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Angelica Tarabelli: la grande passione per le arti marziali – Di Daniela Larentis

Unica donna in regione ad avere il titolo di «maestro» di jujitsu 4° DAN: a dispetto del suo angelico nome è davvero una donna potenzialmente pericolosa

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M° Angelica Tarabelli, M° Giovanni Tarabelli e M° Ben. Dario Tarabelli.

Angelica Tarabelli è maestra di ju jitsu 4° DAN (è l’unica in tutto il Trentino A.A. ad avere raggiunto il massimo livello), istruttrice di judo 3° DAN e istruttrice 3° liv. MGA, presso il dojo del M° Ben. Dario Tarabelli (leggasi «Maestro Benemerito»), nonché fiduciaria ju-jitsu Comitato Fijlkam per la provincia di Trento (divide la passione delle arti marziali con il padre e il fratello Giovanni, entrambi maestri di judo).
Osservandola incedere con grazia felina, mai si potrebbe immaginare, solo guardandola, che questa donna dal fisico minuto e perfetto e dall’aria apparentemente inoffensiva sia in realtà potenzialmente molto pericolosa; eppure chi pratica arti marziali sa benissimo quanto ciò che insegna con successo da molti anni sia uno strumento efficace in caso di aggressione e come sia necessario imparare a difendersi, un discorso che vale in modo particolare per le donne (pensiamo alla violenza perpetrata contro molte di loro e ai tristi casi che troppo spesso accadono anche da noi, in Italia).
 
L’abbiamo incontrata per scoprire qualcosa in più sull’arte marziale chiamata ju-jitsu (traducibile in «arte della cedevolezza»), che grazie alle diverse tecniche impiegate rimanda al concetto di difesa personale (ricordiamo che il judo deriva dal ju-jitsu). Prima però vogliamo dare alcune informazioni di carattere generale su questa pratica.
Nell’esaustivo libro del M° Giancarlo Bagnulo, attuale presidente federale nazionale del settore Ju-jitsu (nella foto con la maestra Angelica Tarabelli e il M° Ben. Dario Tarabelli), con la collaborazione di Roberto Ghetti, edito da De Vecchi, intitolato «Ju-jitsu – Le tecniche, la preparazione e l’allenamento» nell’introduzione viene spiegato in modo esaustivo l’affascinante disciplina del ju-jitsu.
Pag. 5: «Per meglio comprendere il valore di questa disciplina sarà bene prendere in considerazione l’etimologia del termine ju-jitsu; l’ideogramma ju racchiude il principio della cedevolezza, intesa come capacità di adattamento alle diverse circostanze, sfruttando a proprio vantaggio l’energia corporea di chi si confronta con noi.
L’immagine dei rami di un salice che si flettono elasticamente sotto il peso della neve, e che dopo averla fatta cadere riprendono la loro forma, offre una rappresentazione immediata del concetto di ju.
Invece il termine jitsu, o jutsu, esprime il significato di scienza o arte, riferendosi allo studio e alla pratica delle tecniche di combattimento». Per quanto riguarda l’evoluzione storica del ju-jitsu ecco cosa è spiegato a pag. 9 nelle note storiche: «Nell’epoca feudale, per tutto il periodo del Medioevo giapponese, sino al decreto imperiale del 1876 che priva i Samurai (i guerrieri d’alto rango) del diritto di portare la Katana (la sciabola) e il Wakizashi (il compagno di cintura, una sciabola più corta) - detti Daisho grande e piccolo, - la definizione di ju-jitsu si attribuiva genericamente alla forma di combattimento a mani nude, e in alcuni casi con armi, praticata all’interno di una moltitudine di Ryu (le scuole di arti marziali) disseminate per il Giappone».
 
