EX POST 2, alla Galleria Civica di Trento – Di Daniela Larentis
Protagonisti della collettiva curata da Gabriele Lorenzoni: Michele Parisi, Mali Weil, Veronica de Giovanelli e Pietro Weber – Visitabile dal 3/10/21 al 7/11/21
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Alla Galleria Civica di Trento è in corso la collettiva «EX Post 2», la mostra sui lavori degli artisti trentini a cui sono dedicati i Quaderni ADAC, a tre anni dalla prima edizione, presentata alla stampa domenica 3 ottobre a Palazzo della Regione dal Presidente del Mart Vittorio Sgarbi.
L’Archivio trentino Documentazione Artisti Contemporanei, voluto dalla prima direttrice del Mart, Gabriella Belli, e fondato dall’intellettuale Diego Mazzonelli, documenta l’attività degli artisti attivi in Trentino.
Dal 2013 ha la sua sede presso la Galleria Civica di Trento; in costante aggiornamento, promuove l’attività artistica, la conoscenza, lo studio dell’opera degli artisti del territorio, con particolare attenzione agli emergenti.
Strumento di collegamento tra museo, artisti, realtà associative culturali e appassionati d’arte, è gestito dal curatore Gabriele Lorenzoni.
I protagonisti di questa nuova esposizione sono Michele Parisi, accompagnato dal saggio di Daniele Capra; Mali Weil – collettivo formato nel 2008 da Elisa Di Liberato, Lorenzo Facchinelli e Mara Ferrieri – con il contributo di Antonia Alampi; Veronica de Giovanelli di cui ha scritto Angel Moya Garcia; Pietro Weber con testo di Jessica Bianchera.
Il rilancio della collana è iniziato nel 2018 con quattro Quaderni, dedicati a Laurina Paperina, con un saggio di Chiara Agnello; Rolando Tessadri, con testo critico di Matteo Galbiati; Luca Coser, per il quale ha scritto Carlo Sala; Christian Fogarolli, studiato da Lorenzo Benedetti.
Le pubblicazioni del nuovo ciclo di monografie abbracciano l’intero periodo della pandemia – con il primo Quaderno rilasciato nel dicembre del 2019 e l’ultimo nel settembre del 2021 – restituendo l’immagine di un museo che, nonostante le chiusure, ha trovato la sua forza nella continua e rinnovata attività di ricerca.
Mali Weil, House of immortalities, Brain, 2015-2016, Courtesy l'artista.
La mostra è quindi un percorso in quattro tappe, una per ogni artista invitato a interpretare gli spazi della Galleria con opere recenti, inedite o site-specific.
Si comincia con Veronica de Giovanelli che presenta cinque opere realizzate dopo il 2018 e un’installazione inedita: tre teche espositive contengono frammenti di carte e tele, derivati da ripensamenti, variazioni, appunti, bozzetti delle opere maggiori.
Una galassia di riferimenti e rimandi che introducono alla visione delle opere pittoriche a parete.
Scrive Angel Moya Garcia nel testo critico che apre la monografia dedicata all’artista.
«Nel lavoro di Veronica de Giovanelli il paesaggio è rappresentato dalla nostra relazione con il mondo, ovvero il risultato artificiale di una cultura che ridefinisce perpetuamente la sua relazione con la natura, tanto che l’esperienza del paesaggio è, in generale e in primo luogo, un’esperienza di sé.
«Allo stesso tempo, emergono i diversi aspetti fenomenici e culturali del paesaggio, la fragilità di esso, il suo continuo mutamento e, in particolare, la stratificazione che racchiude in sé la memoria […].»
Nella seconda sala, trovano spazio due interventi site-specific di Michele Parisi.
Le due opere, che si affrontano e confrontano, sono pensate per offrire allo spettatore un’immersione totale, suggerita dalla scultura inedita, rimando al racconto La cornice che scompare due volte di Ernst Bloch.
La sezione prosegue con una sequenza di opere recenti sul tema del corpo femminile e del paesaggio.
Nella monografia Daniele Capra spiega così.
«La pratica di Parisi è caratterizzata dalla presenza strumentale di più media, ciascuno dei quali è impiegato dall’artista con modalità e motivazioni differenti. Il suo lavoro è anfibio, poiché egli agisce al confine tra fotografia e pittura, entrambi ugualmente presenti nell’opera finale.
«Il processo creativo messo a punto dall’artista è costituito dalla stratificazione di due prassi operative, che avvengono con una successione temporale fissa.
«Ricorrendo al foro stenopeico o alla fotocamera Parisi realizza innanzitutto delle fotografie in bianco e nero del soggetto, che vengono poi stampate in camera oscura su una tela opportunamente trattata con gelatina fotosensibile.
