Andrea Papi, una vita spezzata – Di Daniela Larentis

Ricordiamo il giovane ragazzo di Caldes ucciso da un’orsa, attraverso l’emozionato ricordo dei genitori – L’intervista

>
Sarà un Natale profondamente triste per la famiglia Papi, il primo senza Andrea.
Andrea Papi lavorava e viveva a Caldes, nella splendida val di Sole, in Trentino, e come raccontano i genitori Carlo e Franca, prima di essere sorpreso da un’orsa lungo una strada forestale, non lontano da casa, e trascinato dall’animale nel bosco, era un ragazzo pieno di vita e sogni da realizzare: si era da poco laureato in Scienze motorie, aveva una mamma, un papà e una sorella a cui era legatissimo, una ragazza che amava e con la quale progettava un futuro, molti amici.
 
Era altruista, cresciuto con solidi valori, partecipava attivamente alla vita della comunità, si dedicava al volontariato, amava lo sport, le attività all’aria aperta.

L'orsa Jj4 (nata nel 2006 in Trentino da due esemplari provenienti dalla Slovenia, rilasciati nell'ambito del progetto Life Ursus) il 5 aprile di quest’anno lo ha barbaramente ucciso, spezzando i suoi sogni per sempre (nel 2020 l’orsa aveva già aggredito due persone, un padre e un figlio sul Monte Peller).

Il corpo di Andrea è stato abbandonato nei boschi di Caldes, dove è stato ritrovato nella notte fra mercoledì 5 e giovedì 6 aprile 2023.
«Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire», scriveva la poetessa e scrittrice Alda Merini, perché le parole possono ferire, annientare. Siamo in un periodo dell’anno difficile per chi ha perso gli affetti più cari.
 
Non vogliamo aggiungere altri particolari in merito a una vicenda di cui si è parlato molto, di fronte a una morte tanto assurda quanto spaventosa.
Evitabile? Non evitabile? Ognuno farà le proprie considerazioni, la nostra intenzione non è certo quella di alimentare polemiche ma solo di ricordare Andrea attraverso il racconto dei suoi genitori.
Di coloro che lo hanno amato e che lo hanno visto crescere. Il loro dolore è immenso e insanabile, meritano rispetto e giustizia.
Ciò che è successo sarebbe potuto accadere a tutti. Dopo averli incontrati a Caldes, abbiamo rivolto loro alcune domande.
 

 
Come era Andrea da bambino?
«Andrea era un bambino molto curioso, intelligente, educato, sensibile, gli piaceva leggere. Caratterialmente era predisposto alle relazioni, nelle discussioni amava fare da paciere, gli veniva spontaneo mediare nelle situazioni conflittuali.
«Dopo aver conseguito il diploma di geometra si è laureato in Scienze motorie a Ferrara. Ha sempre lavorato e studiato, non volendo economicamente pesare troppo sulla famiglia, anche se lo aiutavamo.
«La montagna è sempre stata la sua più grande passione; già da bambino, con la squadra di hockey, in estate andava ogni sabato a fare escursioni. Un amore che lo ha poi accompagnato tutta la vita.»
 
Come viveva il rapporto con l’ambiente? Quali erano le sue abitudini?
«Andrea da sempre amava stare all’aria aperta. Nelle lettere inviate ai media, abbiamo chiesto più volte di non chiamarlo runner.
«C’è una foto pubblicata spesso sui giornali, tratta da Youtube, che si riferisce all’unica gara di corsa che Andrea ha fatto. Non era un runner. In realtà a lui piaceva camminare, vivere il bosco, vivere la natura. Il bosco per lui era un richiamo naturale, amava le escursioni, camminava anche per 30-40 chilometri al giorno senza fatica.
«Lo faceva da solo o in compagnia, con o senza il cane, a seconda del momento. Era previdente, non improvvisava mai mettendosi in pericolo, al contrario pianificava meticolosamente le sue uscite, studiando sulle mappe il tragitto da compiere.
«Era giudizioso, non era certo uno sprovveduto. Capitava che la sera, prima di andare a letto, lo scorgessimo mentre preparava lo zaino, controllandone il contenuto sparpagliato sul tavolo di cucina.
«Organizzava tutto nel dettaglio. Amava fra l’altro fare escursioni lungo i sentieri del monte Peller, l’ultima propaggine nordorientale delle Dolomiti di Brenta.
«Per lui andare a camminare significava ricaricare le energie, era uno sfogo, un’attività naturale che rinvia a una dimensione spirituale. Lui adorava la sensazione straordinaria che si prova ammirando panorami montani di incredibile bellezza, non si stancava mai di respirare l’aria tersa, udire i suoni della natura, il rumore del vento, odorare i profumi del bosco, annusare il profumo degli abeti, dei pini, l’odore del muschio…
«Amava raggiungere le cime e nella fatica compiuta per arrivare alla vetta traeva parte della gratificazione, come sanno bene gli amanti della montagna. In estate affrontava anche vie ferrate, in inverno si dedicava allo sci alpinismo, praticava nordic walking.
«Quando veniva a casa per pranzo, durante le ore di pausa prendeva il cane e usciva a passeggiare per 6-7 km prima di tornare al lavoro. Lo portava fuori due volte al giorno, scegliendo dei percorsi impervi, amava la fatica.»
 
