Storie di donne, letteratura di genere/ 510 – Di Luciana Grillo
Marta Barone, «Ritratto dell’artista da piccolo - undici infanzie di scrittrici e scrittori» – Una scrittura semplice e lieve, che mi ha affascinata
Titolo: Ritratto dell'artista da piccolo. Undici infanzie di
scrittrici e scrittori
Autrice: Marta Barone
Editore: UTET, 2023
Pagine: 224, Rilegato
Prezzo di copertina: € 16
Quando leggiamo un romanzo, di solito conosciamo il nome dell’autore/autrice e qualche elemento della sua vita. Mai l’infanzia (a meno che non si tratti di Leopardi o Manzoni o – recentemente – di Maraini).
Marta Barone, con semplicità e una sorta di complicità nei confronti dei bambini protagonisti, racconta gli anni dell’infanzia di autrici e autori che più o meno hanno scritto dei loro anni infantili, forse per indicare cosa fosse rimasto in loro di quelle esperienze, di quei rapporti familiari, di quei giochi.
Si tratta di undici persone che, prima di diventare famose, hanno vissuto come tanti altri bambini: Marguerite (Yourcenar) cresciuta con la nonna – che comunque vedeva poco – e con il fratello maggiore (allora si diceva fratellastro perché figlio della prima moglie di suo padre), circondata da un ampio spazio verde e da tanti animali nelle Fiandre francesi; Eudora (Welty) che dalla sua camera, a Jackson, negli Stati Uniti, sente il padre e la madre cantare, lui mentre si rade, lei mentre frigge la pancetta; Gregor (von Rezzori) che vive ai confini con la Romania, in una città che sembra «un serbatoio di senzapatria» accudito dalla bambinaia Cassandra; Ingeborg Bachmann vive in Carinzia, «ha i capelli chiari e le trecce», va in barca sul lago o sui pattini d’inverno, ama leggere, suona il pianoforte insieme alla sorellina minore.
La sua infanzia finisce quando i nazisti entrano a Klagenfurt, lei brucia dal desiderio di studiare, lavorare, scrivere…
Altra infanzia è quella di Anna Maria Ortese, nata a Roma da un padre siciliano, un sognatore che rincorre sempre i suoi sogni e costringe la famiglia a spostarsi frequentemente: Puglia, Napoli, Potenza e poi la Libia, colonia italiana, per tornare ancora a Napoli e vivere in una casa sul mare, dove ha una stanza in cui si rifugia per leggere e scrivere, «lei è sempre sola, e non sa come uscire dal silenzio>>.
Barone continua nella sua ricerca delle infanzie, di Walter Benjamin ed Elias Canetti, di Vladimir Nabokov e Virginia Woolf, di Magda Szabò e Natalia Ginzburg, che si chiamava Natalia Levi: nata a Palermo, vive a Torino con la madre triestina e il padre milanese, noto scienziato e anatomista.
Da bambina, è spesso sola; vede il fratello arrampicarsi sugli alberi con gli amici.
Lei non sa se diventerà una scrittrice o una pittrice, intanto va in montagna con il padre, respira un’aria antifascista, non frequenta la scuola per paura delle malattie, è «assetata di compagnia e incapace di sopportare la volontà del prossimo».
I suoi genitori ricevono in casa gli intellettuali, proteggono Filippo Turati, la sorella sposa Adriano Olivetti, Natalia crescendo sa che, dovunque andrà, sarà accompagnata dalla malinconia, «immobile, sconfinata, incomprensibile, inesplicabile, come un cielo altissimo, nero, incombente e deserto».
Cresce e scrive, scrive, scrive… finché un giovane russo – Leone Ginzburg – apprezza un suo racconto. E si sposano.
Mi fermo qui, sono affascinata da una scrittura semplice e lieve. Mi sembra di aver incontrato questi bambini, sapendo già che – da adulti – li avrei amati.
Luciana Grillo - [email protected]
(Recensioni successive)