’arte di liberazione dal dolore, simile a quella di un trattamento medico per coloro che sono malati.
«A Corinto gli venne assegnata una casa vicino all’agorà, sulla quale affisse un cartello nel quale si affermava che poteva guarire i malati con le parole.»
Il Vangelo di Luca è un libro che possono leggere le persone che soffrono di malattie interne ed esterne, per sperimentare in loro stesse la forza guaritrice e consolatrice delle parole.
Luca parla di Gesù in modo tale che i lettori e le lettrici possano sentire in loro la sua azione di medico e salvatore.
Luca ha appreso questa capacità magistrale da Platone, che è considerato «il padre della catarsi», cioè della «purificazione dell’anima e della persuasione attraverso la lingua».
L’autore definisce la lingua di Luca «una lingua pittorica», in quanto scrivendo il suo Vangelo dipinse l’immagine di Gesù.
«Si può sempre tornare – scrive Grün – a contemplare i quadri che Luca dipinge per sperimentare la loro azione trasformante. Per questo Luca, come i greci, punta sulla bellezza. Per i greci, tutto ciò che esiste è bello.
«E il compito della lingua è quello di esprimere la bellezza delle cose e, attraverso la bellezza, mettere le persone in contatto con la loro propria bellezza interiore, con lo splendore divino che hanno in se stesse.»
Infatti, entrando in contatto con se stessi, con la propria bellezza interiore, si diventa più buoni e più belli, migliori. Cercare di elevarsi alla propria bellezza originaria forse sarebbe anche un bel modo per vivere il Natale, per sentirlo davvero nel cuore e non percepirlo solo attraverso l’assottigliarsi del portafoglio.
E a proposito di parole, ecco quelle pronunciate da Papa Francesco in occasione del Natale di un anno fa.
«In questo mondo, in questa umanità oggi è nato il Salvatore, che è Cristo Signore. Fermiamoci davanti al Bambino di Betlemme.
«Lasciamo che il nostro cuore si commuova: non abbiamo paura di questo.
«Non abbiamo paura che il nostro cuore si commuova! Abbiamo biisogno che il nostro cuore si commuova. Lasciamolo riscaldare dalla tenerezza di Dio, abbiamo bisogno delle sue carezze.
«Le carezze di Dio non fanno ferite: le carezze di Dio ci danno pace e forza. Abbiamo bisogno delle sue carezze.
«Dio è grande nell’amore, a Lui la lode e la gloria nei secoli!»
(Papa Francesco, 25 dicembre 2013).
Daniela Larentis – [email protected]
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