Quali erano i suoi sogni di giovane ragazzo, come immaginava il suo futuro?
«Lui si era laureato in Scienze motorie e voleva diventare preparatore atletico, aprire una palestra. Con Alessia, la sua ragazza che è fisioterapista, condivideva l’amore per la montagna; quest’estate avrebbero dovuto fare una vacanza insieme in Sicilia, con l’idea di andare anche sull’Etna.
«Per le vacanze sceglieva sempre dei luoghi dove c’erano anche le montagne, la Liguria, l’Abruzzo, la Sicilia… Avrebbe voluto andare anche sul Monte Bianco.»
 

 
Andrea è stato aggredito e ucciso da un orso, come ha trascorso quell’ultima tragica giornata?
Mamma:
«Io ero in ferie quella settimana, mi stavo dedicando alle pulizie di casa. Lui andava a lavorare dalle 8 alle 12. Faceva consegne, quel giorno aveva riposo al pomeriggio. È arrivato, abbiamo pranzato insieme e poi è uscito con il cane per un’oretta, rientrando a casa si è lavato, si è ritirato in camera sua, poi verso le 15.30 ha iniziato a prepararsi.»
 
Papà:
«Mi ero appena sbarbato, stavo uscendo dalla porta del bagno mentre lui stava andando via, erano circa le 16.15. Era vestito leggero, indossava calzoncini corti, maniche corte, per questo mi sono stupito nell’osservarne l’abbigliamento, era una giornata fredda il 5 aprile, la coda dell’inverno. Gli ho chiesto dove stesse andando vestito così. Mi ha risposto che stava andando a fare un breve allenamento di nordic walking.»
 
Mamma:
«In quaranta minuti sarebbe arrivato in cima e poi sarebbe ridisceso. Era la prima volta che saliva quest’anno, la sua intenzione era quella di salire a passo veloce, arrivare verso le 17 e poi ridiscendere, entro un’ora e mezza avrebbe fatto ritorno a casa. Sarebbe quindi andato a prendere Alessia nel suo studio alle 19.00 e insieme sarebbero andati a una cena per festeggiare il compleanno del compagno della sorella della sua ragazza.
«Tanti ragazzi facevano quel percorso, chi a piedi, chi con i bastoncini, chi di corsa, chi ancora con la bici. Andrea è partito da casa, ha raggiunto in 5 minuti il centro sportivo delle Contre, ha proseguito sulla strada forestale, imboccando poi un sentiero che porta sulla strada che conduce a malga Grum.
«È arrivato alla meta attorno alle 17, come testimonia un video che ha girato e postato sui social, ma a casa non è più tornato.»
 
Papà:
«Lei (riferito alla moglie n.d.r.), vedendo che alle 18.15 non era ancora arrivato a casa ha iniziato a preoccuparsi.»

Mamma
:
«Verso le 17.30, ho avvertito una sensazione di forte disagio, per un attimo mi è mancato il fiato come se fossi stata colpita da un pugno nello stomaco, tanto che ho dovuto uscire sul poggiolo a prendere un po’ d’aria, con lo sguardo rivolto verso la montagna.
«Avevo un brutto presentimento, tuttavia non potevo fare nulla se non aspettare, la mia macchina quel giorno era dal meccanico.
«Non ero tranquilla, il tempo passava e lui non tornava, a quel punto ho preso la sua macchina e sono andata ad aspettarlo alle Contre. Ho iniziato a chiamare Alessia, la ragazza di Andrea, e mia figlia Laura, chiedendole di chiamare mio marito (che in quel momento era al lavoro).
«Mi sembrava strano che mio figlio non mi scrivesse alcun messaggio e che non rispondesse alle mie chiamate, lui era molto sensibile nei miei confronti ed era solito avvisarmi dei suoi spostamenti. Io a un certo punto sono andata nel panico, non sono riuscita nemmeno a chiamare aiuto, ci ha pensato Alessia.
«Quando sono arrivati i primi soccorritori a qualcuno ho detto che se l’era preso l’orso, ma nessuno lì per lì ha dato peso alle mie parole.»
 
