Giovani in azione: Monica Maranelli – Di Astrid Panizza
La storia di una giovane che da sempre ha voluto fare la pianista professionista ed ora, a 23 anni, lo è diventata per davvero
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Monica Maranelli nasce nel 1995 e fin da piccola si divide tra Rovereto e Arco, dove studia e ha iniziato a suonare quel pianoforte che l’ha portata ad essere oggi una pianista di fama internazionale.
Ha seguito il Conservatorio Bonporti di Trento e l’Accademia Internazionale di Imola Incontri col Maestro. È poi arrivata in Svizzera dove ha svolto due Master in musica da concerto, il secondo dei quali terminato proprio domenica 3 giugno.
Ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi nazionali ed internazionali. Al suo attivo vanta collaborazioni con artisti internazionali, uno fra tanti il giovane violinista roveretano Teofil Milenkovic.
Un curriculum da far invidia, insomma, ma parlando con lei si dimostra una ragazza semplice e con i piedi per terra, che è riuscita a seguire il sogno della sua vita con tanto sforzo, sacrifici e soprattutto con una grinta pazzesca.
Da dove nasce la tua passione per questo strumento?
«Èstato un po’un caso, perché i miei genitori non sono musicisti. Ho iniziato alla scuola musicale di Arco come molti altri bambini provando i vari strumenti proposti. A otto anni bisognava poi scegliere uno strumento e la mia decisione è caduta sul pianoforte perché mi andava di suonare quello, non c’è stato un motivo particolare.
«I miei nonni avevano un pianoforte a muro e quindi mi è sembrata la scelta giusta, così avrei potuto provare in casa loro.
«All’inizio è stato tutto un gioco, non ero di quelle bambine che studiavano tanto, i miei genitori non mi hanno mai imposto di suonare, lo facevo quando semplicemente ne avevo voglia.»
Con l’andare del tempo, come si è evoluto il tuo desiderio di studiare musica?
«Questo passo è stato direi drastico. Ho provato l’ammissione in Conservatorio quando avevo 11 anni, grazie al mio maestro di allora, Enrico Toccoli, che ha insistito perché provassi. Senza di lui non sarei arrivata dove sono ora perché ha riconosciuto le mie potenzialità e ha fatto in modo che le sviluppassi al meglio.
«In Conservatorio è nata la passione vera e propria, ho cominciato a capire che suonare mi piaceva sul serio. Tornando a casa da scuola, infatti, non vedevo l’ora di sedermi davanti al pianoforte, piuttosto trascuravo le altre materie, matematica o italiano per esempio, proprio perché sentivo questa voglia di arrivare preparata alle lezioni di musica.
«Ricordo con chiarezza quando, a 12 anni, dissi a mia mamma: “Da grande voglio fare la pianista”. I miei genitori, pur spingendomi a coltivare le mie passioni, la musica, ma anche la danza classica che ho praticato per parecchi anni, mi hanno sempre fatto capire l’importanza di seguire comunque la scuola.
«Da quando ho esplicitato la mia passione, è iniziato il grande impegno nella musica, volevo ascoltare, apprendere tutto ciò che riuscivo dagli insegnanti del conservatorio, ma anche da Internet, guardando video su YouTube, o ascoltando i CD che c’erano a casa.»
C’è stato un momento cruciale in cui hai capito che la tua sarebbe stata una carriera da pianista?
«La svolta è arrivata quando, a 16 anni, sempre più decisa nel mio intento di diventare una musicista, ho capito che il Conservatorio non mi bastava più e avevo bisogno di fare anche altro. Cercando quindi dei modi per perfezionare la mia tecnica, ho provato l’ammissione ad una Accademia Pianistica Internazionale che si trova ad Imola: Incontri col Maestro. Avevo sentito parlare di un insegnante famoso di Rovereto che lavorava lì, il suo nome è Leonid Margarius, ma non avevo mai avuto modo di conoscerlo.
«Proprio lui accettò la mia prova ed iniziai così anche questa esperienza, che è stata di fondamentale importanza perché mi ha aperto una finestra sul mondo. Entrando a contatto con musicisti di qualsiasi nazionalità, infatti, sono riuscita a capire veramente quanto fosse alto il livello fuori dall’Italia e quale duro lavoro mi aspettasse.
«Per farti capire com’era la mia vita a quel tempo, pensa che a soli sedici anni, assieme allo studio del liceo scientifico e quello del Conservatorio, ogni settimana o due prendevo il treno per andare a Imola a seguire le lezioni in Accademia. Non è stato facile per niente, ma per fortuna i miei genitori mi hanno sempre sostenuta al meglio.
