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La Via del Volto Santo/ 1 – Di Elena Casagrande

La Via del Volto Santo, da Pontremoli a Lucca, è un cammino autonomo, ma può essere la continuazione della Via degli Abati o una variante della Francigena

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Segnaletica della Via del Volto Santo.
 
 Le statue stele della Lunigiana, nel Castello del Piagnaro, vanno assolutamente viste 
Da Pontremoli, dove arriviamo terminando la Via degli Abati, decidiamo di proseguire per Lucca e il suo Crocifisso ligneo, che si venera nel Duomo di San Martino, percorrendo la Via del Volto Santo. Nel Medioevo era una via transappenninica molto utilizzata: la «Via lucana», lungo il tracciato di quella che era stata la «Clodia secunda», in epoca romana.
Prima di iniziare, però, visitiamo il Castello del Piagnaro. Lì ha sede la mostra permanente delle statue stele, figure preistoriche monolitiche, trovate nei borghi della Lunigiana, vicino ai guadi o all’imbocco delle vie di comunicazione. Il cammino del Volto Santo passa da
alcuni luoghi di ritrovamento delle stele. Forse erano idoli o antenati divinizzati o dei segnavia o, ancora, delle lapidi funerarie. Chissà. Ancora oggi gli archeologici non sono giunti ad una conclusione univoca, ma l’alone di mistero che circonda queste figure stilizzate, di uomini con pugnale e di donne con piccoli seni, è affascinante.
 

La «famiglia» di statue stele al Castello del Piagnaro di Pontremoli.
 
  A Pontremoli inizia la Via del Volto Santo verso il Duomo di San Martino di Lucca 
Visitare il castello sicuramente ruba del tempo alla prima tappa. Inizieremo seguendo l’itinerario proposto dal sito della Via del Volto Santo e non quello più corto della Francigena, fino a Virgoletta, che è su strada.
Le indicazioni varieranno, lungo il percorso, passando dalle frecce colorate d’azzurro, ai cartelli del SAST (Soccorso Alpino e Speleologico di Toscana), ai segnali bianco rossi con la sigla VS (Volto Santo) per finire con il calco in gesso del Volto Santo. Il cammino, per noi, parte dalla Chiesa di San Pietro. Purtroppo è recente, dato che la chiesa antica franò, a metà Cinquecento, nel fiume Magra e dato che, quella ricostruita, venne bombardata durante la seconda guerra mondiale. Non c’è nessuno che la apra per farci vedere il labirinto del XII che custodisce. Ed io ci rimango male: il labirinto è il simbolo del pellegrino, ma è anche il simbolo della vita di ciascuno. «Peccato!» – sospiro.
 

Lasciando Pontremoli dal Convento dei Cappuccini.
 
  Il cammino passa dal confine fra domini longobardi e bizantini 
«Ci rifaremo con quello di Lucca!» – dice Teo, tentando di consolarmi. Compero due panini, nel negozietto di alimentari di fronte e la cassiera mi conforta, affermando che la chiesa di S. Pietro è quasi sempre chiusa. Attraversata Pontremoli saliamo, a fianco del Convento dei Cappuccini, su un sentiero lastricato. Siamo diretti ad Arzengio, un’antica roccaforte bizantina di origine romana. Un torrentello la separa dal borgo longobardo di Ceretoli che sta di fronte.
Tra i due paesi c’è ancora oggi un’accesa rivalità che affonda le sue radici nella notte dei tempi. È la storia del nostro Paese, ma mi fa sorridere. Sembra che a Ceretoli ci sia una pietra con inciso un labirinto «a filetto», forse un catalizzatore di energia, oppure un’opera di un pellegrino.
Vicino alla chiesa, infatti, pare ci fosse un antico ospitale. La pietra non la troviamo, ma, almeno, riusciamo a scorgere l’antico ricovero per i viandanti, accostato alla chiesa. Da lì continuiamo, nel bosco, verso Dobbiana.
 

Una pausa ad Arzengio.
 
  Già nella prima tappa, a Dobbiana, c’è una statua molto venerata del Volto Santo 
«Il 3 maggio, a Dobbiana, c’è stata la processione della sua statua del Volto Santo» – mi fa Teo, leggendo un cartello della Via, davanti alla chiesa. «Peccato, averla persa per pochi giorni» – sussurro, incamminandomi sul sentiero. È afoso. Al paesino di Serravalle, dopo Tarasco, provo a cercare una fontana. «La chiesa è dedicata a San Michele Arcangelo. Porterà bene!» – esclamo. Ma non trovo nulla. Per fortuna, però, una signora che sta innaffiando il prato ci offre dell’acqua. All’uscita dal borgo rischiamo di perderci. Meno male che una coppia di anziani, intenti a potare gli olivi, ci indica la «retta via», che prosegue in quota, per un lungo tratto, finché i segnali blu del cammino fanno scendere bruscamente a valle. C’è da attraversare un ruscello. Il sentiero è invaso dai rovi e dall’erba alta e si avanza a fatica. Evidentemente il tratto della Francigena fino alla Pieve di Sorano (Filattiera) e fino a Virgoletta, più corto e più comodo, è diventato il sentiero più battuto anche della Via del Volto Santo. Di qui passa poca gente.
 

Teo a Dobbiana.
 
