Serge Latouche, ritorno alla frugalità – Di Daniela Larentis

Nel libro «L’abbondanza frugale come arte di vivere» l’autore invita a un ritorno alla sobrietà anche alimentare, alla scoperta delle gastronomie tradizionali

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«L’abbondanza frugale come arte di vivere. Felicità, gastronomia e decrescita» è un saggio fresco di stampa, pubblicato da Bollati Boringhieri (settembre 2022), scritto dall’economista e filosofo francese Serge Latouche.
L’autore conta al suo attivo numerose pubblicazioni, tra le più recenti ricordiamo a titolo esemplificativo: «Come reincantare il mondo. La decrescita e il sacro» (Bollati Boringhieri 2020); «Quel che resta di Baudrillard. Un’eredità senza eredi» (Bollati Boringhieri 2021); «Breve storia della decrescita. Origine, obiettivi, malintesi e futuro» (Bollati Boringhieri 2021).
 
Nel suo ultimo libro parla di felicità, un concetto che troppo spesso si associa al benessere materiale.
Noi viviamo la «solitudine consumistica» della società dell’abbondanza, sempre meno in sintonia con l’ambiente naturale.
Associamo spesso l’idea di felicità alla possibilità di guadagnare più denaro possibile, all’accumulo di beni di consumo.
La società della crescita non è tuttavia più sostenibile. La ricchezza è anche coltivare relazioni, arricchirsi spiritualmente e intellettualmente, mettere a frutto le proprie potenzialità.
Quella proposta è quindi una società chiamata provocatoriamente della decrescita, una società contro gli eccessi dell’iperconsumo, che si batte contro gli sprechi.
 
Otto sono gli obiettivi individuati, riassumibili in 8 R: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, redistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare, un circolo virtuoso di sobrietà già presentato nelle precedenti pubblicazioni.
L’alimentazione gioca un ruolo importante, Latouche mette in luce, fra l’altro, la necessità di un ritorno alla sobrietà anche alimentare.
Un bisogno di frugalità che si contrappone al consumo di cibo spazzatura, proponendo un recupero dell’agricoltura contadina rispettosa del suolo e della vita.
«Anche dal punto di vista della gastronomia – sottolinea, – il primo aspetto del paradigma della decrescita è la messa in discussione dell’ordine globalizzato esistente: si tratta innanzitutto di uscire dalla società dei consumi.
«Questo obiettivo implica naturalmente una lotta contro l’agro-industria e la grande distribuzione, ma anche contro la carestia, la malnutrizione, gli sprechi e i rifiuti.
«Il secondo aspetto – spiega poi – è positivo: si tratta di costruire una società di abbondanza frugale. Una società che favorisce un’alimentazione sana e di qualità legata all’agricoltura biologica e, nella maggioranza dei casi, alla cucina e alla gastronomia tradizionali.»
 
Nel libro c’è un passaggio che invita a una seria riflessione, relativo alla necessità di recuperare l’agricoltura contadina (pag.79):
«Ritrovare l’autolimitazione non significa necessariamente ritornare al passato, ma vuol dire costruire un futuro funzionale e sostenibile, applicando ad esempio le idee rivoluzionarie dell’agronomo Ehrenfried Pfeiffer, il discepolo di Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia e teorico dell’agricoltura biodinamica.
«Si tratta, in poche parole, di passare all’agricoltura biologica e biodinamica, di sviluppare l’agroforestale e l’agroecologia e di incoraggiare la permacultura. In questo senso, la parola d’ordine dell’associazione dei consumatori italiani di consumare a chilometro zero, fatta propria da Slow Food, è del tutto condivisibile.»
 
Precisa qualche riga più avanti: «Naturalmente non si tratta di prendere la parola d’ordine alla lettera e applicarla a tutti i prodotti, ma bisogna tendere effettivamente verso un consumo più locale, più stagionale, senza trasporto e dunque senza emissioni di gas a effetto serra, con zero rifiuti e in sostanza meno stress.
«Il futuro è quello di un’agricoltura meno produttivista ma più produttiva: su terreni più ridotti, il contadino produce meno dell’agricoltore industriale sulle sue centinaia di ettari, ma il consumo di materie prime, e in particolare di energia fossile, è infinitamente minore».
 
I cibi industriali e le bevande gassate ricche di zuccheri favoriscono inoltre la comparsa di numerose patologie, fra cui l’obesità e il diabete, malattie tipiche dei paesi industrializzati.
Occorre quindi optare per un cambio di paradigma, adottando un’alimentazione frugale. In un mondo in cui i rifiuti sono davvero un problema, anche utilizzare gli avanzi, evitando gli sprechi, può essere una buona abitudine.
La vita non si può ridurre a mero consumo, «consumo di tempo, di lavoro e di denaro».
 
Latouche osserva che l’uomo contemporaneo non vive più nel tempo, è vero che viviamo più a lungo «ma senza aver mai avuto il tempo di vivere».
Ed è proprio lui a sottolineare che le società che autolimitano la loro capacità di produzione sono società gioiose: «la gastronomia e la gioia – osserva – sono alla base dell’arte di vivere ispirata alla decrescita.»
Una «decrescita» che va letta come lotta allo spreco a all’accumulo sfrenato, dando valore a uno stile di vita sobrio e a un’alimentazione sana.

Daniela Larentis – [email protected]