L’oppressione porta alla ribellione – Di Daniela Larentis
«Non si devono forzare gli eventi, ma lasciare che le cose si compiano con naturalezza»
A molte persone la parola cinese suggerisce l’immagine del riso alla cantonese, uno dei piatti più famosi della cucina orientale, oppure degli involtini primavera o del pollo alle mandorle e via di questo passo.
Altri vi associano attività commerciali fra le più disparate: un bar in centro, un salone da parrucchiere, negozi di scarpe e di abbigliamento a basso costo.
Taluni, invece, ricordano quel viaggio di piacere appena fatto in Cina, il paese più popoloso del mondo, la collegano alla Grande muraglia e alla città proibita, certuni al volo aereo già prenotato per il prossimo meeting aziendale a Shanghai.
Alcuni pensano al Figlio del cielo, il nome con cui nel 221 a.C. si fece chiamare Qin Shi Huang, il primo imperatore di tutta la Cina, il quale unificò per la prima volta tutti i regni allora divisi in un impero centralizzato, mentre a parecchi riaffiorerà alla mente il nome di Mao Tse-tung, almeno per sentito dire, il rivoluzionario che fu presidente della Repubblica Popolare Cinese e del Partito Comunista Cinese (egli morì a Pechino nel 1976, ultraottantenne).
Tao in carattere cinese.
Ciò che mi ha sempre affascinato di questo popolo è la scrittura, pur non conoscendola. In maniera del tutto approssimativa so che consiste in una serie di disegni (una sorta di ideogrammi da semplici a molto complessi) che rappresentano le cose, segni grafici di un eleganza stupefacente, esteticamente davvero molto belli, e che affascinano, stuzzicandola, la fantasia di noi occidentali.
Ritengo che siano moltissimi (considerando quante cose esistono al mondo) e faccio davvero fatica a immaginare come potrebbe risultare questo stesso articolo scritto in cinese.
Chiusa la parentesi della scrittura, torno al termine cinese e a cosa faccia venire in mente a ognuno di noi. Risulta quasi banale collegarlo al nome di Confucio, il celeberrimo filosofo cinese nato verso la metà del VI secolo a.C., colui che ebbe a cuore la convivenza pacifica fra gli uomini.
Grazie ai suoi insegnamenti il popolo cinese riuscì a vivere in pace e armonia per lungo tempo.
Egli dava molta importanza alla forma (tipo inchinarsi di fronte a una persona più anziana e molto altro), poiché attribuiva un significato profondo a tutte le antiche tradizioni che dovevano essere conservate e non dimenticate.
Il grande filosofo riteneva inoltre che l’altruismo, inteso proprio come l’atteggiamento che spinge una persona a preoccuparsi del prossimo, fosse una qualità innata dell’uomo e dava molta importanza alla famiglia e al rispetto dei figli verso i propri genitori, così come pensava, al contrario, che questi ultimi dovessero essere da esempio per loro ( stesso discorso valeva per i principi nei confronti dei loro sudditi).
Amava quindi i rituali, concepiva una società gerarchica dove l’uomo tesseva di continuo relazioni di reciprocità.
Sua le citazioni «colui che desidera assicurare il bene di altri si è già assicurato il proprio» e «non trascurate di rimediare al male, per piccolo che vi appaia: un piccolo male trascurato, a poco a poco cresce e diventa grandissimo».
Confucio non fu l’unico grande pensatore cinese, più o meno nella stessa epoca, anche se era più vecchio, visse Lao-tse, che scrisse il libro del Tao, una sorta di legge universale che governa la natura e il mondo intero.
L’uomo vi si contrapporrebbe con il suo agire intenzionale, con i suoi pensieri inquieti, le sue brame, ed è per questo che il filosofo raccomandava la calma, invitava a non fare nulla, a non affannarsi, a non agire per non modificare l’armonia dell’universo (non intendeva con questo che bisognava oziare, ma che non era bene imporre i propri desideri al mondo).
L’uomo, sostanzialmente, se voleva vivere felice doveva seguire il Tao e non ostacolarlo.
Cercare di «agire troppo» secondo il Tao è quindi sbagliato.
