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La nostra Via Micaelica/ 4 – Di Elena Casagrande

Ad Orléans finalmente incontriamo la Loira, che seguiremo per centinaia di chilometri, immersi nel suo paesaggio naturale vivente, patrimonio dell'Unesco

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La Loria e in fondo l’Abbazia di Fleury.
Link alla puntata precedente.
 
 La Provvidenza ci dà una mano facendoci trovare da dormire da Priscilla 
Dal giardino del Relais Saint Jacques provengono delle voci che ci fanno ben sperare.
«Ma allora è aperto?» – chiedo a Teo.
«Sembrerebbe, aspetta che guardiamo» – mi risponde lui. – «Niente da fare. Sparecchiano e poi chiudono» – mi dice.
Entro anch’io.
«Quindi non potete darci una camera?» – domando alla proprietaria.
«No, ma troveremo una soluzione. Sedetevi e bevete qualcosa sotto il pergolato».
E subito la cameriera ci porta due aranciate. Sorride e dice che ci penserà lei a noi.
«Ma in che senso?» – mi domanda Teo.
«Eh, vediamo» – gli dico, inarcando le sopracciglia.
Poco dopo lei ritorna e si dice disponibile ad affittarci una stanza a casa sua, in mezza pensione.
Si chiama Priscilla, è malgascia, si è sposata con un francese e vive qui. È la nostra salvezza: sicuramente San Giacomo e San Michele ci hanno aiutato.
 

Il cammino lungo gli argini naturali della Loria.
 
 A Tournoisis decido che è ora di farmi visitare per capire il mio malessere 
Il paesino di Tournoisis è formato da due file di casette, ai lati della strada principale. In una di queste abita anche Priscilla, col marito Yves. Lei è un vulcano.
Dopo il turno in hotel subito si mette a cucinare per la cena. Parliamo di tutto, mentre prepara omelette, fagiolini verdi e pasta al groviera e pepe del Madagascar.
Non sentendomi ancora bene, vista la confidenza che mi sembra di aver instaurato con lei, mi faccio coraggio e le domando se ci sia un medico nei dintorni. Priscilla, senza farmi aspettare, chiama subito la sua dottoressa.
«Non ha posto. Ci sono tre mesi d’attesa» – dice scuotendo la testa.
«Tre mesi d’attesa per una visita dal proprio medico curante?» – domanda Teo.
«Qui è così» – risponde lei.
E lui: «Saremmo messi male in Italia, ma non a questi livelli».
L’unica è andare all’ospedale, ad Orléans, domani.
 

La città di Orléans vista dal fiume.
 
 Dopo le rassicurazioni del medico posso godermi la città di Orléans e i suoi tesori 
L’indomani vengo visitata al Centro Regionale Ospedaliero della Source. Mi prescrivono un antibiotico, ma nulla di che: potrò continuare il cammino. Certo, arrivare ad Orléans dalla zona periferica dell’ospedale è poco bucolico, ma va bene così.
È nuvoloso quando scorgiamo la Cattedrale di Santa Croce, in fondo ad un viale su cui sventolano le bandiere. È maestosa ed ha richiesto vari secoli per essere completata.
Ci entriamo e questa sensazione, al suo interno, si moltiplica, tra pilastri, vetrate e vessilli variopinti. Dopo la cattedrale visitiamo anche il vicino Hôtel Groslot, municipio della città dal 1790 al 1981, dai giardini fioriti e dagli interni eleganti. Finalmente esce il sole.
Beviamo un caffè in Place du Martroi, davanti alla statua equestre di Santa Giovanna d’Arco.
«Che grande donna» – mi viene da dire, istintivamente.
Dopo le foto di rito alla Pulzella, cerchiamo l’albergo prenotato on line.
«Più tardi andremo a vedere la sua casa e poi scenderemo al fiume. Ti va bene Teo?»
 

Nella Place du Martroi ad Orléans.
 
 Il quartiere lungo il fiume la sera accende le luci e si anima di gente festosa 
La casa dove Giovanna d’Arco soggiornò nel 1429, durante l’assedio cittadino, mi delude un po’ (forse perché ricostruita), mentre il quartiere Bourgogne, lungo la Loira, mi incanta.
Se nel pomeriggio è sonnacchioso, la sera si anima di gente, suoni e sapori. Aprono i localini, taluni incastonati nelle vecchie case a traliccio, altri in alcuni spazi moderni, che si susseguono lungo le rive del fiume.
Qui non c’è che l’imbarazzo della scelta per decidere dove cenare, anche se, dopo l’ottimo pranzo in una brasserie del centro (a base di «entrecôte et pommes de terre» – bistecca con patate - e «tarte normande», torta mele e Calvados), possiamo accontentarci di un piatto veloce, magari una pizza. Di qui passa anche il GR 655, ovverosia la via Turonense (ramo di Orléans) che a Saint-Jean-Pied-de-Port si immette nel Camino Francés di Santiago. Lo vediamo da un segnavia vicino al fiume.

 
Il quartiere Bourgogne ad Orléans.
 
 Giovanna d’Arco si accampò a Checy prima di liberare Orléans dagli inglesi 
L’indomani lasciamo all’alba la città, seguendo il fiume. Più avanti c’è una mamma mattiniera, che, con la sua bimba, sta dando da mangiare ai castori. Mentre li fotografo Teo immortala un airone.
Avvicinandoci al villagio di Chécy il cielo comincia ad annuvolarsi. Nella piana sottostante, accanto al fiume, si accampò Giovanna d’Arco prima di liberare Orléans dall’assedio inglese.
Qui ebbe luogo l’incontro col Bastardo di Orléans. La chiesa del paesino, dal campanile romanico, ma dal corpo gotico, la ricorda con una statua e con delle vetrate raffiguranti lei e San Luigi.
Alla «boulangerie» (panetteria) Teo acquista un paio di «baguettes» (sfilatini) farcite per il pranzo.
In Francia, se si trova una «boulangerie» aperta, meglio approfittarne: gli alimentari dei paesini sono spariti, soppiantati dai grandi supermercati, spesso lontani anche 15-20 chilometri.
 

