Trento «s’illumina d’immenso» – Di Daniela Larentis
«Le installazioni di Matteo Boato e Mariano Detassis vestono di poesia e bellezza la nostra città»
Giuseppe Ungaretti scrisse l’intensa lirica «Mattina» il 26 gennaio 1917 a Santa Maria La Longa, mentre era soldato sul fronte del Carso, durante la Prima Guerra Mondiale.
La brevissima e nota composizione poetica, «M’illumino/d’immenso», esprime efficacemente la ricerca di un’armonia con il cosmo, l’unione dell’uomo in quanto singolo elemento con l’immensità dell’universo, la fusione del finito con l’infinito.
Questo celebre componimento ha un forte impatto espressivo, infatti con poche parole il poeta comunica il proprio stato d’animo, trasmette la propria intuizione, come attraverso un’opera d’arte che, avendo una specifica funzione non solo estetica e decorativa, ma anche espressiva, suscita in chi la sa cogliere una straordinaria emozione.
È ciò che infondono le installazioni dell’artista Matteo Boato e del «showlighting designer» Mariano Detassis, «illuminando d’immenso» la nostra città, non solo durante il periodo natalizio, ma fino ad aprile 2014.
Non chiamiamole «luminarie», perché commetteremmo un grosso sbaglio di valutazione. Le classiche decorazioni luminose a cui siamo da tempo abituati, anche se bellissime, usate per addobbare le affollate vie cittadine durante il Natale, svolgono una funzione puramente decorativa.
Si tratta invece di vere opere d’arte (le più grandi misurano fino a 8 metri per 1,5), strutture fisse in acciaio e luci led a forma di sinuosi animali multicolore, che da Piazza Fiera illuminano le concitate vie fino al Muse, quali quattro mammut allineati in ordinata fila che sovrastano Via S. Croce, per poi incontrare, una volta passati dai Tre Portoni, un coniglio, una medusa, un serpente, un cerbiatto, una farfalla, un elefante, una lucertola, un tucano, un pesce, una rondine, un bozzolo, un dinosauro e una lumaca, fino ad arrivare, dopo il cimitero, di fronte all’emblematica sagoma di un «uomo stendardo», che da solo vigila la via, in prossimità del nuovo sottopasso.
Come l’artista Boato spiega, riferendosi alle sue stesse opere e al significato che sottintendono (l’evoluzione della specie) «l’uomo è così superbo che si eleva ad animale intelligente e super partes per raggiungere il suo olimpo in terra, mentre il resto del mondo animale evolve eternamente».
Ma l’uomo non è al di sopra delle parti. Il famoso naturalista e geologo britannico Charles Darwin, celebre per aver formulato la teoria dell’evoluzione delle specie animali e vegetali, nella sua opera «L’origine delle specie» (1859), sostituì il creazionismo con l'evoluzionismo.
Nel libro di Piergiorgio Odifreddi intitolato «In principio era Darwin - La vita, il pensiero, il dibattito sull’evoluzionismo» (edito da Longanesi), nel capitolo Si evolve l’uomo ecco cosa l’autore a pag. 56 scrive:
«Come narra nella sua Autobiografia, e ripete nell’introduzione de L’origine dell’uomo, Darwin comprese fin dagli inizi che la sua teoria dell’evoluzione per selezione naturale avrebbe avuto grandi ripercussioni: Non appena mi convinsi, nel 1837 o ’38, che le specie erano mutabili, non potei fare a meno di credere che l’uomo dovesse essere regolato dalla stessa legge.
«Perciò presi appunti su questo problema per mia personale soddisfazione, ma senza alcuna intenzione di pubblicarli, perché pensavo che altrimenti avrei solo aggiunto pregiudizi contro le mie opinioni.
«Per evitare che mi si potesse accusare di aver voluto nascondere il mio pensiero, però, ne L’origine delle specie ho ritenuto opportuno aggiungere che con quest’opera è probabile che sarà fatta luce sull’origine dell’uomo e sulla sua storia.»
E proprio all’evoluzione umana rimandano queste meravigliose sagome di luce che accompagnano, illuminandolo, ognuno di noi o il turista verso il Muse, lo sbalorditivo Museo delle Scienze di Trento.
Ecco cosa Odifreddi scrive a pag. 60 del suo interessante libro «Quanto alla classificazione della specie dell’uomo moderno (Homo sapiens), guardando all’albero genealogico dei primati Darwin nota che essa appartiene: alla superfamiglia delle scimmie antropomorfe (Hominoidea); alla famiglia degli ominidi (Hominidae), che comprende anche l’orango; alla sottofamiglia degli omini (Homininae), che comprende anche i gorilla e gli scimpanzé. E al genere uomo (Homo).
Egli deduce che «qualche antico membro della sottofamiglia deve aver dato origine all’uomo», intuendo correttamente che «è alquanto probabile che i nostri primi progenitori abitassero sul continente africano», e spingendosi fino a immaginarseli «coperti di pelo, con le orecchie a punta e la coda, i piedi prensili e i denti canini».
E ci invita a «non chiudere ostinatamente gli occhi, bensì ammettere la nostra nascita e non vergognarcene».
E poi a pag. 64: «Le furibonde reazioni scatenate dal darwinismo, tutt’altro che sopite a un secolo e mezzo di distanza, sono comunque ben comprensibili: esso ha infatti rimpiazzato il progetto divino con la casualità naturale, e declassato l’uomo da grandiosa immagine del creatore a modesta varietà della scimmia».
«Un conflitto sanabile solo col blasfemo sillogismo che diede il titolo a una conferenza citata da Darwin nell’introduzione a L’origine dell’uomo, e tenuta dall’italiano Francesco Barrago all’Università di Cagliari nel 1869: L’uomo, fatto a immagine di Dio, fu fatto anche a immagine della scimmia….»
Queste opere che si stagliano nel buio della notte, sospese come certi ricordi particolarmente luminosi alla finestra di un tempo ormai lontano, rimandano alla semplicità di una vita più autentica intrisa di valori in parte perduti, e invitano, attraverso l’apparente semplicità e la straordinaria magia delle loro forme, a riflettere profondamente sul significato della nostra stessa esistenza (da dove veniamo? Dove siamo? Dove stiamo andando?).
Evocano inoltre, rendendo visibile ciò che è invisibile a molti, un luogo fantastico, popolato da sogni, nei quali solo chi è rimasto un po’ bambino può entrare.
Perché solo nel cuore luminoso dei bambini alberga la speranza di un mondo davvero migliore, più solidale e più giusto, e di un futuro ammantato di luce e di calore, dove la diversità sarà considerata opportunità e ricchezza e dove l’umanità intera sarà finalmente coesa e più felice.
Daniela Larentis
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