La gravidanza al tempo del Covid-19 – Di Nadia Clementi
Problematiche e consapevolezze: ne abbiamo parlato con il prof. Giuseppe Noia, docente di medicina dell’età prenatale al Policlinico Gemelli di Roma
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Il Covid non ha fermato le nascite in Italia e in questi mesi le future mamme, positive al Sars-CoV-2 sono state messe nelle condizioni di sentirsi al sicuro e protette per vivere il «lieto evento» con serenità.
Eppure, sono ancora molti i dubbi e i timori delle coppie che hanno appena iniziato una gravidanza o che hanno il desiderio di «mettere in cantiere» un figlio.
Per informare e rendere più consapevoli le famiglie delle eventuali insorgenze di complicanze da Sars-CoV-2 in gravidanza, abbiamo intervistato il Professore Giuseppe Noia, Docente di Medicina dell’Età Prenatale e Direttore dell’Hospice Perinatale-Centro per le Cure Palliative Prenatali S. Madre Teresa di Calcutta-Policlinico Gemelli (Roma).
Il Professore, nel 2015 ha creato insieme alla moglie Anna Luisa La Teano e all’amica Angela Bozzo, la Fondazione Il Cuore in una Goccia Onlus, di cui è Presidente e responsabile del Braccio operativo medico-scientifico.
Si tratta di un progetto che nasce come conseguenza di una maturazione di pensiero etico e scientifico e di un bagaglio di esperienze costruiti in anni di lavoro, che vengono, così, trasferiti nella Fondazione con la volontà precisa di smuovere gli schemi operativi di una società che considera routine il ricorso all’aborto volontario, specie in presenza di patologie fetali e/o materne; che non permette scelte consapevoli fondate sulla conoscenza, che abbandona le famiglie a se stesse e che scarta il feto malato ponendo la cultura della perfezione a fondamento della stessa esistenza umana.
Info a questo link.
Chi è il prof. Giuseppe Noia Nato a Terranova di Sibari (Cs) il 14/01/1951 Specialista in Ginecologia e Ostetricia e in Urologia. Professore Associato di Medicina dell’Età Prenatale. Direttore Hospice Perinatale – Centro per le Cure Palliative Prenatali – S. Madre Teresa di Calcutta – Policlinico Gemelli – I.R.C.C.S. – Roma. Fondatore e Presidente Fondazione Il Cuore in una Goccia Onlus. Presidente dell’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici (AIGOC). Nominato Consultore Papale del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita del Vaticano (2018). Docente del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, della Scuola di Specializzazione in Ostetricia e Ginecologia, della Scuola di Ostetricia del Policlinico A. Gemelli (dal 1983). Docente del Corso di Perfezionamento e dei Master in Bioetica Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Da diversi anni è impegnato nella ricerca clinica sulle terapie fetali e le cure palliative prenatali e dal 2020 è responsabile scientifico del Progetto Down, progetto di ricerca sulla Sindrome di Down promosso dalla Fondazione il Cuore in una Goccia Onlus in collaborazione con il Policlinico Gemelli di Roma. Dal 1987 ha lavorato a diversi progetti di ricerca (alcuni dei quali sostenuti da enti quali il C.N.R.); tra i vari, il progetto R.A.I.Z. (Riproduzione degli Animali di Interesse Zootecnico) e il Progetto di ricerca xenotrapianto prenatale di cellule staminali emopoietiche in cavità celomatica dell’ovino. È membro di molte Società Italiane ed Internazionali di Ostetricia e Ginecologia e fa parte, da 15 anni, della International Fetal Medicine Surgery Society (IFMSS). È reviewer di due riviste scientifiche internazionali: Prenatal Diagnosis and Therapy; Current Stem Cell Research & Therapy. Di questa rivista è anche membro dell’Editorial Board. È autore di più di 500 pubblicazioni nazionali e internazionali. Vedi altro nel sito web a questo link. |
Professor Noia, quali effetti può avere il coronavirus su una donna in gravidanza?