«Successivamente l’artista interviene su quell’immagine con grafite, fusaggine, ma soprattutto con la classica pittura a olio, modificando, alterando o cambiando i dettagli, le luci, la gamma cromatica.»
Mali Weil.
Abbiamo trovato particolarmente interessanti le sue opere. Sottolinea Capra in un passo del suo intervento critico.
«Ripassare a olio un’immagine che già compiutamente esiste e non abbisogna sostanzialmente di altro, emendarla, ribilanciarne i toni, nasconderne o aggiungerne dei dettagli, trasformarla attivamente in altro, equivale a proiettarla geometricamente fuori di sé e del proprio perimetro di significati, alla ricerca di nuovi possibili sensi.
«È un’operazione che è sia concettuale, per le fasi antitetiche di smarrimento/rinvenimento che il processo di riscrittura attiva, che ideologica, per la scelta di un processo manuale che fa della lentezza uno degli elementi chiave.
«Parisi, infatti, è interessato a riplasmare in forma personale (e, per molti aspetti, a-temporale) la narrazione sottesa all’immagine e, insieme, a decelerare il flusso degli eventi per ricondurlo a una dimensione metafisica: i soggetti vanno in stasi, progressivamente rallentati dalla stesura della pittura e dalla stratificazione cromatica, e diventano in questo modo fissi e densi come oggetti, come cose inanimate che attendono il silenzio.»
A nostro avviso, i lavori di Parisi possono rinviare al pensiero di Marc Augè, secondo il quale per riappropriarci del futuro abbiamo la necessità di riappropriarci del tempo, la cosa più preziosa di cui possiamo disporre.
Le opere rarefatte dell’artista richiamano infatti luoghi ben lontani da quelli caotici a cui siamo abituati, spazi sospesi che sembrano invitare, a dispetto della calma apparente che suggeriscono, a una profonda riflessione di natura socio-antropologica.
Secondo l’antropologo «oggi regna sul pianeta un’ideologia del presente e dell’evidenza che paralizza lo sforzo di pensare il presente come storia, che rende obsoleti tanto le lezioni del passato quanto il desiderio di immaginare l’avvenire.»
Michele Parisi.
Ex Post2 prosegue al piano interrato con le terrecotte di Pietro Weber.
Il primo sguardo consente subito un inedito confronto fra un’opera recente e tre maschere del 2001, anno di svolta per la sua produzione artistica. In mostra oltre trenta opere dell’artista, con un nucleo consistente di ceramiche realizzate nel 2021.
Jessica Bianchera evidenzia che «le forme che ritornano nelle sue opere affiorano nella terracotta come sintesi di suggestioni multiple, si mescolano e si contaminano dando vita a nuove soluzioni formali: i gatti magrissimi dalle zampe lunghe e i musi affusolati dell’Africa, gli uccelli della Cappadocia, gli stambecchi e i cervi delle montagne trentine si trasformano in anse e in beccucci, in silhouette difficilmente afferibili a un soggetto predeterminato perché trasformate in un pantheon di idoli senza nome, di icone laiche.
«Con essi Weber risale alle origini della storia dell’uomo – spiega -, ci parla di un tempo o di un luogo in cui le religioni non hanno ancora consegnato all’uomo modelli da venerare e riprodurre, un tempo in cui in cui tutto ciò che di pragmatico e di spirituale esiste, si fonda sul rapporto tra l’uomo e la natura, tra l’uomo e la terra.»
La mostra si chiude con un focus sulla ricerca di Mali Weil. Tre sale in sequenza presentano un video in altrettanti canali: si tratta di un’anteprima del lavoro Forests, che occupa da anni il collettivo. Il film è stato suddiviso in tre sezioni tematiche per garantire una fruizione non cinematografica ma dinamica.
Ogni sala è arricchita dalla presenza di un elemento scultoreo / feticcio.
All’esterno delle sale, si integrano e dialogano fra loro oggetti provenienti da altri due cicli, Aphrodisia e Animal Spirits.
Pietro Weber.
Ogni immagine, suono, oggetto, costituisce un tassello della ricerca di Mali Weil, ben descritta da Antonia Alampi.
«La pratica artistica di Mali Weil è caratterizzata da una spinta costante verso l’indagine e la sperimentazione di tutte le possibilità offerte dall’atto performativo, inteso in un senso molto ampio.
«Si tratta cioè di usare il medium performativo per ogni forma di relazione (con la ricerca, con l’oggetto, con il design, con il pubblico), ma anche in termini di ricerca formale, con l’intento di allargare i limiti della performance come disciplina e come linguaggio. Il riferimento è al concetto di performatività espansa, una definizione di cui solo un’accurata analisi dei lavori e delle potenzialità latenti e insite in ogni cosa che producono rivela ambizione e complessità.»
Daniela Larentis – [email protected]
Veronica de Giovanelli.