Giovani in azione: Silvia Vicenzi – Di Astrid Panizza

Ovvero, come partire da Rovereto per esplorare il mondo... studiando

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Se dovessi descrivere in una parola come si è presentata Silvia Vicenzi, classe 1992 originaria di Rovereto, non avrei dubbi, scriverei di getto: sorriso.
Ci incontriamo per l’intervista su Skype, come ho già fatto alcune volte da quando ho iniziato le mie interviste per L’Adigetto.it.
La storia di Silvia parte da Rovereto ma compie un percorso lungo e tortuoso.
Adesso la trovo in Tasmania, Australia, e quando cominciamo a parlare mi dice che è ancora al lavoro, nel suo ufficio, alle 22:30, e che ormai è diventata amica delle signore delle pulizie che a quell’ora si mettono al lavoro.
«A volte rimango anche più tardi» – mi confida ridendo.
Prima di iniziare mette le mani avanti. «Ti chiedo già scusa per il mio italiano che a volte fatico a ricordare, mi vengono più facili le parole in inglese ormai!»
 

 
Raccontami la tua storia dall’inizio, perché hai lasciato l’Italia e dove sei andata?
«Ho sempre avuto la passione di viaggiare, però ho anche la passione per la scienza, e ho sempre cercato di farle andare a coppia, riuscendoci.
«Quando ho finito la triennale in Italia, laureata all’Università di Trento in Biotecnologie, sentivo proprio il bisogno di vedere il mondo, scoprire nuove culture, ma anche di specializzarmi.
«La scelta migliore era la Svezia, eccellente nel mio campo e tra i migliori Stati per quanto riguarda l’educazione (l’Università infatti è gratis per gli studenti europei), quindi ho detto proviamo.
«Ho raggiunto la Svezia cominciando un Master in Medicina molecolare, bellissimo, la miglior scelta della mia vita. Mi sentivo infatti di aver imboccato la giusta specializzazione, ad ogni lezione venivano professori importanti da tutto il mondo a dare lezioni, la preparazione si è sempre mantenuta su di un livello molto alto.
«È stato uno stimolo giornaliero, ma per me è stato fondamentale anche il fatto che nel mio corso ci fossero persone provenienti da tutto il mondo, gli svedesi erano solo tre, ci si immergeva quindi in una cultura ogni giorno diversa.
«In più, per mantenermi ho cominciato il primo anno a fare qualche lavoretto, dei più disparati proprio, dalla cameriera al pub, poi barista, ho servito a delle cene di gala... un po’di tutto insomma, per pagarmi l’affitto e la pagnotta.
«La prima estate invece ho cominciato a lavorare gratis in un laboratorio in cambio di crediti accademici. Gratis significa che proprio non venivo pagata, zero, nemmeno un rimborso spese, era la gavetta insomma, però intanto mi hanno conosciuta, hanno visto come lavoravo e quando poi ci sono state offerte di lavoro sono venuti da me.
«Il secondo anno quindi ho cominciato a lavorare nel mio campo, oltre che a studiare. Ero la responsabile di un ufficio nel week-end. Durante la settimana studiavo e il fine settimana lavoravo. Ero in marcia 7 giorni su 7!
«Dopo due anni mi sono laureata e in Svezia le offerte di lavoro fioccavano, ma sul serio. Non volevo rimanere lì a dire la verità, ma quando il giorno dopo la laurea ti trovi cinque offerte lavorative e puoi addirittura scegliere … ecco, sono rimasta. Ho lavorato in vari laboratori, ho seguito progetti, ma ancora non sapevo bene cosa fare della mia vita, l’unico obiettivo che volevo raggiungere era quello di fare un dottorato.
«Ho sempre avuto il pallino dell’Australia e quindi ho provato a far domanda per una borsa di studio per le tasse universitarie e un’altra per il salario, perché altrimenti non avrei potuto permettermelo. Ho provato un po’così sai, “se mi prendono bene, altrimenti bene lo stesso, farò qualcos’altro”. E mi hanno presa!»
 

