Giovani in azione: Chiara Volani – Di Astrid Panizza
Come tutto partì per caso: la sua esperienza internazionale dodici anni dopo
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«Oggi la mia vita sarebbe completamente diversa se nel 2006 non avessi deciso di partire.»
Inizia così la storia di Chiara Volani, una ragazza minuta di 28 anni, con i tratti dolci e i capelli biondi che ormai 12 anni fa, quando di anni ne aveva 16, ha coraggiosamente deciso di lasciare la sua vita di paese qual’era quella di Volano, per affrontare un anno di studio all’estero.
«Mia madre stentava a credermi quando ho portato a casa il dépliant informativo e le ho annunciato la mia idea di voler partire, – ci racconta sorridendo. – Anche perché le poche gite fuori porta che avevo fatto da sola negli anni precedenti si erano rivelate un disastro: quasi sempre piangevo e volevo tornare a casa. Quella volta, invece, sentivo che sarebbe stato diverso.»
Il percorso intrapreso da Chiara venne allora promosso da «Intercultura», un’associazione che tutt’oggi crea un ponte tra studenti e famiglie, permettendo a ragazzi italiani di frequentare un anno di studio all’estero ospitati in una famiglia del luogo.
Allo stesso modo fa sì che ragazzi stranieri siano ospitati in Italia.
Perché hai deciso di partire?
«C’era un po’ la curiosità di guardare fuori dall’Italia e dalla piccola realtà di provincia, ma soprattutto mi affascinava quella filosofia proposta dall’Associazione Internazionale di andare a conoscere una cultura diversa e affrontare la sfida di capire in prima persona cosa significhi integrarsi in una società che non è la nostra. Cosa che è il tema che si affronta ogni giorno qui da noi, ma che allora era già attuale, soprattutto all’estero.
«Arrivata in Danimarca, nel sud del Paese, quasi al confine con la Germania, sono stata ospitata in una famiglia che mi ha accolto a braccia aperte come una figlia. La considero ancora adesso la mia seconda famiglia, senza nessun dubbio.»
Famiglia danese che ha ospitato Chiara Volani durante il suo anno all'estero.
«Sono venuti anche al mio matrimonio l’estate scorsa e siamo sempre rimasti in contatto, – continua Chiara. – Pensare a loro mi fa venire in mente il disegno di una casetta con dentro un cuore, per significare come in generale la cultura danese dia molta importanza alle relazioni interne alla famiglia. Questo è quello che mi porto dentro ripensando all’esperienza di allora.
«Pensa che poi anche la mia famiglia poco dopo il mio rientro ha ospitato un ragazzo con Intercultura anche se devo dire che io e mio fratello abbiamo dovuto fare un’operazione di convincimento nei confronti dei nostri genitori inizialmente restii ad aprire le porte di casa ad un’altra persona.
«E così è arrivato in casa nostra Jon. Attualmente i miei ospitano nuovamente, e mia mamma è come me volontaria dell’associazione.
«Insomma, possiamo proprio dire che Intercultura ci ha cambiato la vita, a me in primis e poi a tutti gli altri membri della famiglia.»
Famiglia di Chiara Volani.
Come mai credi che quest’esperienza ti abbia cambiato la vita?
«Perché se non fosse stato per la Danimarca probabilmente non avrei scelto di studiare quello che sto studiando ora. Mi spiego meglio: in Italia frequentavo il liceo socio psicopedagogico e l’idea che avevo di me da grande era quella della maestra d’asilo.
«Una volta in Danimarca, la scuola che frequentavo lì era molto più scientifica, facevo biologia, chimica… materie molto astruse delle quali non capivo nulla. Invece con il tempo mi sono appassionata così tanto alla biologia che una volta tornata in Italia ero sicura che dopo le superiori il mio percorso sarebbe stato quello scientifico. Infatti poi ho fatto Biotecnologie mediche a Padova e la specialistica l’ho svolta ad Ulm, in Germania, sempre in ambito medico e ancora una volta all’estero.
«In questo momento, invece, mi trovo ad Innsbruck, in Austria, dove sto svolgendo un dottorato di ricerca Biomedico. Mi occupo di metabolismo del ferro.»
È stato difficile l’impatto linguistico di un paese germanofono?
«Conta che chi sceglie questo tipo di strada deve masticare abbastanza bene l’inglese in partenza, perché i corsi, almeno quelli scientifici, sono tutti in inglese e i convegni pure. Sono partita quindi abbastanza avvantaggiata da questo punto di vista perché l’inglese lo conoscevo bene.
«È stato invece un po’uno shock passare dalla Germania all’Austria, perché mi ero inizialmente imparata il tedesco che si parla in Germania, mentre invece una volta arrivata a Innsbruck la lingua è diversa, qui parlano tirolese. Ci ho messo due mesetti per capire cosa mi stessero dicendo i colleghi.
«Alle volte mi dico che se fossi rimasta in Italia certamente sarebbe stato tutto più facile linguisticamente parlando, per cui di sicuro la lingua è un ostacolo, ma una volta che la sai o la capisci diventa un grande vantaggio perché vai in giro e quantomeno riesci a comunicare con le persone nella loro lingua, altrimenti non sai nemmeno chiedere un etto di prosciutto al supermercato, e non sto scherzando!»
Se tornassi indietro rifaresti tutto quello che hai fatto?
«Sì, rifarei tutto dall’inizio alla fine. Anche perché le cose che mi sono successe, compresi gli errori, mi sono servite per calibrare le mie scelte e avere l’opportunità di intraprendere quella che poi ho capito essere la mia strada.
«Personalmente sono poi convinta che le cose che incontriamo durante il percorso di vita non arrivano a caso, sta a noi raccogliere il meglio che ci viene offerto.»
Come pensi sarà il tuo futuro?
«Anche se non c’è ancora una piena ufficialità, molto probabilmente mi sposterò a Bolzano alla fine di quest’anno appena finito il dottorato. Lì mi è stato offerto un buon impiego. Rimarrò comunque sempre nel campo della ricerca e mi avvicinerò a mio marito che lavora appunto nel capoluogo Altoatesino.
«Del resto ci deve essere sempre un bilanciamento tra carriera e famiglia e proprio per questo bisogna saper trovare il giusto compromesso.»
In definitiva se non fossi partita in quell’ormai lontano 2006, quale potrebbe essere oggi il tuo presente?
«Penso che sarei diventata una maestra d’asilo e che adesso probabilmente mi troverei nelle liste d’attesa per entrare in ruolo, facendo un sacco di supplenze e magari adattandomi a passare l’estate a fare colonie estive una dopo l’altra per guadagnare quel poco da poter essere indipendente.»
Astrid Panizza – [email protected]
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