«Ogni donna in gravidanza è suscettibile di contrarre l’infezione da coronavirus. Le problematiche che vanno affrontate, in caso di coronavirus in gravidanza, riguardano 5 aspetti fondamentali:
1. Il quadro clinico dell’infezione polmonare della donna gravida,
2. Il tasso di abortività spontanea,
3. La prevalenza del taglio cesareo, 4. Il parto pretermine, 5. I meccanismi di prevenzione.
«Per quanto riguarda il primo aspetto, dati non recenti indicavano un 25% di rischio di ospedalizzazione e supporto ventilatorio in caso di polmonite batterica in gravidanza (Madinger N.E.; Greenspoon J.S.; Eilrodt A.G. Pneumonia during pregnancy: Has modern technology
improved maternal and fetal outcome? Am. J. Obstet. Gynecol. 1989, 161, 657-662.)
«Quando la polmonite è invece riconducibile a virus, presenta più alti livelli di morbilità e mortalità (Rigby F.B.; Pastorek J.G. Pneumonia during pregnancy. Clin. Obstet. Gynecol. 1996, 39, 107-119.) e tutto ciò è dovuto al normale cambio fisiologico materno che accompagna la gravidanza, inclusa la immunità cellulo-mediata e le modificazioni della funzione polmonare.
«Nella pandemia del 1918-1919 (Spagnola) il tasso di mortalità per le donne gravide era del 27% anche quando avveniva nel terzo trimestre e si poteva spingere fino al 50%.
«Nell’epidemia del 1956-1957 (Asiatica), il tasso di mortalità arrivava al 10% ed era il doppio rispetto alle donne non gravide, con conseguenze di rottura di membrane, parto pretermine, ritardata crescita intrauterina del feto e morte neonatale.
«La letteratura degli ultimi 10 mesi mostra dei dati differenti, perché in una metanalisi di 21 studi, rilevati dalla segnalazione su donne con Covid 19 in gravidanza, i ricoveri in unità di terapia intensiva erano del 6% e non vi era nessuna morte materna (Mullins E. et al - Ultrasound Obstetrics and Gynecology - Maggio 2020). In una serie del giugno 2020 (Buonsenso D. et al. - Sono J Perinatol - Giugno 2020) su donne in gravidanza con infezione da Covid 19, il 57,14% è guarito e in un’altra serie, pubblicata a Luglio 2020; relativa a 108 gravidanze, i ricoveri in terapia intensiva per polmoniti al terzo trimestre, erano del 2.77% e non c’è stata nessuna morte materna (Mehereen Z. et al. - Acta Obstet Gynecol Scand - luglio 2020).
«Anche nello studio di Juan J. et al. – Ultrasound Obstet Gynecol – Luglio 2020 (24 studi per un totale di 324 donne) il tasso di polmonite grave era tra lo 0 e il 14% con ammissione in terapia intensiva, senza evidenza di morti materne.
«In un altro studio dell’Agosto 2020, i ricoveri in terapia intensiva materna erano del 3% senza alcuna morte materna (Huntley B JF et al. - Obstet Gynecol - agosto 2020; 99 articoli relativi a 538 gravidanze con Sars-Covid 2).
«Per cui, cumulando questi dati dell’ultimo anno, e confrontandoli con le epidemie più famose, la spagnola e l’asiatica, il tasso di mortalità materna da polmonite da Covid 19 è globalmente inferiore ad altre pandemie.
«In merito al secondo aspetto, il tasso di abortività spontanea riconducibile all’infezione da Covid 19 in gravidanza, riferito in letteratura, (Buonsenso D. et al. - Sono J Perinatol - Giugno 2020; Diriba K. et al. - Eur J Med Res - Settembre 2020; 879 articoli relativi a 39 studi per 1.216 donne in gravidanza) è, rispettivamente, del 14.28% e 14.5%, sovrapponibile alle prevalenze di abortività spontanea di donne senza infezione da Covid-19.
