Giovani in azione: Davide Giarolli – Di Astrid Panizza

Slow travel, ovvero il viaggiare lento per trovare la felicità: due anni in autostop

Primi mesi di viaggio, Monte Damavand, Iran.
 
La prima cosa che Davide mi racconta di sé, è racchiusa in tre semplici parole: «Mi piace viaggiare».
Una grande passione per il viaggio, la sua, che seppur giovane e con pochi soldi l'ha portato davvero molto lontano.
Un viaggio di spazio e di tempo da raccontare, una storia durata due anni, lunga migliaia di chilometri, che gli è servita per riflettere su se stesso, ma soprattutto per conoscere nuove persone, nuove culture e anche per trovare l'amore.
Tutto questo senza biglietti aerei o prenotazioni e senza alcun mezzo di trasporto proprio.
Solo con le proprie gambe, un cartello e una mano con il pollice alzato per chiedere un passaggio a persone di buona volontà.
Ma partiamo con ordine, dall'inizio, con la prima domanda.

 

Overland Europa-Asia in autostop, 2016-2017.
 
Ammetterai che un’impresa del genere ha un po’ dell’incredibile, quanto meno di insolito.
«Fidati, non è poi così difficile viaggiare in questo modo se ti sai accontentare e a patto di non avere nulla di rigorosamente programmato.
«Inoltre è sempre necessaria un po’ di improvvisazione a mano a mano che il percorso avanza. Come dire: di settimana in settimana, di mese in mese si vede come vanno le cose e ci si muove di conseguenza.
«L'ultimo grande viaggio che ho fatto mi ha portato fino in Asia. In quell’occasione sono stato via da casa circa due anni.
«Sin dall’inizio la mia idea era quella di arrivare in Estremo Oriente solo via terra. Non volevo prendere aerei, era una regola che mi ero dato.
«Non sapevo però se andare in moto, in treno, corriera o quant'altro. Alla fine ho scelto l'autostop, in quanto non ero nuovo a viaggi del genere. Poi, una volta deciso, mi sono lanciato.»
 

Nel posto più caldo al mondo, Khalut desert, Iran.
 
E così è iniziata la grande avventura…
«Esattamente. Per la precisione il viaggio ha preso avvio dal casello di Trento Nord dell’autostrada A22.
«Alla partenza la bussola del mio programma indicava il nord e quindi oltrepassato il Brennero, piano piano ho attraversato l'Europa in circa dieci giorni raggiungendo la Turchia. Qui mi sono fermato circa un mese a visitare le bellezze di quel Paese al crocevia fra la cultura europea e quella islamica.
«In seguito ho raggiunto la Georgia - un tempo Repubblica sovietica - e lì sono rimasto solo per qualche giorno. Continuando il viaggio ho quindi attraversato l’Azerbaigian, l’Iran e il Pakistan, incontrando lingue e popolazioni sempre diverse, incrociando piccoli paesi e grandi città.
«Alla fine sono arrivato in India, una delle tappe che già avevo programmato. Lì ho cominciato a rallentare il mio ritmo di viaggio anche perché il luogo meritava certamente un periodo di sosta. L'India, infatti, è quel Paese che ti bombarda di colori, di profumi e di emozioni. Un giorno in India, a livello esperienziale, è come quindici trascorsi in Italia.»
 

Entrata in Pakistan attraverso Taftan border.
 
