Massimo Parolini, «Soglie vietate» – Di Daniela Larentis
La raccolta poetica celebra la bellezza del gesto quotidiano, delle piccole cose che danno un senso alla vita e degli affetti più cari – L’intervista
Foto di © Laura Parolini, Abbandono.
«Soglie vietate» è il titolo dell’ultima raccolta poetica di Massimo Parolini, con prefazione di Umberto Piersanti (Arcipelago Itaca Edizioni, Collana Mare interni 2022). Il volume è accompagnato dalle splendide immagini di Laura Parolini.
La soglia richiama l’idea di casa, di un sostare sull’uscio in attesa di entrare o uscire, ma può anche richiamare il pensiero del superamento di un limite, abbandonando dietro di sé tutte le certezze.
Il titolo della raccolta evidenzia il punto di vista privilegiato del poeta, un’angolazione dalla quale poter osservare l’esistenza: è provocatoriamente un’esortazione a oltrepassare il confine delle proprie paure, «portando - come sottolinea lo stesso autore - la parola in immersione nella vita.»
«Tu ami stare sulla soglia» è l’inizio del dialogo di «Sale improvviso»; attraverso i potenti versi «ho deciso: vivrò da morto| per non morire da vivo |vivrò sicuro di essermene già andato| così darò peso alla vita», Parolini offre un ribaltamento di prospettiva, esprime non tanto l’idea di vivere come se fosse l’ultimo attimo che si ha a disposizione, caricandolo di significato, in attesa del morire, ma come se si fosse dei defunti, ritornati alla vita, che non temono la morte e quindi non intravedono «dietro ogni cosa la sua fine». Quel «solo sapendo di essere già morto| potrò vivere finalmente| nel peso delle cose| nel battito impercettibile| di una foglia presso l’alba» invita a una profonda riflessione.
Sono poesie, quelle afferenti a questa raccolta, che scavano intimamente nella profondità dell’anima, rivelando tracce di vita vissuta. Parolini sonda sé stesso e le sue emozioni, toccando nei suoi versi la concretezza del vivere, la sfera della quotidianità, degli affetti più cari; taluni componimenti sono un omaggio a poeti (toccante la poesia dedicata al giovane poeta Gabriele Galloni, morto un anno e mezzo fa, autore di diverse raccolte poetiche, fra cui «In che luce cadranno» - Rplibri, 2018); altri sono dedicati ad artisti o personaggi noti e meno noti; alcuni scaturiscono da un accorato ricordo di persone scomparse, di amici, taluni affrontano tematiche che attraversano la contemporaneità, legate al fluire del tempo, in altri ancora riaffiorano luoghi e vibranti pagine di storia.
Scrive Umberto Piersanti all’inizio della sua bella prefazione: «È una poesia diretta quella di Massimo Parolini, una poesia che affronta il lettore senza giri di parole, convinta della verità che narra, verità di sentimenti e situazioni. Una riflessione continua l’accompagna, senza però intaccare il racconto.»
Spiega qualche riga più avanti: «[…]Ci sono momenti in cui il negativo sembra prevalere, la poesia è Cartastraccia, la vita è vanatraccia: se, però, c’è una vera rispondenza tra poesia e vita, allora la Poesia senza vita cessa di essere uno sterile grumo e la Vita senza poesia un breve suono.»
«L’impasto di vita e poesia – sottolinea infine, – senza che nessuno dei due termini venga mai annullato, anche se la poesia mantiene sempre un posto fondamentale, è l’elemento portante della scrittura di Parolini e gli conferisce quel senso di autenticità che la pervade.»
Foto di © Laura Parolini - Infine, la luce.
Alcune brevi note biografiche prima di passare all’intervista.
Massimo Parolini è nato a Castelfranco Veneto (TV) nel 1967.
Si è laureato in Antropologia filosofica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. È docente di materie letterarie a Trento dal 1995.
