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Ci si attrae per «affinità elettive» – Di Daniela Larentis

«Come l’acqua si mescola con il vino, ma non con l’olio, anche noi umani ci comportiamo in modo simile»

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Osservando un rigoglioso cespuglio di ortensie, non si può che riflettere sulla natura umana.
Questa pianta incantevole cresce lussureggiante solitamente non in pieno sole (poiché ha bisogno di molta acqua), ma vive meglio all’ombra e dà fiori di colore diverso in base agli elementi contenuti nel terreno (per alcune specie vale questa regola: se il terreno è alcalino i fiori cresceranno rosa, rosso oppure bianchi, se è acido i fiori diverranno blu o violetto).
Necessita inoltre di una terra ricca di nutrimento, oltre a un’abbondante acqua, mentre l’olivo, una pianta molto longeva, richiede sole e un terreno con un buon drenaggio, in cui non si possano formare ristagni idrici, tanto per citare una specie con diverse esigenze.
 
Anche gli uomini, come le piante, hanno necessità differenti e per vivere bene ognuno ha bisogno di individuare i propri elementi indispensabili, intuire i propri bisogni più profondi, azzeccare il proprio habitat.
Infatti, ciò che può rendere felice una persona può rappresentare, al contrario, l’infelicità per un’altra.
 
C’è chi predilige una vita molto dinamica e si sente spegnere in un contesto troppo statico, chi, al contrario, trova nella tranquillità una dimensione più rassicurante che più gli corrisponde, c’è chi odia i cambiamenti e chi li agogna, chi ama con razionalità e chi seguendo l’istinto, chi vuole stabilità e per ottenerla è pronto a sacrificare molto, chi si nutre di ideali e non si cura della precarietà dell’esistenza, chi è puerile anche a cento anni e chi è maturo a venti, chi si avvicina a qualcun altro attratto da valori condivisi e chi per l’esatto contrario, magari sperando di salvare qualcuno da se stesso (la sindrome da crocerossina, un fenomeno molto diffuso fra le donne, anche tra le persone più insospettabili, dilaga anche fra gli uomini).
E il discorso vale anche per le piante; ve ne sono di esotiche, come la Plumeria dai profumatissimi fiori (nota con il nome di Frangipani), che amano il sole e non necessitano di molta umidità, e altre, come le Ninfee, che vivono lasciandosi lambire dall’acqua, dotate di radici che non si ancorano al terreno, ma galleggiano sommerse, garantendo comunque un costante nutrimento.
 
Esistono individui che avvertono fortissimo il richiamo di oltrepassare i limiti (spesso complicandosi le giornate in modo perfino esagerato per questo), perennemente in cerca di un qualcosa che una volta trovato non basterà a colmare la loro sete d’esperienze, e altri che hanno bisogno di un’esistenza meno complicata e più lineare (non meno interessante per questo); vi sono poi persone che considerano vivere con semplicità un valore aggiunto, e non un banale modo per semplificare la vita, e altre che la pensano all’esatto contrario.
C’è chi è logico e chi è impulsivo. Chi è riflessivo e posato e chi invece è avventato.
Chi è fatalista e chi razionale, chi è accomodante e docile e chi ha un’indole ribelle.
Chi è bastian contrario perché è alla ricerca perenne di una soluzione alternativa e non si accontenta mai dell’apparenza, ma ama scavare a fondo del proprio animo con incallita testardaggine, forse alla ricerca di una disperata via d’uscita.
Ci sono persone di tutti i tipi, ma anche se simili pur sempre diverse.
 
Ogni individuo ha inoltre un proprio bioritmo: c’è chi si alza al mattino di ottimo umore, magari prestissimo, e chi invece si desta a fatica impiegandoci un po’ a carburare (però alla sera non andrebbe più a letto).
Non siamo tutti uguali, proprio come le piante e i fiori e ci attiriamo a vicenda probabilmente per quello che il grande Goethe, poeta, scrittore, drammaturgo, saggista e pittore tedesco, definì affinità elettive.
Egli, affascinato e ispirato dalle teorie di un chimico svedese di nome Torbern Olof Bergman (il quale, dopo aver studiato l’attrazione degli elementi chimici, scrisse un’opera intitolata Dissertazione sulle attrazioni elettive, in cui teorizzò la spontanea attrazione o repulsione delle parti di un composto al contatto con una diversa altra sostanza), scrisse «Le affinità elettive», il suo romanzo più celebre (venne pubblicato nel 1809 e fece grande scalpore perché divise il pubblico).
 