«Per quanto concerne il taglio cesareo, la letteratura è abbastanza costante nel riferire prevalenze che vanno dal 76.9 % (Diriba K. et al. - Eur J Med Res - Settembre 2020), 78% (Juan J. et al. - Ultrasound Obstet Gynecol - Luglio 2020), 84.38% (Mullins E. et al - Ultrasound Obstetrics and Gynecology - Maggio 2020), 84.7% (Huntley B JF et al. - Obstet Gynecol - agosto 2020), 91% (Mehereen Z. - Acta Obstet Gynecol Scand - luglio 2020), sia per condizioni di emergenza respiratoria materna, sia per indicazioni fetali.
«Un quarto aspetto importante tra gravidanza e Covid 19 riguarda il parto pretermine che, come per il taglio cesareo, ha delle prevalenze più alte rispetto alla popolazione generale.
«Infatti, parliamo di prevalenze nel 14.3% nel lavoro di Diriba K. et al. - Eur J Med Res - Settembre 2020, 20.1% nel lavoro di Huntley B JF et al. - Obstet Gynecol - agosto 2020, 24.39% nel lavoro di Di Mascio D. et al. - Sono J Obstet Gynecol MFM - maggio 2020, 47% nella metanalisi di Mullins E. et al - Ultrasound Obstetrics and Gynecology - Maggio 2020.
«L’ultimo aspetto riguarda le strategie di prevenzione che, accanto ai consigli di ordine generale valide per tutte le donne gravide, consiglia di effettuare la vaccinazione antinfluenzale per evitare confusioni diagnostiche iniziali e intervenire quanto più tempestivamente in caso di Covid 19.»
Le donne in gravidanza sono una categoria più vulnerabile?
«Dai dati espressi nella precedente risposta, si evince che la donna in gravidanza non è una categoria più vulnerabile ma è una categoria a più alto impatto di parto pretermine e di esecuzione di taglio cesareo.
«Teoricamente la donna in gravidanza viene configurata come una paziente con trend di immunodepressione ma, studi già citati sulla immunità cellulo mediata (Jamieson, D.J et al. Emerging infections and pregnancy. Emerg. Infect. Dis. 2006-12, 1638–164), hanno dimostrato che la condizione immunologica della donna in gravidanza non è riferibile ad una immunodepressione ma ad una immunomodulazione legata al background genetico immunologico individuale e alle caratteristiche dell’agente patogeno che aggredisce l’organismo.
«A conferma di questa affermazione, studi clinici fatti nel nostro Dipartimento al Policlinico Gemelli, non hanno confermato il dato di immunodepressione in gravidanza poiché il dato epidemiologico di shock settico di donne in gravidanza non differiva dalle donne non in gravidanza: la prevalenza era sovrapponibile.»
Quali conseguenze può avere il coronavirus sul bambino in caso la madre abbia contratto l’infezione?
«In termini di conseguenze dobbiamo fare una valutazione con le precedenti epidemie da coronavirus: la MERS e la SARS. I dati aggregati per tutte le infezioni da coronavirus non mostrano maggiore prevalenza di aborto spontaneo, come abbiamo già detto, e soprattutto non vi è maggiore prevalenza di malformazioni fetali.
«C’è però una relazione connessa all’aumentata prevalenza di parto prematuro con tutte le problematiche che la prematurità può determinare, mentre le ripercussioni sulla crescita fetale prese in considerazione, non hanno mostrato una prevalenza di ritardi di crescita del bambino di madre con Covid-19.»
La madre potrà trasmettere il virus al bambino?