  Non è facile arrivare a Rocca Sigillina, tra rovi, biancospini e sentieri poco battuti 
Superata l’ennesima forra, incomincia un’autentica erta spezza-gambe, finché, tra le foglie dei castagni, scorgo delle case. «Spero sia Rocca Sigillina» – dico a Teo. Lo è e, per noi, è un po’ come uscire «a riveder le stelle» o, quantomeno, la luce del sole. Le sue case in pietra sono molto curate, ma è la vista che si apre sulla valle che fa dimenticare la fatica fatta. La ammiriamo anche dopo averla lasciata, dal belvedere di fronte, detto del Martinello, con la sua Maestà della Madonna, prima della frazione di Lusignana. In fondo si stagliano le Apuane.
Tutto è grandioso, ma, purtroppo, si è fatto tardi. «Rischiamo di non arrivare a Treschietto con la luce, poi è tutto bosco» – mi spiega Teo. Scegliamo così di puntare su Gigliana. «Da lì scenderemo a Filattiera e sarà più facile raggiungere l’agritur dove ho prenotato per la notte» - conclude il capogita. E sia.

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Camminando verso Rocca Sigillina tra i castagni.
 
  Bagnone, in fondo alla strada, sembra una quinta teatrale 
«Abbiamo fatto un po’ un giro dell’oca, ieri, vero Teo? Ma ne è valsa la pena per quello che abbiamo visto!» - aggiungo. E così riprendiamo il cammino da Filattiera, passando davanti al suo antico ospitale di San Giacomo di Altopascio. La statuina del «nostro» Santo, sul portone, mi dà la giusta forza. Dopo la chiesa di San Giorgio, con la sua torre difensiva e con la lapide del vescovo (o gastaldo) longobardo Leodgar (che nel 700 d.C. distrusse gli idoli pagani del luogo) scendiamo verso una vecchia carrareccia, che, poco oltre, riprende quota fino all’Oratorio dell’Annunciazione ed oltre. Un sentiero ci conduce poi a Pradaccio, dove, l’ultimo tratto, è brutto e su strada. Ma il borgo di Bagnone, in fondo, con la torre del Castello e il campanile della chiesa, è una bella ricompensa: sembra quasi una scenografia. È ora di pranzo e alla Trattoria del Ponte c’è posto. «Che ne dici di gustare i testaroli al pesto?» – propongo. Teo accetta. Tutto è fantastico, a parte la pioggia, sottile, che comincia a cadere.
 

I testaroli al pesto della Trattoria del Ponte di Bagnone.

 Anche a Corvarola c’è una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo 
Ci inerpichiamo verso il castello sotto l’acqua. In cima si comincia a fare asfalto, in piano, verso Vespeno. Prima del bivio per il borgo, dove non si entra, incontriamo un signore che, in giardino, sta facendo compagnia al padre anziano. Abita a Milano, dove emigrò da giovane per non finire in fabbrica a La Spezia.
Si commuove, raccontandoci la sua infanzia, mentre guarda Castiglione del Terziere, che si staglia davanti a noi. Fu l’ultimo del paese a frequentare le elementari di Corvarola. Gli promettiamo che guarderemo la «sua» scuola e lo salutiamo. L’edificio delle scuole è ancora in piedi, alcune case del borgo inglobano parti di un castello andato perduto e la chiesa, come a Serravalle, è dedicata a San Michele Arcangelo. Anche se non ci saliamo, per pigrizia, San Michele ci appare comunque, su un bassorilievo in marmo bianco di un vecchio portale.
 

Vista di Castiglione del Terziere dal cammino nei pressi di Vespeno.
 
 I signori di «Case Giarelli» sono preoccupati perché arriviamo tardi 
Da Corvarola deviamo verso Merizzo. Dopo un paio di guadi ed un tratto boscoso seguiamo le indicazioni per la Locanda del Deglio e poi giù, fino all’Agritur Ippica Il Picchio Verde, che è zeppo di turisti. Un cavaliere ci dice che, per Monti di Licciana Nardi, basterà seguire le indicazioni per il suo castello.
La stagione della caccia è chiusa, ma i cartelli con la scritta «ZONA SPARO», mi mettono paura. Ci sono troppi cinghiali e qualcuno dice che la caccia continui. Pioviggina. Tra continui saliscendi arriviamo al Castello dei Malaspina di Monti.
In paese ci stanno aspettando Carlo e Silvana, alle «Case Giarelli». Hanno una certa età e sono preoccupati, anche se li avevamo avvisati che saremo arrivati nel pomeriggio. Probabilmente sono abituati ai camminatori che finiscono molto presto la tappa, per mettersi in camera a riposare. Ecco… noi non siamo proprio quel genere di camminatori. A noi piace stare «sul cammino», parlare con la gente, visitare e gustare quello che incontriamo.
 

L’abside romanico della Pieve di Monti di Licciana Nardi.
 
  Una signora ci accompagna a vedere la Pieve di Santa Maria Assunta di Venelia 
Visto il pranzo abbondante, optiamo per una tisana. In centro l’Oratorio della Madonna ha la porta aperta. Una luce calda ne illumina l’interno. Su un baldacchino è esposta la statua di Santa Maria del Fonte. Nadia, che si è trasferita qui da Erba per «curare la Chiesa», le è molto devota. Ogni 26 maggio andava a Caravaggio con i nonni. «Anche noi, vicino a Trento, abbiamo un luogo mariano legato a Caravaggio: Montagnaga di Pinè» – le diciamo. E per lei è un segno. Nonostante il marito la stia aspettando in auto, insiste per accompagnarci alla Pieve di Santa Maria Assunta di Venelia. «È la più grande della Lunigiana ed ha persino due absidi. Non potete perderla» – dice entusiasta. Lei starebbe a parlare ancora, ma non può. Mentre ci regala del pane benedetto a forma di fiore, ecco avvicinarsi il marito. La sgrida. «Dove sei finita?» – le domanda agitato ed ancora: «Ero in ansia».

Elena Casagrande - e.casagrande@ladigetto.it

(La seconda puntata della «Via del Volto Santo» sarà pubblicata mercoledì 17 luglio)
 
Segnaletica della Via del Volto Santo del SAST.

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