Storie di donne, letteratura di genere/ 508 – Di Luciana Grillo
Katya Maugeri, «Tutte le cose che ho perso - storie di donne dietro le sbarre» – L’autrice ha dedicato il suo lavoro «ai sogni infranti delle carcerate
Titolo: Tutte le cose che ho perso. Storie di donne
dietro le sbarre
Autrice: Katya Maugeri
Editore: Villaggio Maori, 2023
Pagine: 112. Brossura
Prezzo di copertina: € 15
La prefazione di Francesco Maisto presenta questo saggio e sottolinea l’importanza che si parli di case circondariali che ospitano detenute, donne «che non smettono mai di raccontarsi», donne che si preoccupano dei loro figli e che per i più piccoli vorrebbero soluzioni abitative diverse, case-famiglia piuttosto che celle.
Importante la conclusione di questa prefazione: «L’orizzonte del carcere deve essere la Costituzione Repubblicana».
L’introduzione dell’autrice chiarisce che Tutte le cose che ho perso «è un percorso introspettivo all’interno di una realtà emarginata, quella carceraria. Ancor più se si tratta di quella femminile».
Maugeri intervista queste donne detenute, che si chiedono e le chiedono: «…Secondo te c’è davvero differenza tra dentro e fuori? Soprattutto se sei una ex detenuta…».
Dunque, il problema non è solo affrontare i tempi della detenzione, ma pensare al dopo. E ci si può pensare se è vero che «tramite la programmazione di iniziative specifiche, è assicurata parità di accesso delle donne detenute e internate alla formazione culturale e professionale».
Il saggio vero e proprio consiste in racconti delle detenute, cella per cella: si comincia con la cella n. 9 dove vive una donna di 70 anni che ha molto amato e molto sofferto.
«Quando ero una bimba supplicavo mia madre per poter andare a scuola e studiare, leggere le poesie, sognare e amare», ma la supplica non veniva ascoltata… «Ho amato un uomo, il padre di mia figlia, anche lui etichettato dal pregiudizio perché un delinquente, un condannato e quindi per sempre un detenuto»… anche lei finisce in carcere, «l’arresto è un fulmine a ciel sereno… diventi una pezza, vivi per inerzia e solo la terapia che concedono a tutti pur di farti dormire diventa la soluzione... Le detenute lo chiamano il carrello della felicità… farmaci che permettono alle detenute di sopravvivere, di estraniarsi da quella dimensione».
Cella n. 8, altra donna, stesso dolore, ricordi che fanno male, violenze subite, rifugio nella cocaina, un figlio che scopre la madre drogata: «Adesso lui ha ventuno anni e non mi ha mai perdonata».
Cella n. 10, la detenuta sta per uscire, ma è terrorizzata dal fuori: «là fuori ci sono sbarre invisibili, occhi che non la smettono di seguirti e dita puntate addosso… Ho sbagliato, d’accordo, ma sento marchiato sulla pelle il giudizio di chi mi ha condannata per sempre…».
Vuole restare dentro, protetta dalla solidarietà delle altre che «dichiarano di aver scoperto cosa fosse l’amicizia femminile proprio durante il periodo detentivo, amicizia caratterizzata da sincerità, aiuto, solidarietà…»
E così via, di cella in cella… la detenuta della cella n. 11, all’autrice che chiede cosa sentano queste donne, risponde: «Il modo in cui la donna avverte se stessa in contesti di reclusione è quello della deprivazione di sé. Non deprivazione della propria libertà, ma deprivazione di tutto il suo essere, di tutta la sua esistenza», dunque un annullamento totale.
La cella n.28 ospita una donna straniera, arrestata per trasporto di droga, isolata dalle altre perché non parla italiano, che riesce a comunicare con le nigeriane.
Ma le teme, perché potrebbero avere contatti con i corrieri… Gli unici contatti rimangono dunque quelli telefonici, brevi; per chi non intende l’italiano, le attività previste sono praticamente negate; ci sono comunque corsi di alfabetizzazione.
La postfazione di Eleonora de Nardis Giansante, giornalista e sociologa, approfondisce queste tematiche, sottolineando che «un uomo con un passato è considerato un soggetto da reinserire», mentre «una donna con un passato nell’immaginario collettivo, è una donna di strada, una tossicodipendente, una poco di buono su cui il marchio sociale graverà per sempre».
Molto importante è l’intervento dell’Associazione Antigone che prende in considerazione le criticità e chiede allo Stato interventi mirati.
Utile anche l’Appendice a cura di Sandro Libianchi, presidente del Coordinamento Nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane (Co.N.O.S.C.I.), Patrizia Di Cintio, pedagogista e socia del Coordinamento, Marco Patarnello, Magistrato del Tribunale di sorveglianza di Roma.
Giunti all’ultima pagina, lettori e lettrici sanno di più di quel mondo dietro le sbarre e delle donne che lo abitano.
A loro, «ai loro sogni infranti e alla possibilità di sentirsi finalmente fuori da un tunnel e al centro della loro vita» Katya Maugeri ha dedicato il suo lavoro.
Luciana Grillo - [email protected]
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