«Man mano che vengono accumulati i dati sulle riviste internazionali, rispetto ai primi mesi e alle prime pubblicazioni (Chen H Guo J Wang C et al. - Clinical characteristics and intrauterine vertical transmission potential of COVID-19 infection in nine pregnant women: a retrospective review of medical records. Lancet 2020); (Zhu H Wang L Fang C et al. - Clinical analysis of 10 neonates born to mothers with 2019-nCoV pneumonia. Transl Pediatr.2020) ; (Chen N Zhou M Dong X et al. - Epidemiological and clinical characteristics of 99 cases of 2019 novel coronavirus pneumonia in Wuhan, China: a descriptive study. Lancet 2020); (Li Q Guan X Wu P et al. - Early transmission dynamics in Wuhan, China, of novel coronavirus-infected pneumonia. N Engl J Med. 2020); (Chen H, et al. - COVID-19: early data show no vertical transmission risk in pregnant women. Lancet 13/02/2020), si è passati da una mancata evidenza di trasmissione verticale nei vari trimestri di gravidanza a percentuali di positività nei neonati dal 1.9% (Juan J. et al. - Ultrasound Obstet Gynecol - Luglio 2020) al 2.3% (Cavalcante G. et al. - Cad Saude Publica - Luglio 2020) al 3.7% (Kotlyar A. M et al. - Sono J Obstet Gynecol - Luglio 2020).
«Dai primi lavori, che parlavano di mancata evidenza nel latte, nel sangue, nel liquido amniotico e nelle secrezioni vaginali, nei mesi successivi, su una sintesi quantitativa di 236 neonati, il test del RNA virale è risultato positivo nello 0% su liquido amniotico, nel 2.9% su sangue del cordone ombelicale, nel 7.7% nei campioni di placenta e 9.7% nei campioni fecali e rettali.
«Quindi si può concludere che la possibilità di passaggio possa avvenire, soprattutto nel terzo trimestre o durante il parto, tra il 3% e il 10% dei casi.»
Il bambino sarà sottoposto al test per il coronavirus?
«Certamente. Come per gli adulti e secondo le linee guida che ogni istituzione ospedaliera con punto nascita si è data. L’integrazione tra il test rapido, quello molecolare e il sierologico aiuterà a saggiare e individuare il timing dell’eventuale infezione.
«Tutto l’approccio clinico comunque deve essere sempre fatto in maniera interdisciplinare con medici di diverse competenze poiché non può essere disgiunta la valutazione del bambino dal tipo e dalla gravità dell’affezione materna. Quindi saranno necessarie sinergie diagnostiche e terapeutiche tra il medico di medicina interna, l’infettivologo, l’ostetrico, il neonatologo e gli esperti di microbiologia.»
Cosa si può fare per ridurre il rischio di contrarre il coronavirus?
«Le autorità governative hanno evidenziato l’importanza delle regole per tutta la popolazione e anche per le donne in gravidanza per le quali si consiglia di evitare i contatti ravvicinati e gli assembramenti delle persone, l’utilizzo delle mascherine costantemente e la copertura della bocca e naso con fazzoletti monouso o con la piega del gomito in caso di starnuti o tosse, il lavaggio frequente delle mani con acqua e sapone o con gel a base alcolica, la pulitura delle superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol, non toccare occhi, naso e bocca con le mani, evitare di assumere farmaci senza la prescrizione del medico. Inoltre, per quanto possibile, per le donne in gravidanza sarebbe raccomandabile il ricorso al telelavoro.
«Qualora non fosse possibile, è raccomandata l’assegnazione a mansioni che prevedano limitati contatti con il pubblico o con altre persone (Ministero della Salute Italia; Royal College of Obstetricians & Gynaecologists - Information for healthcare professionals – Version 1; 9 Marzo 2020).»
Come deve comportarsi la madre in caso di sintomi o di sospetta esposizione al virus?
«Innanzitutto, in caso di dubbi, chiamare il proprio medico o i numeri di emergenza dedicati per indicazioni sul comportamento da adottare. Le donne in gravidanza con sintomi indicativi di Covid 19 devono essere avvisate di autoisolarsi fino a quando diversamente indicato, restare in casa ed evitare il contatto con gli altri per 14 giorni.
«È altresì consigliato ventilare le stanze in cui si trovano aprendo finestre, separarsi il più possibile dagli altri membri della famiglia, usando i propri asciugamani, stoviglie, utensili e mangiare in momenti diversi. Inoltre, è fortemente raccomandato non frequentare unità di triage di maternità a meno che non necessitino di cure ostetriche o mediche urgenti, nel qual caso, sono invitate a viaggiare con trasporto privato e avvisare la reception del triage di maternità, una volta sul posto, prima di accedere all’interno della struttura ospedaliera.»
