La bellezza non è un reato – Di Daniela Larentis
Non lo sono nemmeno i concorsi di bellezza: giudicare superficialmente è sempre un atto di stupidità
Alexander Gottlieb Baumgarten fu un filosofo tedesco del Settecento (pare che sia stato proprio lui il fondatore dell’estetica filosofica); egli dava molta importanza all’estetica, tanto da essere convinto che influenzasse ogni scelta quotidiana e che non riguardasse, quindi, solo il mondo dell’arte.
Secondo il filosofo, attraverso le percezioni sensoriali veniva percepita l’idea di brutto o di bello e, sintetizzando al massimo, pensava che quello che veniva percepito come bello da un singolo individuo, in realtà fosse percepito tale anche da tutti gli altri, altro che «non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace»!
Pur ritenendo, personalmente, che il concetto di bellezza sia almeno in parte soggettivo, credo che una qualsiasi cosa ritenuta bella debba in qualche modo essere collegata all’idea dell’armonia che la stessa suscita.
Come per dire che più un qualcosa ci appare armonioso, generalmente, più lo percepiamo come bello.
In realtà sono molti i fattori che concorrono a formare l’indice di gradevolezza estetica; in tal senso quello che può sembrare bello al tale, può apparire meno bello o addirittura brutto all’altro, perché nella valutazione si è di fatto influenzati anche da caratteristiche come il portamento, il carisma, la simpatia ecc. (basti pensare al fatto, per esempio, che un viso sorridente sembrerà sempre più luminoso e piacevole dello stesso imbronciato).
Quando ci si riferisce alle persone (e non a tutto il resto), spesso la bellezza non viene considerata come un valore aggiunto, al contrario di quello che si potrebbe pensare di primo acchito, ossia una qualità da considerare alla stregua di tutte le altre, ma viene in un certo qual modo «penalizzata» perché ritenuta effimera (anche se da un lato aiuta in più di un’occasione).
Ma essere belli non è un reato e giudicare con superficialità è sempre un atto di stupidità; la bellezza è una qualità come tutte le altre e non rappresenta affatto un disvalore.
C’è chi non la considera un elemento prioritario, chi non le dà affatto importanza. Anche questo non è un crimine.
Chi non fa nulla per valorizzarla e chi, pur avendola, non le attribuisce un particolare pregio. Il mondo è bello proprio perché è vario e ognuno ha la propria sensibilità a riguardo.»
A questo punto sorge spontanea una riflessione: non si va forse nelle gallerie d’arte o nei musei per ammirare lo splendore delle opere dei vari pittori?
Non si ascolta volentieri, apprezzandone l’armonia dei suoni, un concerto di musica classica, per esempio? Non si rimane basiti di fronte alla gradevolezza di un paesaggio mozzafiato, tanto da arrivare a commuoversi, talvolta?
E perché allora, ammirare la bellezza nelle persone suscita tanto scalpore? Tanto disagio? Tanti fraintendimenti?
Che non siano invece i soliti triti e ritriti luoghi comuni, basati su giudizi del tutto superficiali, a suscitare sterili critiche (come quelle mosse nei confronti di manifestazioni dove viene esaltata la grazia e l’avvenenza femminile, per esempio la manifestazione di Miss Italia e non solo) da parte di chi strumentalizza, a tutti gli effetti, un meccanismo umano del tutto frequente e cioè l’ammirazione di ciò che è bello (J. Keats, il famoso poeta inglese esponente di spicco del romanticismo, scrisse che «una cosa bella è una gioia per sempre»).
Nessuno si scandalizza di fronte a chi ammira l’estetica di un edificio, l’incanto di un giardino, il fascino di un bosco quando la luce si insinua attraverso i rami intricati delle piante fino a formare evanescenti giochi di luce, perché allora tanto scalpore nell’ammirare l’armonia delle forme umane durante un concorso di bellezza?
Come un bel fiore non teme palesare la propria beltà e non si preoccupa di essere per questo mal giudicato, dato che la natura lo ha dotato di tale dono, anche l’uomo (inteso come genere umano) dovrebbe fare altrettanto.
Alcune persone confondono patate per carote.
