Storie di donne, letteratura di genere/ 504 – Di Luciana Grillo
Elisabetta Rasy, «Dio ci vuole felici. Etty Hillesum o della giovinezza» – Un libro prezioso che fa riflettere sul male e sul potere salvifico della fede
Titolo: Dio ci vuole felici. Etty Hillesum o della giovinezza
Autrice: Elisabetta Rasy
Editore: HarperCollins Italia, 2023
Genere: Biografie letterarie
Pagine: 160, Brossura
Prezzo di copertina: € 18
Ci sono storie che arrivano dirette al cuore, anche se non sono originali, anche se ci sono già altri precedenti: è il caso di Etty Hillesum, giovane olandese ebrea che prima del trentesimo compleanno muore ad Auschwitz.
Quante sono le giovani donne morte in campo di concentramento? Tante, a cominciare da Anna Frank…eppure Etty è diversa, vive liberamente la sua giovinezza, «a diciott’anni se ne va di casa per frequentare l’università e si destreggia con disinvoltura tra amici e fidanzati… non è povera, non ha malattie… ma non è felice» e nel suo diario racconta la sua inquietudine con «parole che mettevano in forma i pensieri non pensati, quelli che stanno acquattati nel fondo dell’anima senza riuscire a venir fuori», con parole che sembrano spiegare l’inquietudine dell’autrice, di Elisabetta Rasy, che vede in Etty - pur a distanza di anni - «la perfetta maestra della giovinezza».
Poi il campo si allarga, entrano in gioco altre scrittrici in qualche modo affini a Etty, come Katherine Mansfield e Edith Warthon che non oppongono resistenza al dolore, lo ospitano, lo accettano come parte della loro vita.
E mentre nella vita di Etty entra Spier, a cui Etty affida le sue insicurezze, una specie di paura indefinita, un’irrequietezza che non trova pause, incontriamo Virginia Woolf che come Etty sente insopprimibile l’esigenza di scrivere.
E non solo, Etty vuole «lavorare, studiare, scrivere, amare», ma vuole anche che qualcuno la guidi, l’accompagni, a prenda per mano. Spier lo fa, la protegge.
Rasy continua a trovare nella sua vita l’ombra della vita di Etty: «Etty, nata molti anni prima di me e morta in modo atroce prima che io nascessi in un mondo infinitamente più accogliente del suo, mi è sembrata l’amica perfetta, la maestra di giovinezza che avrei voluto avere vicina in quegli anni in cui bene o male si decide la forma che prenderà la vita».
Per Etty nulla di buono, i nazisti con puntualità vietano agli ebrei qualunque attività, molti di loro si suicidano.
A Rasy torna alla mente Marguerite Duras – nata come Etty nel 1914 – e L’amante, il suo trasferirsi in Francia proprio mentre Etty si sposta ad Amsterdam: «entrambe fanno parte di quelle ragazze del Novecento sparse nell’Occidente in fermento che decidono che la libertà sessuale è una necessaria estensione della libertà personale».
Rasy va avanti, scrive di sogni e descrive il sogno di Tatiana nell’«Eugenio Onegin» di Puskin, di cui parlano al telefono Etty e Spier; scava nei sentimenti di Etty nei confronti di genitori e fratelli, sottolinea che Etty temeva di diventare come sua madre, a volte pensava che la vita fosse un calvario, ma solo a volte, perché invece più spesso è attraente, meravigliosa, nonostante i divieti per gli ebrei diventino sempre più stringenti.
A proposito del telefono, Rasy ricorda la su adolescenza e il rapporto che aveva con il telefono, e nello stesso tempo pensa alla indimenticabile Micòl Finzi-Contini che era così fortunata da avere in camera una linea telefonica indipendente.
Anche Micòl finirà in un campo di concentramento, come Edith Stein e sua sorella Rosa, come Charlotte Salomon, come Primo Levi che avrà poi la possibilità di testimoniare quell’orrore inaudito che aveva visto.
Etty è una testimone speciale, una donna per la quale «odiare non è nel mio carattere… Se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero».
Rasy ama Etty, non solo per questa naturale vocazione all’amore, apprezza «la sua intelligenza, la ricchezza del suo pensiero, la cultura e il talento non la mettono al riparo dai tormenti femminili», le riconosce la capacità di essere ironica, di mostrarsi ribelle e nel contempo, attraverso la lettura degli ultimi quaderni, vede in lei tre sentimenti, tre diverse espressioni: l’amicizia, l’amore, la preghiera, a cui si aggiunge «accettazione del destino, accettazione della vita, accettazione dei misteri di Dio».
Etty non cerca il dolore, non si appoggia alla teologia come Edith Stein o alla filosofia come Simone Weil, piuttosto «prende la sofferenza con la stessa libertà con cui ha preso gli inviti complicati della vita… Ogni briciola di odio che si aggiunge all’odio esorbitante che già esiste, rende questo mondo più inospitale e invivibile».
Cosa aggiungere ancora? Che Etty, negli ultimi mesi prima della deportazione, visse nella sua famiglia un’atmosfera di armonia «che non aveva mai conosciuto, ed Etty amò il vecchio Louis e la vecchia Rebecca come non li aveva mai amati», i suoi genitori di cui prima non apprezzava pensieri e comportamenti, non si vergognò più dell’attaccamento morboso del fratello Mischa nei confronti dei genitori… «Per quanto sia paradossale Louis, Rebecca, Etty e Mischa sono adesso una famiglia felice».
Nel campo, Etty va di baracca in baracca, conforta i deboli, porta cibo e acqua ai sofferenti, procura qualche indumento a chi ne ha bisogno, quando sente dire che Dio è lontano, «lei ne diventa l’avvocato, lo difende, insiste che bisogna perdonarlo, che la responsabilità di ciò che accade è degli uomini», si chiude nella preghiera che – dice – «diventa per me una realtà sempre più grande».
E a Dio chiede: «Prendimi nella tua grande mano e fammi tuo strumento, fa’ che io possa scrivere»: scrisse fino a quel 7 settembre 1943, quando salì sul convoglio diretto ad Auschwitz, portando con sé le poesie del poeta più amato, Rainer Maria Rilke, e ripetendo in ogni momento che «Dio ci vuole felici».
Non si può chiudere questo libro prezioso senza riflettere sul male e sul potere salvifico della fede.
Luciana grillo – [email protected]
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