E quindi ti sei preso una pausa. Per quanti giorni ti sei fermato?
«Giorni? Mi sono fermato per tre mesi nella parte Nord dell'India, dove c'è l'Himalaya: volevo guardarmi un po' intorno, esplorare, conoscere gente, ma anche stare da solo con i miei pensieri. Quindi ho fatto un po' di trekking in quel posto, che ti assicuro è davvero unico al mondo.
«La tappa successiva è stato il Nepal, dove ho investito quattro mesi del mio viaggio, sempre sulle montagne dell'Himalaya. Sono rientrato poi in India, scendendo più a sud ed esplorando la parte desertica del Paese.
«Quindi, attraversato un breve braccio di oceano, sono approdato in Sri Lanka: in tutto altri tre mesi molto fruttuosi, sia in termini di incontri umani che di luoghi incredibili che ho potuto visitare.
«Il viaggio, però, non doveva finire lì, ovviamente, c’era ancora molto da visitare nei miei programmi. Così sono tornato in India per fermarmi ulteriori tre mesi. Nella mia agenda non poteva mancare il Sud Est asiatico quindi il Myanmar, Thailandia e Laos. Da qui sono risalito a Nord entrando in Cina e poi in Mongolia e quindi in Russia.
«Le tempistiche sono state di circa un mese per Stato e da quando sono entrato in Cina possiamo dire che ormai ero sulla via del ritorno. Una Volta in Russia, sempre in autostop, sia chiaro, ho preso la via della Transiberiana e sono arrivato prima a Mosca e poi a San Pietroburgo. Ho pensato di mantenermi a Nord entrando in Finlandia e da lì piano piano, attraversando nuovamente l’Europa, sono sceso verso l’Italia.»
 

Acque turchesi in Attabad lake, Pakistan .
 
La tua famiglia ti ha incoraggiato prima che partissi?
«All'inizio assolutamente no, cercavano di tirare indietro, di farmi cambiare idea. E mettendomi nei panni di mia mamma lo posso anche capire: certamente è stato un duro colpo per lei quando le ho detto che sarei andato in Asia in autostop.
«Poi, comunque, i miei famigliari si sono messi il cuore in pace perché hanno capito che in ogni modo quel viaggio l'avrei fatto e alla fine mi hanno sostenuto.»
 

Entrata in India dopo quasi 100 giorni di autostop .
 
Per parlare di un tragitto così lungo ci sarebbero tante cose da chiederti, ma lo spazio è poco. Parto dall'autostop: le persone che ti hanno «accompagnato» lungo questo viaggio come sono state?
«Durante i due anni ho visto e conosciuto veramente tante tante persone, di tutti i tipi, sia perché, comunque, vivevo sulla strada, sia perché utilizzavo l'autostop per spostarmi. In sostanza si tratta di aprirsi verso il mondo e dare la possibilità ad altri di fare la stessa cosa dandoti fiducia. Credo che attraverso questo mezzo, le persone che si fermano per darti un passaggio già sono persone gentili.
«Mi piace pensare che se su cento macchine, l'ultima si ferma e le altre no, quella centesima macchina trasporta la persona che fra quelle è la più disponibile, la più aperta e forse la più curiosa. Anche perché ho conosciuto sempre persone incredibili, disposte ad aiutarmi e a condividere.
«Ho ricevuto molto dalla gente che ho incontrato. Tantissime volte, oltre ad offrirmi un passaggio, quelle persone mi ospitavano a casa loro, mi offrivano spesso da mangiare. Da loro mi sono sempre sentito accolto, aiutato, mai giudicato.
«Anche se chi incontri non parla italiano o inglese, un modo per comunicare lo si trova. Riesci, insomma, a farti intendere sempre, ovvio che non si faranno grandi discorsi se manca la lingua, ma ci si capisce e ci può essere comunque molta vicinanza, basta solo la presenza anche solo senza parlare, gli sguardi, i gesti, un sorriso rassicurante. La lingua, talvolta, può essere superflua.»
 

Incontro con Valerie sul Markha trek, Ladakh, India .
 
Quando non eri ospite, dove dormivi?
«Con me ho sempre portato una tenda, riuscivo a metterla dappertutto. Tieni conto che inizialmente mi sono portato dietro 4.400 euro, ma pensavo di stare via solo un anno, quindi sono andato un po' in rosso e per questo mi sono fatto mandare dei soldi. In tutto, comunque, ho speso circa 6.000 euro in due anni.
«Ho fatto un po' la vita da barbone, non è da tutti compiere una scelta del genere, ma a me è piaciuto. Si tratta, come dicevo, di adattarsi. Poi a viaggiare in questa maniera gli spostamenti non li paghi, le notti le ho passate ospitato in casa, oppure in tenda. In definitiva, il costo maggiore è stato quello del cibo, quando non me lo offrivano.»
 

Omino che passa tempo a fare omini, Spiti, India.
 
