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Storie di donne, letteratura di genere/ 502 – Di Luciana Grillo

Enrica Mormile, «Una vita nascosta» – Ci sono padri che ritornano e fratelli che si scoprono tali dopo tanti eventi e tanto male. E tanto altro…

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Titolo: Una vita nascosta
Autrice: Enrica Mormile
 
Autore: Castelvecchi, 2022
Genere: Letteratura contemporanea
 
Pagine: 246, Brossura
Prezzo di copertina: € 20
 
Ci sono romanzi che si leggono con gioia, perché sono scritti bene, perché hanno una trama scorrevole, perché i protagonisti incuriosiscono o attraggono chi legge… «Una vita nascosta» ha tutte queste caratteristiche, dalla gradevolezza dell’espressione formale alla storia appassionante che racconta, fino ai protagonisti e alle protagoniste.
A tutto questo, si aggiunge l’ambientazione in una Napoli povera e generosa, colta e un po’ misteriosa, magica e sensuale che mi ha ricordato in vari momenti il film «Napoli Velata» di Ferzan Ozpetek.
 
Si entra nella storia assistendo alle bravate di una banda, «un’accozzaglia di ragazzini tutti minorenni, accomunati dalla miseria, dalla rabbia, dal desiderio di rivalsa contro un mondo ritenuto ingiusto e responsabile della disperazione delle loro vite».
Della banda fa parte Gennaro, terzo figlio di una mamma coraggiosa e intelligente; non ne fa parte, ma viene purtroppo coinvolto e accusato di complicità in un omicidio anche Sandor, il secondogenito, gentile, affettuoso e protettivo nei confronti della mamma e di zia Caterina, studioso, appassionato di musica, assolutamente estraneo a vicende criminali.
 
C’è anche il fratello maggiore, Karl, che sostiene moralmente Sandor e la mamma, ma che si allontanerà dalla città, lascerà il lavoro per cercare altrove fortuna e soprattutto per sfuggire alla criminalità organizzata.
Sandor, figlio di un tenero circense, riesce a crearsi una vita alternativa, in luoghi assolutamente ignorati da tutti e, di notte in notte, organizza la sua vita, arreda il sottotetto in cui abita e, quando la malinconia è più forte, esce sul terrazzino e canta.
 
Questo romanzo ci insegna che si può vivere anche in condizioni estreme, che si possono incontrare persone buone che comprendono e aiutano, che si può ricominciare a vivere… anche se si proviene da una famiglia anomala.
Mammà è prodiga di consigli, temeva che se avessero trascorso per strada le loro giornate, i suoi tre figli avrebbero conosciuto delinquenza e miseria, «l’unica garanzia per un futuro migliore era studiare seriamente».
 
Sandor cerca di vedere tra la polvere di una soffitta anche qualcosa di buono, e quando scopre un piccolo terrazzo di due metri per tre incuneato tra i tetti spioventi, «si era tirato su con la forza delle braccia e si era seduto sul bordo…si era tolto le scarpe per avere una maggiore presa e a piedi nudi l’aveva raggiunto. Ritto su quel piccolo terrazzo…si era guardato intorno ed era rimasto incantato. Illuminata da una sottile falce di luna, la città si stendeva ai suoi piedi, immersa in un profondo silenzio».
 
Si respira in queste pagine una sorta di incantamento, compaiono strani personaggi, Sandor si fa amare da persone buone che hanno sofferto come lui e dunque sono più disponibili all’aiuto, come Sara ad esempio.
E poi ci sono Dante e Carmine, c’è Giordana che gli prende il cuore, c’è il suo insegnante di musica che lo incoraggia ad andare avanti nonostante tutto, c’è un clima di amicizia, ma c’è anche il sottofondo della violenza, subita da mammà e da Sara.
 
E c’è tanto altro, ci sono padri che ritornano e fratelli che si scoprono tali dopo tanti eventi e tanto male.
C’è anche un sorprendente lieto fine, non scontato, ma atteso da chi legge e meritato dai protagonisti.
 
Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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