Travisano, intravedono il male dove non c’è, senza rendersi conto che quello che svaluta il ruolo femminile nel mondo non è certo vedere delle ragazze sfilare su una passerella (c’è chi non lo farebbe mai perché ha differenti interessi, e meno male, non tutte potrebbero aspirare a diventare modelle, come non tutte potrebbero diventare astronaute, medico, manager, campionesse di judo o di un qualsiasi altro sport, perché per taluni ruoli occorre per forza di cose possedere determinate attitudini o caratteristiche, la bellezza in questo caso), ma è l’uso improprio del proprio corpo che dovrebbe sollevare obiezioni.
È la manipolazione del prossimo che dovrebbe spaventare.
È come si sfruttano le proprie qualità che dovrebbe, eventualmente, essere messo in discussione, analizzato alla ricerca del fine (che può essere a mio avviso giusto o discutibile).
È l’atteggiamento di quelle donne che utilizzano il proprio posteriore per un avanzamento di carriera, per accaparrarsi un favore, per accalappiare uomini che le possano mantenere, perché non hanno altro interesse nella vita che quello di ottenere un qualcosa che altrimenti non riuscirebbero a raggiungere senza dover faticare, che sfruttano la propria fisicità (non necessariamente la propria bellezza, perché magari non sono nemmeno straordinariamente belle) che dovrebbe invitare a una sincera e obiettiva meditazione.
Non tutte le donne sono interessate alla mercificazione di se stesse, alla mistificazione, alla persuasione occulta, tutte «attività» che non hanno nulla a che vedere con la bellezza, ma con la propria indole e il proprio carattere, e non certo dovrebbe insospettire chi sfila sfoggiando la propria grazia senza secondi fini (le aspiranti miss sono spesso ragazze impegnate anche nello studio o nel lavoro che stanno semplicemente rincorrendo un sogno e che sono disposte anche al sacrificio per questo, mettendosi in gioco).
Ma scusate, chi la farebbe mai una dieta da fame e una vita che al di là dell’apparenza è anche costellata di rinunce, se non una persona spinta da una forte motivazione?
E questo vale per tutti i sogni che si vogliono raggiungere, perché tutti sanno che dietro a un obiettivo che si vuole conseguire c’è sempre un grande spirito di sacrificio e una grande determinazione, ambedue qualità da non sottovalutare, secondo la mia modestissima opinione.
È forse vietato sognare?
Perciò chi spara a zero sui concorsi di bellezza dovrebbe soffermarsi a riflettere più a lungo sulla questione, a parer mio, spogliandosi dell’ipocrisia, non rimanendo ad annaspare in superficie, crogiolandosi nella banalità dell’apparenza.
Pontificare affrettatamente, quello è sbagliato! Andare a fondo delle cose, al contrario, è un favore che si fa a se stessi per primi, più che agli altri.
Ogni individuo possiede determinate caratteristiche sia positive che, ahimè, negative (chi non ha difetti alzi la mano …): bellezza, intelligenza, (si dice che ne esistano di sette tipi), simpatia, spiccata umanità e chi più ne ha più ne metta, e a seconda dell’uso che se ne fa si può concorrere a migliorare o a peggiorare l’esistenza propria e quella del prossimo.
Già, perché era Narciso, personaggio della mitologia greca, che amava solo se stesso e gli costò molto caro, oltretutto.
Figlio della ninfa Liriope e del fiume Cefiso, già alla nascita vide tracciato il suo destino per bocca di un indovino, il cieco Tiresia, al quale la madre si era rivolta per sapere se sarebbe vissuto fino alla vecchiaia (lui le rispose che lo avrebbe fatto fino al momento in cui avrebbe conosciuto se stesso, leggasi «avrebbe visto la sua immagine»).
Divenuto di una bellezza sconvolgente, disinteressato completamente alle ragazze così come ai ragazzi (ci fu perfino chi si ammazzò per lui), un giorno Narciso si accostò alle rive di un lago e, intravedendo la propria immagine, se ne innamorò perdutamente.
Invaghitosi di se stesso, ma sentendosi respinto dalla sua stessa sembianza che improvvisamente svanì nelle increspature dell’acqua, per sbaglio o per foga che sia stata si uccise, pare si pugnalò, (esistono varie versioni, ma io mi attengo a questa), facendo riecheggiare nell’aria la parola «amore» (l’eco, il fenomeno acustico prodotto dalla riflessione delle onde sonore contro una barriera, che vengono nuovamente sentite un po’ in ritardo).
Più o meno è così la storia, tanto per dire che per alcuni la bellezza può anche essere fatale. C’è chi vi preferisce un panino al prosciutto, questione di punti di vista, dopotutto…
Daniela Larentis
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