Hai mai avuto paura? Non ti è mai successo niente di male?
«No, per fortuna, magari qualche piccolo screzio con qualcuno, ma sempre cose da nulla. Niente di brutto in generale.
«Per quanto riguarda la paura, non c’è mai stato motivo di averne. Devo dire, però, che avevo al mio attivo già altre esperienze di viaggio in autostop. Negli anni precedenti mi ero praticamente girato tutta l'Europa in questa maniera e visto che non mi era capitato nulla di male, mi sono avviato tranquillo. Ecco, se fosse stato il primo viaggio, magari sarei partito un po' timoroso, ma non è stato così.
«Chiaramente bisogna avere la testa sulle spalle, cercare di non infilarsi in situazioni di pericolo. Può succedere che in certi momenti devi mettere in conto che possano esserci delle tensioni con qualcuno, ma il rischio e la paura non devono mai diventare compagni di viaggio.»
 

Himalaya, Tilitcho trek, Nepal.
 
Qual è il posto che ti ha colpito di più?
«Mi sono innamorato dell'Himalaya. Lì, in tutto, mi sono fermato otto mesi perché quel territorio incredibilmente montuoso lo sento quasi come una seconda casa e penso che potrei anche spenderci un intero periodo della mia vita.
«In più in quel posto affascinante non ho trovato l'amore solo per il paesaggio e per l’ambiente... Qui è successa una cosa, forse la più importante se guardo il mio percorso di vita e non solamente di viaggio.»
 
Dai racconta…
«Durante la prima giornata di trekking in Ladakh, nella parte Nord dell'India, sull'Himalaya appunto, ho incontrato una ragazza parigina, Valerie, anche lei in viaggio da sola. All’inizio l'ho vista da lontano, eravamo gli unici due nel raggio di qualche chilometro. Per molto tempo la seguivo con gli occhi, a distanza, sui sentieri della montagna. Poi, per caso o chi lo sa, i nostri passi si sono avvicinati e abbiamo iniziato a camminare insieme, inizialmente per ore, poi per giorni.
«Ci siamo trovati bene. Guarda i casi della vita: il Ladakh avrebbe dovuto essere l'ultima tappa del mio lungo viaggio per poi tornare verso l'Italia. Era la mia meta, il mio fine ultimo. Invece ha rappresentato un punto di svolta, un nuovo inizio.
«Da lì il viaggio non è quindi finito, ma è praticamente ricominciato. È iniziata un'altra parte del percorso, stavolta in due, io insieme a Valerie.
«Lei, infatti, dopo quel trekking è tornata a Parigi per un breve periodo e successivamente mi ha raggiunto in Nepal. Pensa: ho cominciato il viaggio in solitaria, l'ho finito che non ero più solo. Adesso viviamo assieme a Trento.»
 

Dopo un mese di cammino insieme, ABC, Nepal .
 
Oltre a Valerie, cosa ti ha lasciato di prezioso questo viaggio?
«Mi ha lasciato un sacco di conoscenze, di saper come stare e muoversi nel mondo. Vivere all'aria aperta è positivo anche a livello di salute, oltre che mentale, hai sempre i sensi stimolati, è un buon modo per crescere e per vivere bene. Inoltre, penso sia anche molto importante il viaggiare lenti, il cosiddetto Slow travel, perché in questa maniera si riesce a conoscere luoghi e persone e ad avere la mente sgombra per poterlo fare tranquillamente nel migliore dei modi.
«Come a dire che in aereo arrivi in quel dato posto saltando tutto ciò che sta nel mezzo: un vero peccato! Se invece prendi il treno vedi il panorama. Con la macchina, in più, puoi fermarti dove vuoi. Ma in bici, o meglio ancora a piedi, è tutta un’altra cosa. Sei tu con le tue energie a gestire il viaggio. Io sono convinto, infatti, che il miglior viaggio, quello perfetto, quello conoscitivo e appagante è essenzialmente quello percorso a passo d'uomo.
«Un viaggio da assaporare in ogni momento, in ogni sua sfumatura, senza alcuna fretta. Un viaggio semplice, a misura d’uomo, con i tempi dettati da nient’altro se non dal giorno e dalla notte. Questo è il mio viaggio.»

Astrid Panizza – [email protected]
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