Cosa deve fare in caso di positività al coronavirus?
«Per quanto riguarda il trasporto con ambulanza il gestore della chiamata deve essere avvisato che la donna si trova attualmente in isolamento.
«La paziente dovrebbe preavvertire il personale del PS di riferimento che incontrerà all’ingresso dell’unità assistenziale di maternità; la paziente, indosserà la maschera facciale senza rimuoverla fino a che non venga isolata in una stanza adatta caratterizzata, possibilmente, da un’anticamera per indossare e rimuovere le attrezzature DPI e un bagno privato.
«Solo il personale dovrebbe entrare nella stanza e le visite dovrebbero essere ridotte al minimo.»
Come deve comportarsi in caso di travaglio durante l’isolamento domiciliare?
«Devono contattare l’unità di maternità di riferimento e arrivare alla stessa mediante ambulanza, come abbiamo detto precedentemente.»
L’infezione da coronavirus (sospetta o confermata) può influire sul parto?
«Certamente poiché la valutazione della gravità dei sintomi da infezione da Covid-19 e la sua insorgenza determinano importanti implicazioni perinatali come l’anticipazione del parto (parto prematuro) e l’alta incidenza di tagli cesarei.
«Tutti i membri del team multidisciplinare devono partecipare alla gestione del parto (ostetrico-consulente, anestesista, ostetrica responsabile, neonatologo e infermiere collegate con la gestione della degenza dopo il parto).
«Tuttavia, devono essere compiuti sforzi per ridurre al minimo il numero dei membri del personale che entrano nella stanza valutando caso per caso il personale essenziale per gli scenari d’emergenza. La paziente deve essere costantemente monitorata per la saturazione di ossigeno che non scenda sotto il 94% ai fini di un eventuale intervento con ossigeno terapia mentre il feto dovrebbe essere monitorizzato con monitoraggio fetale elettronico.
«Non vi è evidenza attuale che l’analgesia epidurale o spinale siano controindicate in presenza di Covid 19 ma la finalità è di ridurre al massimo l’anestesia generale poiché l’uso di alcuni farmaci utilizzati nell’anestesia generale possono aumentare l’aerosol e la diffusione del virus.
«In caso di obbligatorietà dell’anestesia generale, il sistema di respirazione dovrà contenere un filtro per prevenire la contaminazione con il virus (dimensione dei pori inferiore a 0.05 micron).»
Potrà allattare al seno il bambino in caso di infezione da coronavirus (sospetta o confermata)?
«In caso di infezione da Covid 19 confermata, gli studi sul passaggio verticale del latte non sono chiari perché si è passati da una mancata evidenza del virus a casi aneddotici di infezione del neonato da probabile fase di allattamento.
«Tuttavia, non è ancora chiaro in maniera fortemente dimostrata se il virus era nel latte o se l’infezione neonatale era legata alla modalità dell’allattamento. È chiaro però che i rischi e i benefici dell’allattamento al seno incluso il rischio di tenere il bambino vicino alla madre devono essere discussi con lei.
«Dai dati prevalenti, i benefici dell’allattamento al seno superano qualsiasi potenziale rischio di trasmissione del virus attraverso il latte materno, per cui le raccomandazioni più recenti, e soprattutto in quei casi in cui le condizioni materne lo permettono e la madre è fortemente motivata all’allattamento, devono essere prese precauzioni per limitare la trasmissione virale al bambino, lavandosi le mani prima di toccare il bambino, il tiralatte o il biberon, indossando una mascherina per l’alimentazione al seno e seguire le raccomandazioni per la pulizia del capezzolo dopo ogni utilizzo.»
La Fondazione che lei dirige «Il Cuore in una Goccia Onlus» dedica attenzione alle situazioni di sofferenza perinatale particolarmente impregnate di solitudine. Qual è la vostra esperienza? Chi si rivolge con quale scopo?
