Giovani in azione: Sara Maganzini – Di Astrid Panizza
Direttrice di tre bande musicali all’età di 31 anni, un sogno diventato realtà
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Scrive Paulo Coelho: «Credo che solo una cosa renda impossibile la realizzazione di un sogno: la paura di fallire!»
In effetti, come dice il grande scrittore brasiliano, questo succede a tante persone, perché seguire i propri sogni non sempre è facile, anzi. Possono esserci molti ostacoli lungo il cammino, oppure nuove opportunità che deviano la rotta.
Così, capita a tutti, fin da piccoli, di farsi un'idea di cosa «fare da grandi», ma poi succede che nel 90% dei casi quello sarà un sogno che verrà abbandonato con il tempo, anche per paura di non farcela.
Non è stato così per Sara Maganzini, trentunenne di Carisolo, in Val Rendena, che fin da 8 anni, da quando entrò nella banda del paese, ha desiderato con tutta se stessa studiare direzione di banda e ora si ritrova ad essere la direttrice non di uno, ma di ben tre Corpi Bandistici.
Ma procediamo per gradi, partendo dall’inizio. Sara, come sei arrivata a studiare direzione di banda?
«A sedici anni ho cominciato il mio percorso musicale a Mezzocorona in una scuola privata, l’ISEB (Istituto Superiore Europeo Bandistico), del quale oggi ho l'onore di far parte.
«In quella realtà ho potuto cominciare ad approcciarmi a questo mondo in maniera per così dire soft, in quanto i corsi avevano luogo nel fine-settimana e così riuscivo anche a frequentare le superiori.
«I miei compagni in ISEB erano molto più grandi di me e provenivano da vari Paesi europei, gli insegnanti erano addirittura di tutto il mondo.
«Fin da subito, quindi, sono entrata in contatto con persone dalle culture diverse dalla mia, aprendomi all'internazionalità.
«Questo tratto ha contraddistinto il mio percorso in quanto una volta finito l'ISEB, nel 2010 ho continuato a studiare in Olanda.»
E lì, nel Paese dei tulipani, che corsi hai seguito?
«Mi sono laureata a Maastricht in direzione di banda nel 2012, affiancando nello stesso periodo gli studi di clarinetto al Conservatorio di Bolzano.
«Oltre che per passione, avevo dovuto prendere questa decisione perché avevo bisogno anche di un titolo italiano in quanto il mio percorso di direttore di banda da noi non è riconosciuto.
«Viaggiavo quindi continuamente tra l'Olanda e l'Italia, ma sono riuscita a concludere entrambi i percorsi in maniera brillante.»
Poi, finiti gli studi hai preso subito in mano la direzione di qualche corpo bandistico?
«Non subito perché, a dire il vero, avevo bisogno di staccare e volevo fare un po’ di esperienza prima di iniziare un Master. Ho colto quindi l'occasione di frequentare un altro corso in Slovenia, il cui insegnante era uno di quelli che già conoscevo dal corso ISEB.
«E così sono tornata a fare la pendolare. Una volta al mese, per tre anni, partivo dal Trentino e arrivavo in Slovenia per dei weekend di full immersion che, devo dire, mi sono serviti molto per crescere.
«Nel frattempo, però, avevo anche la mia banda da dirigere, quella in cui avevo cominciato, cosa che mi permetteva di fare esperienza diretta sul campo. Due anni fa quella banda l'ho lasciata, dopo una decina di anni, per dirigere altri corpi bandistici.
«Durante il periodo all'ISEB, inoltre, mi avevano chiesto di inserirmi come organizzatrice, quindi ho cominciato anche quell'avventura.
«Nel frattempo era venuto il momento di avviare un altro Master, che sto terminando in questo periodo, dedicato proprio alla direzione di banda.»
I tuoi studi in Italia non sono riconosciuti, che impatto ha avuto questo sul tuo lavoro?
«È triste pensare che il mio Paese non riconosca non solo il mio percorso accademico, ma anche il mio lavoro, quello che faccio quotidianamente.
«Però sono fiduciosa e penso che alla fine la strada intrapresa porterà al riconoscimento di una figura come quella di direttore di banda.»
E la parte di studio applicata, ovvero la pratica di direzione con le bande, come l'hai mantenuta?
«A livello lavorativo è una decina di anni che dirigo bande. Al momento ne ho tre: la Banda Sociale di Mori-Brentonico, la Banda dell'Istituto superiore Guetti di Tione e il Corpo Bandistico Giambattista Pedersoli di Chiari, in provincia di Brescia.»
Con questo tipo di studi internazionali non ti sta stretto il Trentino?
«Talvolta sì, ma devo anche dire che negli ultimi dieci anni ho avuto la fortuna di viaggiare quasi una volta alla settimana in tutta Europa e quindi per questo sono riuscita a fare molte altre esperienze.
«Essere direttrice di banda, inoltre, non è un lavoro permanente, ossia è difficile trovare un corpo e rimanerci per tutta la vita. Sia la banda che il maestro hanno bisogno di un cambio ogni decina d'anni, per cui il fatto di spostarsi da una realtà all’altra credo rimarrà necessariamente una costante nella mia esistenza.»
Una mia curiosità: durante l'esecuzione come fai a capire chi sbaglia?
«Gli anni di studio servono proprio a questo, ovvero se nella mia partitura c'è una nota che non sento, capisco che c'è qualcosa che non va. Sono cose che vengono con lo studio e con l'allenamento.
«Per quanto riguarda poi la comunicazione con i musicisti, ci dev'essere anche in quel caso una competenza non indifferente da parte di entrambi, per cui se correggo qualcuno e lui accetta la critica poi si vedono i risultati.
«In fondo, come in tutti i lavori di gruppo, il compito del direttore è un po’ anche quello di capire i propri allievi e di saperli motivare al meglio.»
Astrid Panizza – [email protected]
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