Ci sono donne che emozionano – Di Daniela Larentis
«Molte donne non hanno come unico scopo quello di conquistare il genere maschile, il farlo è caso mai è un effetto collaterale»
Ci sono donne che non possono essere dimenticate.
E non, banalmente, per il loro più o meno avvenente aspetto fisico, ma per la loro umanità (si pensi a Madre Teresa di Calcutta, tanto per citarne una), per il modo con cui hanno saputo affrontare e spendere la loro esistenza, per la loro forza d’animo, per la loro intelligenza, per le loro idee, per la loro «grandezza», per aver saputo trasmettere qualcosa di sé: non il loro lato B (senza nulla togliere al fascino di un sedere ben modellato), bensì il loro cervello e il loro cuore. Due organi non privi di attrattiva, in fin dei conti.
Donne che, senza l’intenzione di voler sminuire o ridicolizzare la potente arma della seduzione, magari anche non rinunciando può darsi al sensuale richiamo della lingerie, scelgono comunque, più o meno consapevolmente, di proporsi in maniera alternativa al solito trito e ritrito cliché, forse perché, in fondo, interessate a qualcosa di più eccitante di una guepiere.
Donne che emozionano, anche quando non ci sono più, perché «ciò che si è dentro rimane» e non mi sto riferendo certo agli apparati interni.
Margherita Hack, per esempio, la nota astrofisica scomparsa recentemente dopo una vita spesa a osservare il cielo (e non solo).
Fu lei a scrivere la prefazione al libro dedicato a un’altra grande donna del passato, la prima donna scienziata della storia, Ipazia, matematica, astronoma e filosofa, simbolo dell’amore per la verità (Ipazia, vita e sogni di una scienziata del IV secolo – Adriano Petta – Antonio Colavito – Edizioni La Lepre).
Figlia del matematico e astronomo Teone, nacque ad Alessandria d’Egitto verso il 370 d.C. e morì barbaramente assassinata nel marzo del 415; rappresentante della filosofia neoplatonica pagana, ammirata per la sua bellezza e saggezza, fu considerata nemica del cristianesimo e per questo fu vittima del fondamentalismo religioso (probabilmente per l’amicizia con il prefetto romano Oreste e per le sue idee: pensava infatti che doveva esserci una distinzione fra religione e conoscenza, inoltre conduceva una vita molto indipendente).
Ecco un suo pensiero riguardo all’artista, contenuto nel libro sopra citato a lei dedicato (pag. 321): «L’uomo è posto di fronte a se stesso , entra nella scena cosmica. E abbiamo il non suono, l’artista fa parte dello strumento, e usa il proprio corpo, i colori , i profumi, il movimento, in una creazione plastica dove lo spazio include le forme, e le forme determinano un volume di spazio».
«Quindi musica, pittura, scultura e teatro, non più distinguibili, in un’arte nuova, totale. E l’artista non è quello che trasmette se stesso, le sue emozioni, i suoi momenti, bensì colui che è un mezzo, che riceve e trasmette immagini , che riceve e trasmette suoni.»
«E l’artista non è una categoria a sé, ogni uomo può essere artista in tutto quello che fa: quando lavora, quando suona o canta, nella scuola, quando fa ricerca scientifica, nei suoi affetti familiari. L’artista è l’uomo che sa vivere profondamente, attraverso scelte continue. Una religiosità vera, alla ricerca di qualcosa di più alto dello strumento usato per trasmettere, un religioso della parola, della scrittura, della musica, della pittura, della scienza… in definitiva essere quello che noi siamo e che abbiamo dimenticato.»
Donne come Rita Levi Montalcini, la quale nel libro di Piergiorgio Odifreddi «Incontri con menti straordinarie» (ED. Tea), disse di se stessa, durante l’intervista (rispondendo a una domanda e riferendosi alle condizioni in cui vivevano le donne africane, pag. 128): «Sono femminista nel senso di voler ridare alla donna la dignità umana, e la capacità di utilizzare il cervello. Ma non nel senso del motto: “l’utero è mio e lo gestisco io”. Quella è una stupida frase, che non ha senso. Io credo che l’utero sia sì della donna, ma che il suo frutto sia anche dell’uomo che sta con lei.»
Donne, come ce ne sono molte nella vita di tutti i giorni, che non hanno come unico scopo quello di conquistare il genere maschile (il farlo è caso mai è un effetto collaterale), bensì quello di aumentare la propria capacità di star bene con gli altri e di amare (genitori, fidanzati, compagni, mariti, figli, amici, amiche ecc.), di colmare la propria sete di conoscenza e di mettere alla prova le proprie capacità con curiosità ed entusiasmo.
Concludo ricordando Saffo, poetessa greca vissuta tra il VII e il VI secolo a.C.
Secondo la leggenda si suicidò gettandosi dalla rupe di Leucade a causa di una delusione d’amore (amava, non corrisposta, il giovane Faone), ma pare che questo sia stato solo un espediente.
Che questo presunto amore fosse o no un'invenzione, che lei fosse stata brutta o meno, poco importa, perfino il poeta Giacomo Leopardi la ricordò nella sua poesia intitolata «Ultimo canto di Saffo» (1822), volendo rappresentare l’infelicità di un animo poetico e delicato, rinchiuso dentro a un corpo non troppo bello (come il suo).
Ogni donna vuole apparire bella. Questa è anche una verità.
Ma la bellezza interiore supera, alla lunga, quella esteriore, anche se il Leopardi non sarebbe, posso intuire, dello stesso avviso.
Ma lui era un uomo, dopotutto…
Daniela Larentis
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