Papà:
«Mia moglie aveva questa forte sensazione, io non l’ho mai avuta. C’è stato un dispiegamento di forze incredibile, fra Vigili del fuoco, Soccorso alpino, Gruppo Speleologico, Carabinieri, Guardia di Finanza di Tione, usciti con le loro squadre di uomini e cani da ricerca per trovarlo.
«Più tardi sono arrivati anche i Forestali, nessuno però sembrava ritenere che Andrea potesse essere stato attaccato da un orso, quella era l’ultima delle possibilità, pensavano tutti ad altre motivazioni, magari a un malore o altro.
«C’erano anche tantissimi ragazzi a cercarlo, amici di Andrea venuti anche da Malè, da Croviana, conoscenti, si era movimentato l’intero paese. Di volta in volta qualcuno ridiscendeva scuotendo la testa, ma di Andrea nessuna traccia.»
 
Mamma:
«Il mio presentimento purtroppo poi si è avverato, Andrea è stato sorpreso su una strada forestale, dove è stato aggredito da un’orsa, ucciso e poi trascinato via. Io quella notte ho pregato che lo trovassero, così da evitare che depredassero il suo corpo.
«Io e mio marito, anche se sconsigliati, lo abbiamo voluto vedere. Come si fa a non voler vedere il proprio figlio? Io, che ho vestito tante persone morte, preparandole per l’ultimo viaggio, come avrei potuto non vedere nostro figlio?»
 
Pensando a lui, alla sua vita, all’amore che nutriva per la famiglia, per gli affetti più cari, per la sua comunità, cosa vi conforta e cosa vi spaventa?
«Ciò che ci spaventa è il pensiero di aver perso un figlio, una persona che non solo voleva bene alla sua famiglia, agli affetti più cari, agli amici, ma anche alla comunità, un ragazzo che amava la vita, attivo nel volontariato, stimato dai suoi datori di lavoro.
«Erano tutti lavori saltuari, lui infatti sognava di aprire un’attività sua, una palestra, ma nel frattempo si dava da fare, mettendo passione in tutto ciò che faceva.
«Andrea è stato pianto da tutti, non solo da noi, lui era una persona molto positiva, trovava sempre il modo di farsi volere bene, amava costruire e non dividere. Questo pensiero ci conforta.»
 
Come avete vissuto da genitori questa devastante tragedia? Vi siete sentiti soli o supportati in un momento di così grande sofferenza?
«La famiglia, i parenti stretti, gli amici, la comunità, il paese, tutti ci sono stati vicini. Nei paesi c’è molta solidarietà, a Caldes ci conosciamo tutti, moltissime sono state le persone che sono venute a trovarci, a telefonarci, a darci conforto, a sostenerci, a dimostrarci vicinanza.
«Dopo la morte di Andrea si è formato attorni a noi un comitato, presieduto da Antonio Cristoforetti, un ex sindaco di Malè, per non dimenticare nostro figlio e per ottenere giustizia per lui, aiutandoci a far fronte alle ingenti spese legali che la gestione della situazione richiede.»
 
Che cosa vorreste far capire a quelle persone che non vivendo in ambiente montano faticano a comprendere appieno le dinamiche di un territorio peculiare come quello in cui viveva vostro figlio?
«Le persone che vivono in zone montane vivono in comunione con la natura, vivono e lavorano in montagna, entrano nei boschi da sempre per le più svariate ragioni, raccolgono funghi, tagliano la legna, camminano lungo le strade forestali, si inerpicano lungo i sentieri, da intere generazioni.»
 
Della spinosa questione è stato detto e scritto tutto e il contrario di tutto: quella che si è consumata a Caldes è una tragedia che a vostro avviso si sarebbe potuta evitare?
«La morte di Andrea si doveva evitare! C’è stata negligenza e mancanza di informazione, non c’è stata una corretta comunicazione sul reale pericolo che correva la popolazione in quel momento.
«Nessun cartello di pericolo o cautela ad avvisare chi entrava sulla strada forestale percorsa da Andrea, solo successivamente è stato collocato un cartello puramente informativo.
«Se fosse stata informata la popolazione del reale pericolo nostro figlio non sarebbe certo salito lungo quella strada forestale.
«L’orso è un pericolo reale, è un animale confidente, non ha paura dell’uomo, non ha antagonisti e come si è visto può attaccare l’uomo e anche uccidere.»
 
Di tutto ciò che è stato detto e scritto cosa vi ha ferito maggiormente?
«Le bugie. Andrea lo hanno ammazzato due volte. Con tutto quello che gli è capitato ben pochi hanno mostrato compassione per lui, rispetto per noi e per una morte assurda ed evitabile; in molti ne hanno parlato come se fosse stata colpa sua. Come se lui se la fosse cercata.»
 
Siamo prossimi al Natale, c’è un augurio, un pensiero che vorreste condividere?
«L’augurio è che in futuro venga data una comunicazione chiara e diretta alle persone, in modo che ciò che è accaduto a nostro figlio possa non accadere più a nessun altro.»

Daniela Larentis – [email protected]