«Nonostante in accademia sia stata dura all’inizio perché il divario con i pianisti internazionali, di un livello molto più alto del mio, era visibile, devo ammettere che ho visto in questa sfida uno stimolo per migliorare e per dare il meglio di me.
«Da lì in poi mi sono concentrata sul pianoforte per davvero, non c’è mai stato altro che abbia attirato la mia attenzione così.»
Ci sono mai stati dei momenti di difficoltà o di scoraggiamento?
«Certamente, ci sono stati dei momenti in cui mi sono detta: “Ma chi me l’ha fatto fare?!” Oppure “Non ce la farò mai”, ma non ho mai pensato di mollare. Sia chiaro, l’idea di sacrificarmi mi è sempre piaciuta, era un sacrificio per migliorarmi. A volte sì mi pesava, quando magari i miei compagni di liceo uscivano e io non riuscivo perché dovevo studiare, o prepararmi per un concerto.
«Ho sempre però gestito i miei impegni grazie all’organizzazione, tenendo tutto sempre sotto controllo, quello è il mio segreto. Quando infatti ho dei momenti di ansia, la cosa che mi ha sempre aiutata e tranquillizzata è il fatto di prendere un foglio e organizzare la mia giornata minuto per minuto. Per esempio: dalle 8 alle 9 studio questo, dalle 9 alle 10 mi faccio la doccia, e così via …
«Ci sono periodi in cui si accavallano tanti progetti, tante cose da fare al punto che magari uno pensa che non ce la può fare. L’unico modo per far andare per il meglio il tutto è avere chiaro in mente come agire, anche solo per una tranquillità mentale e psicologica che mi fa poi dire: “Ce la posso fare.»
«Quando, con un obiettivo a lungo termine, si hanno dei momenti di difficoltà secondo me è importante fissarsi degli obiettivi a breve termine, dirsi: “Tra due giorni devo riuscire a fare questa cosa”. Il fatto di arrivare ad un obiettivo semplice ti può dare la fiducia per poi continuare nella tua grande aspirazione.
«In questa vita in cui non ho un manager, un assistente, o la mamma che mi prepara il pranzo devo cavarmela, e organizzarsi è fondamentale.»
Quando suoni cosa provi?
«Le sensazioni che provo sono relative ad ogni brano, perché ognuno richiede un tipo di concentrazione, di suono, di stato d’animo diverso. Quando suono quindi cerco di rappresentare, far capire all’ascoltatore il sentimento che il compositore ha voluto dare a quel brano.
«Ti faccio l’esempio di quello che dovrò eseguire domenica. [ieri - NdR] Sono tre brani: uno di Haydn, del 700’ una sonata dove devo quindi rappresentare la gioia, l’allegria e la freschezza. Il secondo è di Prokofiev, sempre una sonata ma completamente diversa, scritta negli anni 20 del ’900, in un’epoca molto diversa dal brano di Haydn, che quindi rappresenta un altro tipo di racconto e di approccio, più aggressivo. Quando suono questo brano mi sento come una femme fatale. Il terzo brano invece è di Schumann, si chiama Carnaval e riunisce più brani, ognuno di essi rappresenta una maschera. Ecco, qui mi immaginerò mentalmente una scena, una maschera, un personaggio.
«In concerto aiuta avere delle immagini mentali in testa, favorisce la trasmissione del messaggio del brano e la concentrazione. Un professionista non lascia nulla al caso, c’è sempre la parte artistica, del momento, ma c’è dietro una grande preparazione mentale per riuscire a rendere al meglio.»
Dove ti vedi in futuro?
«Il mio obiettivo è quello di vivere di concertismo, quindi di girare l’Europa e il mondo suonando sia come solista, sia accompagnata da un’orchestra, ma anche in gruppo con altri musicisti, come quartetto o trio d’archi.
«Mi piace lavorare con la musica in generale, anche insegnare mi dà soddisfazione. Impartisco, infatti, anche lezioni privatamente. Mi piace fare di tutto con la musica!
«Già adesso sto facendo quello che vorrei fare, non tanto come vorrei farlo, ma effettivamente ci vuole tempo per farsi conoscere, farsi apprezzare.»
Il Trentino non ti manca mai?
«Ah sì quello sì. Il Trentino mi manca eccome! Quando torno e scendo dal treno faccio un respiro e sento proprio l’aria del Trentino. Sono quattro anni che me ne sono andata ed ogni volta che torno è sempre la stessa storia. L’aria del Trentino che respiro qui non si respira da nessun’altra parte ed è una sensazione che mi manca tanto.
«Mi manca il lago, casa mia, ma la cosa che più mi manca è proprio l’aria, inconfondibile.»
Astrid Panizza
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