Home | Rubriche | Pensieri, parole, arte | Tutti vogliono vivere in «santa pace» – Di Daniela Larentis

Tutti vogliono vivere in «santa pace» – Di Daniela Larentis

Ma il mondo pullula di persone che litigano in continuazione

image

Lev Tolstoj, ritratto da Il'ja Efimovič Repin nel 1887.
 
Tutti vogliono vivere in santa pace e desiderano condurre un’esistenza magari anche sobria, ma in armonia con gli altri, almeno a parole.
Non piace a nessuno vivere in perenne tensione con il prossimo, eppure il mondo pullula di individui che litigano in continuazione, di uomini e donne che si «sbranano» per le più svariate ragioni, di persone che abbandonano la via del dialogo accecati da un odio sfrenato, travolti dal risentimento (basti pensare a chi è coinvolto in cause di separazione, tanto per fare un banale esempio, oppure a legami familiari che si sgretolano innanzi a interessi da salvaguardare, ad amicizie che vanno a rotoli per questioni sentimentali e a tutta una serie di altre situazioni comuni a tanta gente).
Ognuno si interroghi con onestà intellettuale e ammetta che il contrasto fa parte della vita di noi tutti più di quanto si sia disposti ad accettare. C’è poi chi non riesce a dominare se stesso e finisce col trasformare il proprio rancore in un atto violento. Succede, talvolta.
 
La violenza, qualunque sia la causa che la possa scatenare, non è mai un compromesso accettabile (nel caso delle guerre, per esempio, ma non solo). Non può essere ritenuta sbagliata in un caso e giusta nell’altro: o è ammissibile o non lo è affatto.
Questo è quello che pensa metà dell’umanità, mentre l’altra metà è convinta dell’esatto contrario e cioè che in taluni casi costituisca l’unica soluzione possibile.
Quando si pensa al concetto di «nonviolenza», alla pace (non come semplice buon proponimento secondo una visione buonista, ma come conquista), viene subito in mente la figura di Mohandas Karamchand Gandhi, detto il «mahatma» (che significa «grande anima», appellativo che gli fu conferito inizialmente dal grande poeta indiano Rabindranath Tagore, il quale fu anche scrittore, filosofo e drammaturgo), il leader religioso che guidò il movimento per l’indipendenza dell’India, predicando la rinuncia alla violenza e vivendo in modo umile e nel rispetto di tutti gli uomini («amare e essere giusti nei confronti degli altri», questo sentimento disinteressato verso il prossimo era per Gandhi un atteggiamento etico che derivava dal fatto che tutti gli esseri viventi sono legati fra loro da amore fraterno, in quanto creature di Dio).
Si definiva «un umile cercatore della verità, risoluto a trovarla», infatti lui riteneva che l’uomo dovesse durante la vita avvicinarsi il più possibile alla verità e cioè a Dio.
 
Gandhi tuttavia distingueva tra la nonviolenza del debole, di colui cioè che subisce passivamente l’oppressione, e la nonviolenza del forte, cioè la ribellione all’ingiustizia che non era una forma di rassegnazione, al contrario, era una forma di lotta per la verità.
La nonviolenza, un mezzo per trovare la verità, appunto, non era per lui un atteggiamento di rinuncia alla lotta per paura di subire, ma un atto di consapevole coraggio, l’affrontare l’ingiustizia senza retrocedere.
Anche il famoso romanziere russo Lev Nikolaevič Tolstoj (divenuto celebre ovunque per i suoi romanzi «Guerra e pace», «Anna Karenina», «Resurrezione», oltre che per i suoi racconti giovanili sulla guerra e molto altro) predicò la nonviolenza.
 
C’è chi pensa che essa non sia efficace come mezzo per appianare i conflitti e che non sia affatto una via praticabile.
Difficile intuire dove si nasconda la verità, impegnativo e assai complesso è capire cosa sia davvero giusto fare, alle volte.
I conflitti, comunque (la cui gestione è un compito non certo facile da affrontare per chiunque) esistono, nessuno può negarlo purtroppo, e andrebbero affrontati soprattutto attraverso una politica che avesse a cuore la ricerca di strade alternative.
È importante formare una «coscienza di pace» fra gli uomini, partendo anche da una corretta educazione scolastica
 
Ecco cosa si legge a pag. 158 del libro di Gino Strada, uno dei fondatori di Emergency, l’associazione umanitaria italiana per la cura e la riabilitazione delle vittime di guerra e delle mine antiuomo, edito da Feltrinelli, intitolato «Buskashì – viaggio dentro la guerra»:
«A scuola si va per imparare, per conoscere, per educarsi.
«La scuola dovrebbe essere il luogo in cui, più che altrove, si formano i cittadini: educazione civica, si chiamava ai miei tempi una delle materie più trascurate.
«L’educazione civica dovrebbe essere tra i fini primari della scuola: in fondo, leggere e scrivere correttamente, e far di conto, non sono cose più importanti che imparare a essere cittadini informati, responsabili, rispettosi delle istituzioni, delle leggi e soprattutto dei diritti altrui.
«L'educazione alla pace, a esempio, dovrebbe diventare materia obbligatoria in ogni scuola. Particolarmente di questi tempi. Invece si studiano le guerre – perlopiù memorizzando nomi di battaglie famose – ma non si studia mai la pace.» 
 
Daniela Larentis
[email protected]

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande