Giovani in azione: Eleonora Iob – Di Astrid Panizza

«Io, cittadina d’Europa a 24 anni» – È In Inghilterra sta facendo un dottorato di ricerca nell’ambito della medicina pubblica

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Ci sono storie di giovani che escono dai propri confini per andare lontano: quella che segue prende avvio da Rovereto per arrivare fino alla capitale del Regno Unito.
La protagonista è Eleonora Iob, 24 anni, che con una valigia piena di sogni è arrivata in Inghilterra nel 2013, subito dopo aver finito le scuole superiori.
Laureata in Psicologia, Eleonora sta ora facendo un dottorato di ricerca nell’ambito della medicina pubblica.
Il suo progetto è focalizzato sul tema della salute mentale, della depressione e dell’ansia e di come i molti fattori biologici, genetici e sociali possono interagire nello sviluppo di queste patologie.
Allo stesso tempo, Eleonora insegna metodi di ricerca e statistica, una sorta di «allenamento» per poter diventare in futuro un professore accademico vero e proprio.


 
Eleonora, cosa ti ha portato fino in Inghilterra?
«Durante l’ultimo anno di superiori avevo vagliato l’idea di studiare all’estero, pensiero che mi aveva sempre attirato. Ma ho cominciato a capire che poteva davvero essere una possibilità concreta e non un sogno solo quando, dopo avere superato l’esame di lingua inglese, sono stata accettata all’Università di Manchester nella facoltà di Psicologia.
«Allora mi sono detta: tentiamo… è stato un passaggio veloce della mia vita, ma se mi guardo indietro adesso, ne è valsa la pena!
«Ho passato quattro anni a Manchester, mi è piaciuto un sacco! Il corso era improntato essenzialmente sulla ricerca e ho scoperto così la mia passione per questo argomento.
«Mentre studiavo lavoravo con contratto part-time in un bar della città ed è così che ho migliorato le mie competenze linguistiche e comunicative. In questo caso, il fatto che necessariamente parli tutto il giorno con i clienti non può che farti migliorare il livello di lingua. E così è stato.
«Una volta finita la triennale ho vinto una borsa di studio per un Master in Statistica e Metodi di Ricerca. È stato un anno intenso, ma che mi ha fornito una grossa base di conoscenza per il dottorato che sto facendo adesso.
«Anche nel corso di quell’anno ho lavorato, quella volta, però, in un’agenzia di programmazione e di lavoro: mi occupavo di gestire i turni degli impiegati. È stato faticoso, ma questa occupazione mi ha insegnato a essere più organizzata.
«Certo, è stato un anno di fuoco perché ho dovuto incastrare lo studio full-time con il lavoro part-time, tuttavia - come dicevo - mi ha dato molte soddisfazioni e un importante bagaglio di nuove esperienze.»
 

 
Poi ti sei trasferita a Londra?
«Esatto. A settembre dell’anno scorso, subito dopo aver finito il Master ed essermi laureata, ho cominciato il dottorato a Londra e mi sono immediatamente trasferita, senza pause o vacanze. Ma non mi pento di niente, tornassi indietro rifarei tutto allo stesso modo.
«Mi dà soddisfazione e mi piace davvero tanto ciò che sto facendo. Pensa che quando finirò il mio corso di studi sarò dottore in Filosofia, perché quando si fanno dottorati di ricerca senza fare lavori chimici o pratici, il dottorato si chiama poi così.»
 
Com’è la vita in una grande città come Londra?
Dato che il lavoro mi occupa molto tempo, seduta alla scrivania o comunque lavorando sempre di mente, durante il tempo libero sono molto spesso in movimento. Ho bisogno di sfogare i tempi sedentari attraverso diverse discipline. Ad esempio faccio yoga, meditazione e sport.
«Non trascuro nemmeno la vita sociale, mi piace andare a eventi musicali con amici, uscire e incontrare persone. Spesso esco con i miei colleghi che hanno tutti più o meno la mia età.
«Londra offre tantissime opportunità, è molto caotica, richiede tante energie, c’è tutto, ma nulla è vicino. Però ci sta, non è un posto in cui mi vedo tutta la vita, ma per il momento è perfetta.»
 
Ti manca l’Italia?
«Il primo anno mi mancava un po’ tutto dell’Italia. Adesso, che è passato molto tempo, mi manca soprattutto la famiglia, gli amici, quello sì, ma l’Italia, in sé, non molto. Al momento, ti confesso, non sento l’esigenza di tornare a viverci. Non escludo, ovviamente, di rientrare in futuro.
«Del resto, non si sa mai cosa ti riserva la vita. In fondo penso che non sono tanto lontana dalla mia famiglia, mi sento ancora a casa, in qualche ora di viaggio posso riabbracciare le persone a cui voglio bene. Potrebbe andare peggio, no? Potrei essere più lontana, dunque non posso lamentarmi.
«Sai cosa? Da quando mi sono trasferita in Inghilterra mi sento più cittadina europea, che non italiana. Mi piace il clima che si respira a Londra perché qui si mescolano tante culture, quindi nessuno si sente escluso.
«Ecco, diciamo che quando sono in Europa mi sento a casa. Per tale motivo posso dire che i miei orizzonti negli ultimi anni si sono notevolmente allargati e questo è una ragione in più per sentirmi soddisfatta.
 

 
Parliamo ora di Brexit. Ti ha toccato personalmente l’esito del referendum inglese di uscire dall’Unione Europea?
«Mah, ti dirò che, a parte il caos iniziale, per le persone che già vivono qui da tempo c’è la possibilità di compilare un documento in cui si certifica la residenza.
«Statisticamente c’è stato un calo negli ingressi di persone dall’estero che volevano stabilirsi qui per vivere, ma a parte quello, di sicuro non c’è ancora nulla di concreto.
«Nemmeno i governanti pare sappiano bene il da farsi e ufficialmente non c’è tuttora nessun provvedimento scritto al riguardo dei cittadini stranieri residenti in Inghilterra. Quindi, secondo me, non è nemmeno certo che alla fine si uscirà per davvero dall’Europa.»
 
Come mai hai scelto un percorso in psicologia?
«La psicologia mi è sempre piaciuta e ho presto capito quanto la mente possa essere importante nella vita e come tutto sia collegato ad essa. Fattori emotivi e sociali influiscono sulla psiche, capita a tutti, nessuno escluso.
«Le mie esperienze personali mi hanno portato a credere che ogni problema si possa risolvere e con l’aiuto della ricerca vorrei che ci fosse un impatto concreto sulle persone.
«Nella costruzione di un processo di ricerca bisogna sempre pensare a come esso influirà sulle persone e cosa di positivo può portare. Nulla è lasciato al caso, sia da un punto di vista soggettivo, che oggettivo. È anche questo che amo del mio lavoro: l’idea di poter aiutare, giorno dopo giorno, chi ne ha bisogno.
«In effetti, il presupposto di fare ricerca è proprio quello di avere, dopo una fase teorica più o meno lunga, un esito concreto sulla società e per questo si deve anche pensare al dopo, a come gestire la seconda fase del progetto, collaborando con enti e associazioni per promuovere i tuoi risultati attraverso la conoscenza, la promozione e le politiche di prevenzione.
«Tutti passaggi importanti, anche da un punto di vista personale, per poter dire alla fine, dopo tanta fatica, «sono stata utile a qualcuno.»

Astrid Panizza – [email protected]
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