Meglio non dare del «cane» a nessuno – Di Daniela Larentis
«Al contrario, dare dell’uomo a un cane potrebbe, talvolta, non essere considerato affatto un complimento»
Vi sono letture che più d’altre colpiscono per vivacità e ironia e attraverso un’arguta satira invitano a riflettere.
Tra queste gli scritti di Michail Bulgakov, il medico, scrittore e drammaturgo nato a Kiev nel 1891, primogenito di una famiglia di intellettuali ricordato come uno dei maggiori romanzieri del Novecento (La guardia bianca e Il Maestro e Margherita, Cuore di cane fra i suoi romanzi più noti).
Da giovane era vivace e interessato soprattutto alle ragazze più che agli studi: all’età di diciassette anni conobbe la prima delle sue tre mogli e se ne innamorò, sposandola poi nel 1913.
Iscrittosi alla facoltà di Medicina si laureò in ritardo e con il massimo dei voti. Venne poi mandato nella Russia rurale a contatto con la povertà dei contadini e in questo periodo iniziò una prima bozza di «Memorie di un giovane medico».
Sempre in questi anni sperimentò una droga assunta inizialmente a causa di un attacco allergico, esperienza da lui ricordata nel suo racconto «Morfina».
Nel 1918 rientrò a Kiev e aprì un gabinetto medico specializzato in malattie veneree e poi venne inviato nel Caucaso come medico militare, continuando a scrivere, fino a quando un giornale locale pubblicò un suo racconto.
Successivamente decise di abbandonare la professione medica e si dedicò unicamente alla scrittura.
Trasferitosi a Mosca nel 1921, Bulgakov svolse diversi lavori e collaborò con vari giornali e riviste.
Molte delle sue opere furono pubblicate solo dopo la sua morte (morì di una grave malattia nel 1940), in quanto proibite durante gli anni di Stalin; infatti Bulgakov non aveva rapporti idilliaci con chi gestiva il potere (anche se c’è da dire che inizialmente Stalin, avendo assistito all’opera teatrale «I giorni dei Turbin» - rappresentazione teatrale del romanzo «La guardia bianca» - ne rimase impressionato, ma successivamente gli negò l’espatrio, concedendogli tuttavia, nel corso di una famosa telefonata che passò alla storia, di lavorare in teatro).
Cosa assai difficile cercare di capire che tipo di rapporto intercorse fra i due (anche perché non avendo sufficienti elementi per farlo verrebbe da dire il bisogno di considerazione e il desiderio di libertà d’espressione da un lato, una tirannia dall’altro), comunque quelli erano anni bui e Bulgakov patì la fame e visse a lungo in miseria prima di essere assunto in teatro (Majakovskij, il poeta e drammaturgo sovietico cantore della Rivoluzione d’Ottobre, si suicidò sparandosi un colpo di pistola proprio in quel periodo, a causa, si vociferò, della passione non ricambiata per una giovane attrice).
Il libro fantascientifico Cuore di cane di Bulgakov racconta la storia di un medico (uno scienziato che sta svolgendo studi sul ringiovanimento umano), il quale, dopo aver dato ospitalità a un cane randagio presso la sua dimora, decide con il suo bisturi di operarlo, trapiantandogli le ghiandole seminali e la ghiandola dell’ipofisi di un uomo morto.
Dopo l’operazione il cane acquisisce caratteristiche umane (perde il pelo, cammina su due zampe, inizia a parlare ecc.) e subisce una vera e propria metamorfosi, diventando una sorta di piccolo uomo spelacchiato e arrogante che segue tuttavia l’istinto, ribellandosi alle regole della casa e comportandosi in maniera prepotente.
Questa storia è in realtà una pungente critica alla società di allora, una violenta satira nei confronti dell’Unione Sovietica e al contempo un racconto acuto, a tratti grottesco, fantasioso e ironico, che fa riflettere sulla natura umana: è il cane a essersi elevato a uomo o piuttosto è il contrario?
O magari nemmeno questo, ma altro (per esempio c’è da chiedersi fino a che punto può la scienza spingersi in nome del progresso).
Dare del cane a qualcuno ha solitamente il sapore amaro della grave offesa, ma anche dare dell’uomo a un cane potrebbe certo non essere considerato affatto un complimento, talvolta, vista la ferocia e la cattiveria dell’umanità (se pensiamo alle torture, agli stermini, ai soprusi degli uomini, non verrebbe forse da pensare che l’animale sia migliore del suo amico a due zampe?).
Alla fine, comunque sia, l’illustre medico, stanco del comportamento ribelle del cane divenuto uomo ormai incontrollabile e dopo tutta una serie di avvenimenti, deciderà di togliere ciò che ha trapiantato e l’uomo/cane tornerà a essere il normalissimo quadrupede di prima. Lo scienziato distruggerà quindi, infine, la sua stessa opera.
«L’essere superiore, il grande benefattore del genere canino, era seduto in poltrona. Il cane Pallino era sdraiato sul tappeto, vicino al divano di cuoio. Nelle nebbiose mattine di marzo la cicatrice intorno al capo gli procurava un terribile dolore. Ma verso sera, con il tepore, il mal di testa si calmava. Pallino cominciava a sentirsi meglio, e i suoi pensieri filavano via, lucidi e confortanti nel tiepido dormiveglia…» (pag. 126, Cuore di cane, Michael Bulgakov, Newton Compton Editori).
Pur essendo stato scritto nel 1925, questo racconto, interpretabile a più livelli, è per alcuni aspetti non certo anacronistico, poiché solleva interrogativi che riguardano la nostra società e rimanda a temi attuali e controversi.
Così è quasi impossibile, alla fine della lettura, non chiedersi se sia giusto o meno forzare la natura, in nome del progresso scientifico.
Quali sono i limiti da non oltrepassare per soddisfare la propria sete di conoscenza, chi fissa quei limiti e per quale motivo? Condividiamo quella motivazione? E se non la condividiamo, perché non lo facciamo? Qual è il punto della questione? Cosa riteniamo etico e cosa, al contrario, riteniamo immorale? E cosa ci induce a ragionare in quel modo, forse la morale corrente o un autentico convincimento frutto delle nostre congetture?
Ognuno rifletta in piena autonomia, ma rifletta.
Ci sono scelte frutto di naturali conclusioni, pensieri e deduzioni che non possono venir delegati agli altri.
Ognuno ne deve essere responsabile personalmente. Una goccia nel mare, certo, ma gli oceani non sono forse formati da singole molecole d’acqua?
Anche un singolo pensiero racchiude in sé un potenziale grandissimo.
Partorire bei pensieri è una cosa saggia, perché le azioni che seguiranno a quei pensieri non potranno che essere altrettanto accorte e positive.
Gli uomini (inteso come genere umano formato da uomini e donne) sono alquanto bizzarri: da soli credono talvolta di non valere niente (e perciò delegano ad altri ogni sorta di responsabilità, anche quella di pensare per loro, riservandosi poi di criticare l’altrui scelte) o di potere tutto (prevaricando i propri simili senza pudore), non capendo che ambedue i comportamenti non sono che le due facce della stessa medaglia; in democrazia le opinioni di tutti gli individui hanno in realtà un peso e la libertà di pensiero è un inviolabile diritto che ognuno di noi può liberamente e autonomamente esercitare attraverso il voto.
È proprio per questo che «pensare bene» è una grande responsabilità oltre che un’opportunità.
Daniela Larentis
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