Per sapere come questa disciplina veniva impiegata nel passato basta leggere a pagina successiva quanto segue.
«In pratica, il ju-jitsu serviva al Busshi, o meglio al Samurai, per giungere all’annientamento fisico dell’avversario e spesso alla sua morte senza l’uso di armi.»
Anche se è vero che il ju-jitsu diventò un efficace strumento di offesa per chi lo usava impropriamente, si trasformò poi nel tempo tanto da divenire l’arte marziale che noi tutti conosciamo e che viene definita nel libro (pag. 13) come una «disciplina non solo marziale ma di vita» la quale trovò quei valori morali e etici che si erano persi lungo il cammino.
 
In Italia questa tecnica è relativamente recente (ha poco più di un secolo la sua diffusione nel nostro Paese).
È interessante ricordare che nel 1925 fu fondata la «Federazione italiana ju-jitsu e judo» (quella che più tardi venne denominata «Federazione italiana lotta giapponese») che vedeva riuniti gli esperti cultori di ju-jitsu e quelli di judo.
Chi sceglie di avvicinarsi a questa disciplina solitamente lo fa per praticare un’arte marziale attraverso cui poter imparare efficacemente la difesa personale (il ju-jitsu prevede l’insegnamento di proiezioni, leve, combattimento corpo a corpo con disarmo a mani nude da attacchi di vario genere).
 
Chiediamo ad Angelica Tarabelli come sia nata la grande passione per le arti marziali e quanto sia contato, nelle sue scelte, il fatto di essere la figlia del M° Ben. Dario Tarabelli, cintura biancorossa di judo, definibile «il padre» del judo trentino (in quanto fu il primo a fondare nel lontano 1968 la prima palestra della nostra provincia, con sede a Trento).
Ci risponde di aver iniziato a praticare judo fin da piccola, all’età di quattro anni, insieme ai fratelli nel dojo del padre che allora si trovava in Galleria Garbari, a Trento.
Durante la sua infanzia si sentiva affascinata anche dal mondo della danza classica, tanto che passando davanti alla scuola di danza di Via Perini sognava ad occhi aperti di indossare tutù e scarpette, ma in casa era improponibile l’idea di praticare un qualsiasi altro sport che non fosse il judo, del resto con il suo maestro di judo in casa che la esortava, da padre, a imparare a difendersi e visti i tempi (una volta era meno diffuso praticare sport, anche per una questione economica) è del tutto comprensibile.
La passione è cresciuta un po’ alla volta, anche in seguito alle numerose vittorie conseguite sul tatami (il tappeto sul quale si svolgono gli allenamenti e le gare di judo e ju-jitsu); iniziò infatti a partecipare e a vincere gare importanti (arrivò ottava in nazionale, a sedici anni, tanto per fare un esempio).
Già a quei tempi frequentava volentieri l’ambiente del judo; contrariamente a quello che verrebbe da pensare, essendo uno sport individuale, il judo favorisce molto le relazioni e lei, grazie a questo sport, ha avuto modo di instaurare diverse amicizie durate nel tempo.
 
Una volta diventata adulta, da agonista è diventata insegnante, un’attività molto coinvolgente che è nata dall’esigenza di approfondire lo studio della cintura nera, nel frattempo acquisita dopo aver ultimato gli studi, e dalla voglia di dedicarsi alla didattica.
Nel 1994 ha iniziato a studiare ju-jitsu, l’arte marziale che poi è diventata la sua grande passione.
Abbandonata la parte agonistica del judo, era infatti nato in lei il desiderio di studiarne la parte antica, la sua origine, il ju-jitsu appunto, un percorso che è poi sfociato anche nello studio della difesa personale (MGA, il metodo globale di autodifesa, una disciplina che racchiude varie tecniche comuni a varie arti marziali e che consente anche a persone comuni di potersi difendere efficacemente, imparando il confine fra il diritto alla difesa e l’eccesso di difesa). 
 


