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Soggiorno linguistico in Nuova Zelanda – Di Daniela Larentis

Una studentessa di Trento, Margherita Maistri, ci racconta la sua indimenticabile esperienza vissuta nella terra dei Maori

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Le foto sono di Margherita Maistri.

Non vi è nulla di più indimenticabile di un soggiorno linguistico all’estero, che sia di breve o di lunga durata.
Per poter frequentare una scuola superiore in un paese straniero occorre essere in possesso però di alcuni requisiti, come conoscere abbastanza bene la lingua del luogo prescelto, essere iscritti a una scuola media superiore italiana, nonché ottenere soddisfacenti risultati scolastici e così via, ma soprattutto bisogna essere tipi curiosi, entusiasti, un po’ amanti del rischio e avere una buona capacità di adattamento.
Esistono varie tipologie di programmi, per esempio è molto gettonata l’esperienza di alcuni mesi presso una high school statale all’estero con sistemazione presso una famiglia ospitante, ma c’è anche chi preferisce iscriversi a una scuola privata e magari risiedere nella stessa, sistemandosi all’interno del campus.
Chi invece preferisce optare per una semplice esperienza estiva, quindi di più breve durata, anche in questo caso non ha che da sbizzarrirsi, in quanto le soluzioni possibili sono davvero molte. 
 

 
Una delle mete più suggestive e lontane generalmente scelte è la Nuova Zelanda, lo stato di circa 4,4 milioni di abitanti formato principalmente da due grandi isole immerse nel blu dell’oceano Pacifico meridionale, quella che nell’immaginario comune viene associata al popolo dei Maori, ai vulcani, ai geyser e alle montagne che scendono fino al mare.
Trovandosi agli antipodi là le stagioni sono invertite (la primavera va da settembre a novembre, l’estate da dicembre a febbraio, l’autunno da marzo a maggio e l’inverno da giugno ad agosto).
Le persone sono molto accoglienti, la vita nei centri urbani pare non esponga i ragazzi ai pericoli, il clima inoltre è piuttosto mite anche in inverno.
Chi volesse approfittarne per immergersi nella natura tenga conto che vi sono in Nuova Zelanda moltissimi parchi nazionali (quello di Fiordland è uno dei più conosciuti), inoltre è molto facile poter praticare sport stando all’aria aperta. 
 

 
La miglior soluzione, parlando con chi ha vissuto questa straordinaria esperienza, sembra sia quella della famiglia ospitante, in quanto permetterebbe maggiormente di immergersi nella vita quotidiana dei neozelandesi, i quali vivono in un luogo che è considerato dagli amanti della natura un vero paradiso terrestre.
Quella vissuta lo scorso anno da Margherita Maistri, una studentessa trentina del liceo A. Rosmini di Trento, la quale ha trascorso quasi sei mesi in Nuova Zelanda prima di rientrare nuovamente nella sua classe, in quarta, è stata davvero indimenticabile.
È lei stessa che ci racconta di essere partita emozionatissima, unica trentina in un gruppo di trenta ragazzi, alla fine della terza, il 20 giugno 2013, ed essere arrivata in Nuova Zelanda il 22 giugno, dopo aver fatto un viaggio complessivo di 24 ore e aver fatto uno scalo di quindici ore a Singapore (in N.Z. si è avanti di dieci ore rispetto all’Italia per via del fuso orario). 
 

 
Dopo essere sbarcata ad Auckland con altri quattro ragazzi italiani, accolti da un referente della scuola neozelandese, e aver preso un volo interno fino a Kerikeri (nell’ Isola del Nord) a bordo di un velivolo di soli dieci posti, ad attenderla i McGlinchey: la mamma Cat, insegnante di musica, e la figlia più grande, Hannah, di sei anni, con le quali ha poi raggiunto nella loro casa il resto della famiglia ospitante, il papà Fintan e Holly, la figlia di due anni.
Qualche settimana più tardi li ha raggiunti un’altra ragazza tedesca, con la quale Margherita ha instaurato un bellissimo rapporto di amicizia.
Il soggiorno, organizzato dall’agenzia WEP, aveva già nel mese di maggio fissato, nei pressi di Milano, un appuntamento per far incontrare i ragazzi che sarebbero poi partiti per il viaggio all’estero. 
 