Il libro narra la storia di Edoardo e Charlotte, i quali dopo aver vissuto un amore giovanile si sposano a un certo punto della loro vita.
La coppia, che vive un’esistenza tranquilla nel loro maniero, si dividerà grazie alle complicazioni generate dalla convivenza con l’amico dell’uomo e con la nipote della donna: a causa delle affinità elettive, che lentamente e inesorabilmente emergono, Edoardo verrà attratto da Ottilie e così succederà anche al capitano che si invaghirà, corrisposto, da Charlotte.
Naturalmente il racconto non finisce qui, ma si complica assai; ciò che importa è il tema centrale del libro, ossia la rappresentazione, attraverso le pagine di un romanzo che invita a riflettere sulla natura delle relazioni umane, proprio di quel tipo di chimica che lega le persone: Charlotte al capitano ed Edoardo a Ottilie (infatti i quattro non potranno che innamorarsi, formando due nuove coppie, ma la storia avrà un tragico epilogo).
 
Così come l’acqua si mescola con il vino, ma non con l’olio, anche noi umani ci comportiamo in questo modo: siamo attirati da alcuni e proviamo repulsione per altri, proprio come gli elementi chimici in natura, tanto per dire che non siamo tutti uguali, ancora una volta (…«E questa relazione sarà diversa a seconda della diversità degli esseri, – continuò subito Eduard. – Alcuni si incontrano come amici e vecchi conoscenti che subito si uniscono e si accordano senza mutarsi reciprocamente in nulla, così come si mischiano l’acqua e il vino. Altri invece restano estranei uno accanto all’altro e non si congiungono neppure quando siano mescolati e strofinati meccanicamente; così come l’olio e l’acqua che, agitati assieme, tornano immediatamente a separarsi.» - IV cap. pag. 47 - Goethe, Le affinità elettive, Newton Compton Editori).
 
Sempre nel IV capitolo, il capitano spiega la teoria delle affinità elettive portando come esempio il processo di formazione del gesso e Charlotte ne individua una similitudine con il genere umano, facendo una triste osservazione.
«Allora ricolleghiamoci subito – disse il capitano, – ma quanto abbiamo già menzionato e discusso in precedenza. Quel che noi chiamiamo calcare, ad esempio, è una terra calcarea più o meno pura, collegata internamente con un debole acido che ci è noto nella sua forma gassosa. Se si mette un pezzo di questa pietra in acido solforico diluito, quest’ultimo attrae la calce e si manifesta con essa come gesso; l’altro acido debole e aereo, invece si volatilizza. Si sono verificate qui una separazione e una nuova unione e dunque ci si ritiene autorizzati a usare la parola affinità elettiva, poiché sembra realmente che una relazione venga preferita all’altra, l’una venga eletta al posto dell’altra.»
…«Il gesso ha un bel dire – aggiunse Charlotte, – ma lui ormai è pronto, è un corpo, è completo, mentre quell’altra povera sostanza scacciata può avere ancora diverse difficoltà prima di ritrovare una sistemazione…»
«Ma l’uomo è pur sempre di qualche gradino superiore a quegli elementi… A me, purtroppo, sono ben noti casi in cui l’unione intima e apparentemente insolubile di due esseri è stata distrutta dal casuale intervento di una terza persona mentre uno di quelli che prima sembravano tanto ben uniti è stato risospinto via, lontano.» (pag. 50)
 
Che siamo diversi gli uni dagli altri, ma tutti con pari dignità, lo teorizzò anche il poeta Kahlil Gibran, nato nel 1883 nel Libano settentrionale, il quale in «Sabbia e schiuma» scrisse:
Alcuni di noi sono come inchiostro,
altri come carta.
E se non fosse per il nero di alcuni di noi,
altri sarebbero muti.
E se non fosse per il bianco di alcuni di noi,
altri sarebbero ciechi.
 
Infine, c’è chi è perennemente protagonista della scena e non si sente in colpa per esserlo, come la rosa, la regina del giardino, di cui peraltro esistono molteplici varietà.
C’è chi vive nell’ombra e non per questo si sente adombrato, come l’ortensia, una pianta dai fiori splendidi, tanto belli quanto tossici, se ingeriti, in quanto assorbono i gas inquinanti presenti nell’atmosfera.
Nel linguaggio dei fiori pare che l’ortensia sia simbolo di capriccio e freddezza, nonché desiderio di fuga, perciò si badi bene al suo significato se si vuole regalarne un mazzo a qualcuno.
Meglio le rose se si ha intenzione di fare colpo su chicchessia: saranno anche più inflazionate, certo, ma almeno non si corre il rischio di vedersele sbattere in faccia in un impeto di rabbia o di finire nell’organico insieme agli avanzi della cena…
 
Daniela Larentis

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