Ognuno ha la sua croce – Di Daniela Larentis
«Non sempre è facile affrontare la sofferenza, per alcuni può essere utile ricordare le parole di un Papa divenuto Santo»
Ognuno ha qualche prova da superare nella vita, qualche difficoltà più o meno grande da affrontare, spesso una vera e propria croce da portare sulle proprie spalle, un peso non certo richiesto e che il più delle volte viene percepito come immeritato (leggasi: sempre).
Quante volte questo pensiero ci ha sfiorati, magari riferendosi alla sofferenza non solo propria, ma a quella degli altri (per esempio a quella delle persone alle quali si vuole bene). Poi, riflettendoci, un problema che prima sembrava insormontabile si ridimensiona confrontandolo mentalmente con tutto ciò che di peggio sarebbe potuto succedere.
C’è un detto dialettale che dice: «Ognùn el va en piàza con la só crós e po’ el tórna con la só crós» (tradotto: «Ognuno va in piazza con la sua croce e torna con la propria»).
Secondo la saggezza popolare, un giorno la gente - stanca della propria sofferenza - è scesa in piazza con la propria croce per vedere se riusciva scambiarla con quella di un altro.
Dopo decine e decine di scambi di vedute e di trattative, alla fine sembra che ognuno abbia pensato che in fin dei conti la propria croce era meno pesante di quella degli altri, riportandosela così a casa.
Che poi si riesca a superarlo o meno, c’è da dire che non è sempre facile accettare il dolore, farsi forza davanti a qualche grosso dispiacere.
Alle volte ci vuole davvero tanto coraggio e molta, molta, moltissima pazienza oltre che una sana dose di speranza. Lo sanno bene parecchi dei malati che affollano le stanze degli ospedali.
In relazione alla recentissima canonizzazione di Papa Giovanni Paolo II, ossia alla dichiarazione ufficiale della sua santità da parte della Chiesa cattolica (avvenuta unitamente a quella di Papa Giovanni XXIII), è bello rileggere il messaggio spirituale del Papa polacco, parlando di sofferenza, contenuto anche nel famosissimo libro scritto dal giornalista e scrittore Vittorio Messori e da Papa Giovanni Paolo II che rispose alle sue domande, intitolato «Varcare la soglia della speranza» (Arnoldo Mondadori Editore).
Ecco la domanda che viene posta al Papa a pag 67.
«Prospettive grandiose, affascinanti e che, per i credenti, sono di certo conferme ulteriori per la loro speranza. Eppure, non possiamo ignorare come in tutti i secoli anche dei cristiani, nell’ora della prova, si siano posta una domanda tormentosa».
«Come continuare, cioè, a confidare in un Dio che sarebbe Padre misericordioso, in un Dio che – come rivela il Nuovo Testamento e come Ella, appassionatamente, ripete – sarebbe l’Amore stesso, di fronte alla sofferenza, all’ingiustizia, alla malattia, alla morte che sembrano dominare la grande storia del mondo e la piccola, quotidiana storia di ciascuno di noi?».
Ed ecco qui di seguito parte della lunga risposta (pag. 68).
«…Ovviamente, una risposta potrebbe essere che Dio non ha bisogno di giustificarsi davanti all’uomo. E’ sufficiente che sia onnipotente. In tale prospettiva, tutto ciò che fa o che permette deve essere accettato. Questa è la posizione del biblico Giobbe».
«Ma Dio, che, oltre a essere Onnipotente, è Sapienza e – ripetiamolo ancora una volta – Amore, desidera, per così dire, giustificarsi davanti alla storia dell’uomo. Non è l’Assoluto che sta al di fuori del mondo, e al quale pertanto è indifferente la sofferenza umana. E’ l’Emmanuele, il Dio-con-noi, un Dio che condivide la sorte dell’uomo e partecipa al suo destino.»
«Qui viene alla luce un’altra insufficienza, addirittura la falsità di quell’immagine di Dio che l’illuminismo ha accettato senza obiezioni. Rispetto al Vangelo, esso ha costituito certamente un passo indietro, non nella direzione di una migliore conoscenza di Dio e del mondo, ma in quella della loro incomprensione.
No, assolutamente no! Dio non è qualcuno che sta soltanto al di fuori del mondo, contento di essere in Se stesso il più sapiente e onnipotente. La sua sapienza e onnipotenza si pongono, per libera scelta, al servizio della creatura. Se nella storia umana è presente la sofferenza, si capisce perché la Sua onnipotenza si è manifestata con l’onnipotenza dell’umiliazione mediante la Croce».
«Lo scandalo della Croce rimane la chiave di interpretazione del grande mistero della e, che appartiene in modo così organico alla storia dell’uomo. In ciò concordano persino i critici contemporanei del cristianesimo.
Anch’essi vedono che il Cristo crocifisso è una prova della solidarietà di Dio con l’uomo sofferente. Dio si mette dalla parte dell’uomo.
Lo fa in modo radicale: «assumendo la condizione di servo… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce» (Fil 2,7-8). Tutto è contenuto in questo: tutte le sofferenze collettive, quelle causate dalla forza della natura e quelle provocate dalla libera volontà umana, le guerre e i gulag e gli olocausti; l’olocausto ebraico, ma anche, per esempio, l’olocausto degli schiavi neri dell’Africa.»
Questo Papa è stato il Papa della speranza. Il suo messaggio è un grande messaggio di speranza per tutti gli uomini e non può lasciare indifferenti, a prescindere dal proprio credo.
A proposito di speranza ecco ciò che afferma a pag. 245: «E’ cosa molto importante varcare la soglia della speranza, non fermarsi davanti a essa, ma lasciarsi condurre. Penso che a questo si riferiscano anche le parole del grande poeta polacco Cyprian Norwid, il quale così definiva il principio più profondo dell’esistenza cristiana: "Non dietro a se stesso con la croce del Salvatore, ma dietro al Salvatore con la propria croce". Ci sono tutte le ragioni perché la verità sulla Croce venga chiamata la Buona Novella.»
Queste sono le parole di un grande Papa che ha iniziato il suo pontificato con le parole «Non abbiate paura», e forse è proprio della paura che l’umanità intera ha tanto bisogno di liberarsi, ora più che mai.
Daniela Larentis
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