 
Margherita aveva avuto quindi l’opportunità di vedere di persona i ragazzi che come lei avevano deciso di realizzare il sogno di vivere per un certo periodo in un contesto diverso da quello abituale.
Aveva inoltre conosciuto, proprio in quell’occasione, due ragazze che come lei poi sono partite nello stesso periodo per la medesima località e che hanno frequentato la sua stessa scuola a Kerikeri (il fatto di aver potuto contare sulla presenza di ragazze italiane partite con lei, anche se inserite in classi differenti, le ha consentito poi di vivere serenamente il suo soggiorno, come lei stessa ci fa notare).
Un incontro durato tre giorni che, sottolinea, è stato particolarmente importante, in quanto sapere in anticipo con chi si partirà aiuta non poco ad affrontare un viaggio così impegnativo, in particolar modo dal punto di vista psicologico.
Infatti, se da una parte un’esperienza del genere è molto formativa e rappresenta una grande opportunità di crescita, dall’altra è altrettanto vero che per partire occorre una gran dose di coraggio, soprattutto se si va in capo al mondo.
Ecco quindi che essere supportati da un’organizzazione valida e conoscere prima della partenza le persone con cui si condividerà il viaggio fa la differenza. 
 

 
Chiediamo a Margherita alcune informazioni relative alla scuola e lei ci spiega che là il sistema scolastico è più o meno come quello inglese o americano, ossia le classi non sono fisse, ma al cambio di ogni ora ci si sposta di classe in classe, a seconda delle materie scelte.
La scuola è unica (media e superiore insieme) e tutti i ragazzi della città la frequentano.
Essendo internazionale ospita molti ragazzi stranieri, ragion per cui i professori e gli stessi studenti sono abituati alla presenza di ragazzi provenienti da altri paesi (Margherita ci fa presente che l’unica nota negativa del bellissimo soggiorno neozelandese è stata proprio il non essere stata sempre presentata inizialmente alla classe, in quanto in quella scuola la massiccia presenza degli studenti stranieri e il loro andirivieni rappresenta la normalità.
Al contrario, la sua professoressa di inglese si è dimostrata particolarmente disponibile, accogliente e sensibile, a riguardo).
Apprendiamo che anche là, come in molti paesi anglofoni, c’è l’obbligo di acquistare e indossare la divisa scolastica (tranne gli studenti dell’ultimo anno).
La sua era composta da una gonna blu corta un po’ sopra il ginocchio, due polo (una bianca e una verde con lo stemma della scuola) un maglioncino verde e una felpa blu, da indossare anche dopo il normale orario scolastico, e che poi ha tenuto per ricordo (la scuola, là, prevede molte più regole rispetto alle nostre e quella della divisa e dell’obbligo di portarla anche a lezioni finite ne è un esempio).
Per quanto riguarda il piano di studi c’è la massima libertà di scelta, anche spaziando fra materie creative come la fotografia, design, storia dell’arte (l’inglese è invece obbligatorio) ecc.
 

Nuotando con i delfini. 

Per quanto riguarda l’orario scolastico, le lezioni (in inglese) iniziano alle 9.00 (alle 8.45 c’è l’appello), ragion per cui lei poteva dormire fino alle 7.30, dopodiché si alzava, faceva un’abbondante colazione e raggiungeva la scuola approfittando del passaggio della sua mamma ospitante, la quale insegna musica nel medesimo edificio scolastico.
Le lezioni invece terminano alle 12.30, dopodiché ognuno ha il tempo di pranzare (packed lunch, il pranzo al sacco) prima di ritornare nelle classi fino alle 15.00.
Dopo qualche ora trascorsa a gironzolare per il centro Margherita tornava a casa, anche perché i McGlinchey avevano l’abitudine di cenare, in inverno, alle 17.00.
Alla sera, pur stando in casa, non si annoiava di certo: quello era infatti il momento in cui poteva condividere le esperienze della giornata con la sua amica tedesca, Philippa, anche lei ospite della famiglia.
Siamo un po’ curiosi di sapere cosa abbia mangiato in quei sei mesi trascorsi in un luogo così lontano e lei ci rassicura dicendo che, sebbene la cucina sia un po’ diversa rispetto a quella a cui siamo generalmente abituati, tutto sommato ha mangiato anche bene: consumava carne tutti i giorni, cucinata in padella per lo più, riso, ecc.
I cibi etnici nella sua famiglia ospitante andavano per la maggiore, la signora Cat usava molte spezie (tanto curry) e non mancava mai la frutta come i kiwi gialli, le mele, le banane ecc. (pesce mai per via del costo elevato, probabilmente).
Per quanto riguarda le attività sportive lei giocava a tennis, uno sport che pratica anche in Italia, e in ottobre, all’approssimarsi della primavera, ha avuto occasione di andare al mare, fare anche il bagno, provare il brivido degli sport acquatici.
Là infatti si dà molta importanza allo sport specie se praticato all’aria aperta.
I ragazzi neozelandesi dedicano alle varie attività sportive gran parte del loro tempo libero (i ragazzi giocano molto a rugby). 
 