«La Fondazione il Cuore in una Goccia è un progetto d’amore che nasce per dare risposta alle richieste di aiuto di mamme e famiglie che, dopo aver ricevuto una diagnosi prenatale di patologia del proprio bambino, si ritrovano in una condizione di smarrimento e di mancanza di punti di riferimento, sia di tipo medico-assistenziale, che umano e affettivo.
«Rispetto a queste situazioni di grande complessità e difficoltà, che qualora non trovino un sostegno adeguato esitano spesso in interruzioni di gravidanza, il Cuore in una Goccia mette in campo un supporto, per la futura mamma e per la famiglia, che cerca di tenere ben presente tutti i molteplici aspetti, clinici e umani, coinvolti.
«L’attuazione della mission del Cuore in una Goccia si fonda, infatti, sul concetto di medicina condivisa poiché il supporto viene fondato non solo sull’assistenza e la competenza scientifica e sull’utilizzo delle più moderne tecnologie diagnostiche e terapeutiche, ma trova una forte sinergia con il vissuto familiare e testimoniale e il supporto della fede: questi 3 elementi rappresentano il nucleo dell’operatività della Fondazione Il Cuore in una Goccia che ne promuove l’applicazione, in termini di modalità assistenziale completa e integrata, all’interno degli Hospice Perinatali in Italia (in primis quello del Policlinico Gemelli di Roma) e nel mondo.
«Il risultato finale è rappresentato da un modello con alla base 2 concetti fondamentali; il primo è che nessun nascituro, indipendentemente dalla sua condizioni di salute o dalle prospettive di vita, deve essere considerato scartabile, come tanti inducono a credere; il secondo è che anche quando, in presenza di condizioni particolarmente gravi, non possiamo guarire il piccolo paziente, certamente possiamo prendercene cura accompagnandolo nel suo percorso di vita, seppur breve, e offrendogli tutto l’amore che gli spetta.
«Questi due principi trovano la loro naturale applicazione all’interno delle unità di Hospice Perinatale nelle quali il nascituro affetto da patologia, viene curato come un paziente a tutti gli effetti indipendentemente dalla presumibile durata della sua esistenza; viene riconosciuto come figlio e nessuna procedura messa in atto per il suo benessere o la sua cura viene considerata inutile, o peggio ancora, uno spreco.
«È in questi elementi che si rinviene la cultura dell’Hospice per la cui diffusione il Cuore in una Goccia si spende da anni.
«Va, inoltre, evidenziato come, per realtà come il Policlinico Gemelli, si è delineata, dopo 40 anni di esperienza nella gestione di gravidanze patologiche, un’importante evoluzione passata attraverso l’introduzione della terapia fetale e lo studio delle patologie prenatali nel lungo periodo (storia naturale); si è passati infatti dal solo accompagnamento al fine vita, all’apertura di finestre di speranza per diverse condizioni patologiche fetali.
«In particolare, con riferimento alle terapie fetali invasive e non invasive, tali procedure si sono rivelate in alcuni casi risolutive di condizioni patologiche prenatali prima considerate non passibili di alcun intervento; in altri casi migliorative della futura condizione del nascituro e, in altri ancora, esclusivamente palliative, al fine di garantire sempre il massimo benessere possibile per il nascituro.
«Tutto questo patrimonio scientifico e umano messo in moto dalla Fondazione per l’accoglienza dei bambini con fragilità prenatali ha spinto la mission del Cuore in una Goccia ben oltre i confini dell’attività solidale in senso proprio per delinearsi sempre più come vero e proprio servizio sociale.
«In ultima analisi, si può affermare che l’intero lavoro della Fondazione il Cuore in una Goccia, attraverso lo sviluppo di modelli e reti di supporto operanti su più fronti e in sinergia tra di loro, punta a ricomporre una scala di valori che vede al primo posto la tutela della vita nascente e la cura del feto, ovvero il bambino, il paziente, l’essere umano.»
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