Le chiediamo di definirci con poche parole il ju-jitsu dal punto di vista pratico e lei ci spiega che esso, sostanzialmente, consiste nell’insegnamento di svariate tecniche di attacco, le quali prevedono una difesa (non dimentichiamo che era l’arte di guerra degli antichi samurai, i quali avevano un preciso codice d’onore). C’è l’attacco da pugno, la difesa da presa al collo e così via, possiamo dire che si avvicina molto al concetto di difesa personale.
Ma perché, le domandiamo, una donna, dovrebbe scegliere di praticare ju-jitsu rispetto ad altre arti marziali?
Lei ci risponde precisando che sono tutte valide le arti marziali, tutte molto belle, tuttavia il ju-jitsu è particolarmente affascinante perché rappresenta il connubio fra forza e dolcezza, una caratteristica, questa, che attrae molte donne, anche se questa disciplina è amata molto anche dagli uomini (la praticano giovani e adulti di tutte le età).
Attraverso questa pratica si impara la determinazione, ad esercitare il controllo di sé, a percepirsi nello spazio, ad acquisire dolcezza nei movimenti, a difendersi; è un’arte marziale molto completa ed efficace che insegna a sfruttare la forza del nemico a proprio vantaggio ed è rappresentata simbolicamente, come il judo, dall’acqua.
Come questo elemento si adatta al recipiente che lo contiene, al terreno su cui scorre, anche il ju-jitsu insegna l’adattabilità e, come l’acqua, può essere distruttiva.
 
Le domandiamo poi che consigli si sentirebbe di dare a chi volesse avvicinarsi al ju-jitsu e lei ci risponde dicendo che l’unico consiglio che può dare è quello di non avere fretta, poiché il ju-jitsu insegna ad affrontare le difficoltà esercitando la pazienza, la tenacia, i risultati vengono per tutti, ma occorre impegnarsi e saper aspettare.
Dopo una vita di successi, siamo curiosi di sapere se lei provi emozione durante una gara e quale sia l’approccio mentale più adatto per poterla affrontare; così ci svela di emozionarsi ancora prima di una competizione, ma di saper esorcizzare la paura (che viene a tutti, indipendentemente dal livello raggiunto, poiché in ogni gara ci si impegna a dare il meglio di sé) pensando a qualcosa di positivo («Io penso a mio fratello Gianni e dentro di me sorrido», ci svela, riferendosi a Giovanni Tarabelli, maestro di judo 5° DAN, con il quale sta affrontando gare di kata molto impegnative) e controllando il respiro.
Ci ricorda uno dei momenti più emozionanti della la sua carriera, la recente gara di kata (di judo), nella quale lei e il fratello Giovanni sono arrivati terzi, tenutasi a Catania nel luglio del 2014. In quell’occasione ci racconta di essere scoppiata in lacrime, tanta era l’emozione accumulata.
 
«Abbiamo voluto dare, mettendoci in gioco attraverso queste gare, l’esempio ai nostri ragazzi, insegnando loro che nelle arti marziali si ha sempre la possibilità di migliorare e imparare, anche dopo aver ottenuto la cintura nera, chiaramente allenarsi comporta grande sacrificio.»
Infatti, lei e il fratello sono impegnati in una serie di gare importanti che li porteranno, questo è il loro sogno, a partecipare ai mondiali di kata di judo, che si terranno nel 2015 (prima ci saranno vari step da superare, varie qualificazioni, alcune gare sono già avvenute, come quella di Eraclea che li ha visti salire sul podio da vincitori il 9 novembre 2014).
E noi non possiamo che augurare loro un meritato successo, concludendo ricordando la figura di Jigoro Kano, il quale nel 1882 fondò una sua personale scuola di Ju-jitsu (riformando il vecchio Ju-jitsu, spogliandolo dagli antichi aspetti più pericolosi e creando la disciplina del judo). Fu proprio lui a intuire il grande valore educativo della pratica delle discipline marziali, le quali trasmettono forti valori, come il rispetto, la disciplina, il saper lavorare con gli altri e così via.
Una filosofia di vita, oltre a una pratica sportiva, che potrebbe essere utile a molti: pensiamo al mondo in cui viviamo, dove imperversa la violenza contro le donne, dove la libertà individuale è sempre più minacciata, dove imparare a difendersi è diventata una priorità.
Per tutti.
 
Daniela Larentis – [email protected]
 
Cliccando l'immagine che segue si apre il filmato con Angelica Tabarelli.

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