 
Apprendiamo che in quella scuola i compiti a casa sono per lo più facoltativi (farli serve comunque, perché si accumulano dei crediti formativi), non ci sono verifiche né interrogazioni, vale comunque la pena impegnarsi e studiare poiché alla fine dell’anno ci sono degli esami da sostenere, diversi a seconda del percorso che si vuole intraprendere (non è prevista la bocciatura, ognuno si «crea» il proprio futuro scegliendo le materie più congeniali).
Non avendo praticamente da studiare a casa o poco, a seconda del piano di studi scelto (chiaro che chi vuole accedere poi all’università deve avere una determinata preparazione e dovrà sostenere esami di un certo tipo), molti ragazzi neozelandesi dopo la scuola lavorano (per esempio nei supermercati).
Non tutte le scuole, ci spiega, sono comunque organizzate nella stessa maniera, esistono anche differenze fra scuole pubbliche e private, tuttavia non scendiamo troppo nel dettaglio, poiché quello che ci interessa focalizzare ora è solo dare un’idea di un’esperienza di questo tipo all’estero, non altro. 
 


Ma in che modo comunicava con la sua famiglia italiana e con i suoi amici?
Naturalmente, oggi come oggi la tecnologia aiuta non poco, grazie a internet, infatti, si è sempre in contatto in tempo reale.
Con gli amici, per esempio, sentirsi giornalmente, mandare foto, scrivere messaggi, era facilissimo, utilizzando whatsapp e i social network (con la famiglia comunicava solitamente tramite Skype).
Molte sono le gite che la scuola internazionale organizza ciclicamente per i ragazzi stranieri.
Parlando con Margherita non ci è difficile immaginare quanto sia meravigliosa la natura che lei ci descrive (entusiasmandosi ancora al ricordo).
Ci racconta infatti di aver visitato, in occasione di una delle gite organizzate dalla scuola, l’Isola del Sud, di essere stata in barca e di aver fatto, in compagnia di altri due studenti, durante uno dei periodo di vacanza scolastici, una visita della durata di circa una settimana ad Auckland (andavano a dormire presso una famiglia ospitante segnalata dalla scuola stessa, la quale aveva organizzato il soggiorno che poi loro hanno gestito in piena autonomia, visitando la città, i musei ecc.).
Alla domanda su quali siano i pregi e i difetti dei neozelandesi, così risponde: «Per quanto riguarda i difetti, ora come ora non mene viene in mente nemmeno uno, di pregi, invece, ne hanno molti, per esempio sono molto disponibili, accoglienti, gentili e… rilassati, inoltre hanno un gran rispetto per l’ambiente, per la natura».
Margherita ci racconta che la sera i ragazzi non escono, solitamente, se non il sabato sera.
La percezione che si ha, venendo da fuori, è che non ci sia delinquenza, non ci siano particolari pericoli.
La qualità della vita sembra essere molto alta e i ragazzi crescono in maniera sana, anche grazie al fatto che viene loro offerta la possibilità di vivere a stretto contatto con la natura. 
 

 
Le chiediamo quali difficoltà abbia poi incontrato al rientro in Italia, introducendosi nella sua vecchia classe, ad anno scolastico già iniziato, e lei ci risponde di aver avuto qualche difficoltà (poi velocemente superata, anche grazie all’aiuto dei professori) con lo spagnolo e la matematica.
Alla domanda «qual è la cosa che ti porterai nel cuore, scegliendone solo una fra le belle esperienze vissute», Margherita ci risponde con queste parole: «L’amicizia con Philippa, la mia amica tedesca, che poi è continuata anche una volta lasciata la Nuova Zelanda, e quella con la mia famiglia ospitante» (ne ha dette due, a dire il vero, ma alle volte è davvero difficile scegliere…).
Infatti un soggiorno all’estero, al di là di tutto ciò che di positivo offre, a partire dalla possibilità di imparare o consolidare una lingua come in questo caso l’inglese, regala una bellissima opportunità, quella di creare dei legami affettivi con persone che, se pur lontane, poi si sentono «vicine» per il resto della vita.
 
Daniela Larentis – [email protected]

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