E come si dovrebbe agire? Non imponendo i propri desideri, agendo con scaltrezza, calcolo, ma seguendo la natura e ritornando alla semplicità, lasciando che tutto si compia naturalmente in modo spontaneo.
A tal proposito mi viene in mente la terza legge di Newton che dice che a ogni forza corrisponde una forza contraria, il che vuol dire, per esempio, che se premo ora la mano contro la parete ho la sensazione che questa mi stia restituendo la spinta.
Applicando questa legge alla vita quotidiana, potremmo finire col pensare che più ci contrapponiamo a qualcosa con forza e più otteniamo esattamente il contrario (creiamo una forza contraria).
E ciò la dice lunga sull’agire degli uomini, a mio avviso. La vita andrebbe in un certo senso «cavalcata» come un’onda, rimanendo in equilibrio come su di una tavola da surf, non andrebbe presa sempre di petto, gli eventi non andrebbero mai forzati.
In altre parole non si può opprimere e pilotare il prossimo, né controllare il mondo!
Imporre agli altri i propri desideri, coltivare insane aspettative (non vanno confusi con il saper consigliare, se richiesto) non porta mai a risultati durevoli, anche se fatto a fin di bene.
Come nel caso di chi vuole forzare la volontà di un figlio, per esempio, scegliendo per lui gli amici, decidendo per lui quale scuola frequentare, a quale università iscriversi ecc., oppure di chi, sempre a fin di bene s’intende, vorrebbe «trasformare» il proprio compagno/compagna, marito/moglie, suggerendo il look da adottare, quale sport praticare, o quale stile di vita adottare, assecondando più la propria brama di perfezionismo che spinti da un autentico desiderio di veder felice il prossimo.
Lasciando perdere Isaac Newton, Lao-tse paragonava il Tao all’acqua, ecco cosa scrisse a proposito, a pag. 18, nel capitolo «Tornare alle qualità naturali» (Tao tê Ching edizione TEA con l’introduzione di Claudio Rugafiori, a cura di Fausto Tomassini).
Il sommo bene è come l'acqua:
l'acqua ben giova alle creature e non contende,
resta nel posto che gli uomini disdegnano.
Per questo è quasi simile al Tao.
Nel ristare si adatta al terreno,
nel volere s'adatta all'abisso,
nel donare s'adatta alla carità,
nel dire s'adatta alla sincerità,
nel correggere s'adatta all'ordine,
nel servire s'adatta alla capacità,
nel muoversi s'adatta alle stagioni.
Proprio perché non contende
non viene trovata in colpa.
Praticamente dovremmo essere un po’ come l’acqua, umili, limpidi, adattabili alle situazioni della vita.
C’è da dire che questa filosofia è davvero difficile da capire e da accettare per noi occidentali, portati a ragionare secondo una sequenza logica di «causa-effetto».
Per Lao- Tse, invece, l’effetto non scaturiva dalla causa, ambedue erano, come dire, le due facce simultanee della stessa verità.
Qui di seguito trascrivo ciò che scrisse a proposito del «non agire» (pag. 63), (atteggiamento opposto a quello attivo e impegnato del confucianesimo).
Quei che volendo tenere il mondo
lo governa,
a mio parere non vi riuscirà giammai.
Il mondo è un vaso sovrannaturale
che non si può governare:
chi governa lo corrompe,
chi dirige lo svia,
poiché tra le creature
taluna precede ed altra segue,
taluna è calda ed altra è fredda,
taluna è forte ed altra è debole,
taluna è tranquilla ed altra è pericolosa.
Per questo il santo
rifugge dall'eccesso,
rifugge dallo sperpero,
rifugge dal fasto.
Bisogna quindi lasciare che le cose si compiano con naturalezza e spontaneità, senza forzature né manipolazioni, anche socialmente, ed è per questo che si dovrebbe badare bene a non opprimere troppo la gente, perché così facendo la si induce a ribellarsi.
Dare al popolo ciò che vuole, senza, al contrario, plasmare la sua volontà alla volontà di chi governa, è cosa saggia.
Tao o non Tao.
È il buon senso che lo suggerisce a ognuno di noi.
Daniela Larentis
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