L’airone sulla Loira.
 
 Nell’oratorio carolingio dell’Abbate di Fleury c’è un raro mosaico dell’Arca dell’Alleanza 
Camminare lungo gli argini della Loira ci fa sentire dei privilegiati: siamo immersi nel suo «paesaggio naturale vivente», patrimonio Unesco dal 2000.
I villaggi sono tutti dall’altra parte del fiume. L’unico segnale di civiltà è un grande ponte, alla fine di un boschetto.
«Dovremmo essere a Châteauneuf-sur-Loire» – esclama Teo.
Ma il bello arriva poco dopo, nel paese di Germigny-des-Prés. Mentre mi siedo al tavolo di un Café all’aperto, su cui è posta una conchiglia di San Giacomo, Teo va in perlustrazione. Poco dopo mi raggiunge trafelato:
«Vai subito a vedere la chiesetta laggiù! Non puoi perdertela».
Entro e rimango senza parole per il mosaico dorato sopra l’abside centrale: raffigura l’Arca dell’Alleanza, al posto del classico Cristo Pantocratore. Pare che, in questo oratorio carolingio, poco lontano da Fleury, si ritirasse in preghiera l’Abbate.
«Una rarità» – dico a Teo. – «Non l’avevo mai vista raffigurata a mosaico! Bravo, era davvero imperdibile».


L’Arca dell’Alleanza di Germigny-des-Prés.
 
 All’Abbazia di Fleury non veniamo accolti per la fiscalità degli orari 
In 5 km arriviamo all’Abbazia benedettina di Fleury di Saint-Benoit-sur-Loire. La sua «boutique» ha appena chiuso. In chiesa, a fine Messa, aspettiamo l’uscita dei monaci. Ne salutiamo uno, giovane, che passa lungo la nostra navata.
Ci presentiamo come pellegrini e gli chiediamo se è possibile timbrare la credenziale.
«Domani, quando riapre il negozio!» – ci risponde.
«Ma a quell’ora saremo già partiti» – diciamo. Niente.
Non ci fa neppure accedere alla cripta, con le reliquie di San Benedetto, pur sapendo che abbiamo fatto 35 chilometri a piedi per arrivare qui. Se ne va e sorride. Bah! Che delusione.
«Andiamo al nostro hotel» – dico a Teo.
E anche lì ci attende una sorpresa.
«Stasera il ristorante è chiuso perché è il turno di riposo!» – Ci informa il titolare. – «Provate qui di fronte!»
E noi ci proviamo, ma il ristorante è «complet» (tutto prenotato).
Per fortuna c’è un negozietto etnico, che vende anche formaggi rigorosamente francesi.
 

L’arrivo all’Abbazia di Fleury.
 
 Il GR 3 è in pessimo stato, soppiantato dalla ciclabile che è il tracciato più seguito 
Dopo Saint-Père-sur-Loire, che raggiungiamo velocemente, possiamo attraversare la Loira diretti al castello di Sully-sur-Loire. Anche se non è paragonabile ai grandi manieri di Chambord o Amboise è comunque affascinante.
Peccato, ancora una vola, per il cielo grigio del mattino. In centro ne approfittiamo per fare il pieno di «viennoiserie» (brioche di tutti i tipi, per lo più all’uvetta e al cioccolato, secondo lo stile «viennese»).
Da lì, purtroppo, il GR 3 che stiamo seguendo diventa impraticabile. È invaso da rovi, ortiche e piante rampicanti spinose tanto che, ad un certo punto, per continuare, dobbiamo togliere gli zaini e camminare a carponi per qualche metro.
In quel momento trovo persino un cellulare.
Mi graffio: per me è troppo. Usciamo da lì ed esclamo: «Da adesso facciamo la ciclabile. Il GR è abbandonato e pericoloso».
 

Il castello di Sully-sur-Loire.
 
 Devo insistere perché la Gendarmerie prenda il cellulare che ho trovato sul GR 3 
La ciclabile passa davanti alla centrale nucleare di Dampierre, prima di Nevoy. È lunga e noiosa. Quando, finalmente, arriviamo a Gien, possiamo dissetarci ad un baretto sotto il castello, oggi museo della caccia.
L’hotel è al di là del fiume e Teo, prima di attraversarlo, compera i soliti ettolitri di succo e bibite. Ad una rotonda vedo i gendarmi. Li fermo e li informo di aver trovato un telefono, sul GR 3. Loro, di tutta risposta, mi dicono di consegnarlo l’indomani all’Ufficio degli oggetti smarriti. «Il sera fermé le dimanche» (La domenica sarà chiuso) – rispondo. Annuiscono, ma non c’è verso: non lo prendono, perché non è di loro competenza.
E io, davanti a tanta rigidità, sbrocco ad alta voce e in italiano: «Sentite, sto facendo un favore a chi lo ha perso. Non possiamo aspettare lunedì. Siamo pellegrini».
Rimangono attoniti, si guardano e, alla fine… lo accettano.
«Stavolta ho rischiato di farli arrabbiare» – dico a Teo, entrando in albergo.

Elena Casagrande - [email protected]

(La quinta puntata sarà pubblicata mercoledì prossimo, 13 novembre)
 
La cittadina di Gien.

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