Fra le sue pubblicazioni ricordiamo «Non più martire in assenza d’ali» (Editoria universitaria- Venezia 1994) poesie sulla guerra nella ex Jugoslavia; «La via cava» (LietoColle 2015) che ha vinto nel 2016 il primo premio del Concorso di poesia Nestore (Savona) e nel 2017 il secondo premio del Giovanni Pascoli - L’Ora di Barga; #(non)piove (LietoColle 2018), poemetto dedicato a una giornata di rinascita di d’Annunzio e della Duse ai giorni nostri; «L’ora di Pascoli» (Fara Editore 2020), poemetto dedicato alla riunione del nido della famiglia Pascoli a Barga; «Cerette» (Fara Editore 2020, raccolta di racconti (con cornice veneziana). Nel 2019 ha collaborato con l’artista Giuliano Orsingher nella mostra E-VENTO (sull’uragano Vaia) con il poemetto Lamento per lo schianto (Publistampa edizioni – Fondazione Castel Pergine Onlus). Collabora con alcuni blog letterari.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo e di rivolgergli alcune domande.
Foto di © Laura Parolini, Nadir.
«Soglie vietate» è il titolo della raccolta, può spiegarcene il significato?
«Il titolo richiama un certo modo di osservare l’esistenza, il guardarla da poeta, da spettatore, attraverso una sorta di lente di ingrandimento rimanendo appunto sulla soglia: è il destino della parola, anche poetica.
«È provocatorio, un invito ad andare oltre, portando la parola in immersione nella vita. La soglia deve essere solo un transito.»
A quali periodi sono afferenti le poesie e come è strutturata l’intera raccolta?
«Le poesie sono afferenti a periodi diversi, ho cercato di raccoglierle secondo un ordine che andasse dall’ombra alla luce. La raccolta è divisa in sezioni: nella prima, Oscillazioni, sono raggruppate poesie dominate dall’incertezza, dal dubbio, dall’ambiguità della vita.
«Nella seconda, Sottrazioni, viene affrontato il tema della morte, dei lutti; i componimenti sono un omaggio a persone scomparse, come il collega scultore Primo Micarelli, persona mite, un amico morto d’infarto quando stava per andare in pensione.
«Nella terza, intitolata Mendicando la luce, c’è l’idea di fondo di trovare un’uscita e di andare verso la luce.
«Nella quarta, infine, intitolata Come immagine accolta, che poi è il titolo dell’ultima poesia, nella quale ricorro all’ekphrasis raccontando un quadro del pittore Bendini, emerge la speranza di uscire dal buio della caverna e di ritrovare la luce.»
Foto di © Laura Parolini, Sabina.
«Animula che il mio giorno sfoglia», «mi sei più cara della prima luce», per citare alcuni fra i versi più belli che parlano dell’amore e delle dinamiche di coppia: a chi sono dedicati?
«Ho dedicato a mia moglie Sabina una decina di poesie, fra cui Sirmione. Quella, forse, che più definisce il nostro rapporto è Non chiamare la resa. Lei è l’amore di una vita. Non sempre si è d’accordo su tutto.
«Credo che sia salutare per la coppia non annullarsi, ma incontrarsi in una terra di mezzo comune: è il luogo in cui, se l’amore dura e tu lo metti alla prova, avviene anche lo scontro/confronto generativo. È il luogo dell’incontro ma anche della tregua.
«L’aspetto interessante è che nel superamento dialettico del conflitto può ritornare l’innamoramento stesso.»
Come definirebbe l’innamoramento?
«C’è innamoramento quando l’altro è la prima luce.»
Le sue poesie celebrano la bellezza del gesto quotidiano, delle piccole cose che danno sapore alla nostra vita…
«In questo senso mi sento molto vicino sia a Pascoli che a d’Annunzio, penso anch’io che negli oggetti, dentro gli spazi domestici soprattutto, ci sia anima...»
Un sogno nel cassetto?
«Prima o poi pubblicherò un poema giovanile inedito, dalla struttura molto complessa, che ho scritto durante il periodo universitario.
«Il titolo Neustria è il nome di una farfalla crepuscolare…»
Daniela Larentis – [email protected]