 
Quindi ora sei in Australia a fare il dottorato, ho capito bene? E di cosa ti occupi?
«Sì, il dottorato che sto facendo è in Neuroscienze, devo finire il primo anno, sono qui da maggio dell’anno scorso. Ma non mi dedico completamente a questo studio, ho infatti un lavoro nel dipartimento di demenza, che si occupa del deterioramento delle facoltà mentali.
«Sono riuscita ad entrare anche nel giro dell’insegnamento, e ne vado davvero fiera perché sono l’unica non australiana, all’inizio avevo un po’di paura, perché magari si sarebbe sentito l’accento o non mi sarei riuscita ad esprimere bene.
«Invece va tutto alla grande. Insegno al primo anno di medicina, in laboratorio spiego agli studenti come si usa il microscopio per esempio, mi occupo dei dettagli tecnici diciamo.
«È quello che mi piacerebbe fare in futuro. Seguire sì la ricerca, però trasmettere anche ad altre persone la mia passione per la scienza. Il ruolo di educatore è importante secondo me, non solo per quanto riguarda la scienza, ma per riuscire a passare ai miei studenti i valori importanti della vita, aiutare il prossimo e cercare di far trasmettere a loro volta la passione a chi vuole imparare.»
 
In un domani vorresti rimanere in Australia, spostarti in un altro angolo di mondo o ritornare in Italia?
«Allora, per adesso ho il bisogno di rimanere qui per finire la mia specializzazione e poi credo avrò bisogno di specializzarmi ancora di più, perché comunque l’ambito delle scienze è molto competitivo e difficile.
«Alla fine delle specializzazioni all’estero ho la voglia sì, di tornare in Italia, perché è pur sempre casa. Solo quando vai via dall’Italia ti rendi davvero conto di quanto nel nostro Paese siamo esposti ad un bagaglio culturale non indifferente, a partire dalle tradizioni, la storia, l’architettura.
«Vedendo queste bellezze tutti i giorni non te ne capaciti, ma andando via, ecco, è in quel momento che capisci cosa racchiude l’Italia e che da altre parti non si trova.»
 
C’è mai stato qualche momento in cui hai avuto paura, in cui la tua sicurezza è vacillata?
«Io parto sempre entusiasta Bom, via!, poi generalmente, il momento prima di prendere l’aereo ho sempre paura, solo in quel momento. Appena salgo basta, già quando si decolla penso “Bene, ora sono io qui da sola, devo prendere in mano la mia vita e reagire”. Quando arrivo nel posto nuovo mi mobilito da subito.
«Ovviamente soprattutto i primi periodi in cui si è in un posto nuovo non è per niente facile. Non hai nessuno su cui fare affidamento, ti senti sola. E te lo dice una che parla con tutti, sono sempre sociale, però per stringere amicizie solide su cui contare ci vuole del tempo.
«Per questo il primo periodo è sempre un po’più instabile. Però ti devo dire che, sia quando ero in Svezia, sia qui in Australia, le amicizie che ho coltivato da subito sono quelle che ancora mi porto dietro.
«Poi al mondo d’oggi, con Skype, anche se mi sento sola e c’è un problema si può facilmente sentire una voce amica che ti dice Ce la fai, forza. Perché alla fine è quello che manca forse, il supporto morale della famiglia e delle persone a te più care.»
 

 
Se fossi rimasta in Italia credi che avresti avuto le stesse opportunità che hai avuto all’estero?
«Direi di sì, perché vedo alcuni dei miei vecchi compagni della triennale che hanno deciso di rimanere in Italia, stanno facendo il dottorato e sono felici. Credo che la differenza sia proprio a livello di personalità, loro si accontentano della loro vita quotidiana che è sempre la stessa, mentre io invece dovevo proprio fare queste esperienze, vivere all’estero, dove sono stimolata ogni giorno.
«Uscire dai confini, dalla propria comfort zone, ti debilita, ti mette fortemente alla prova, a partire dall’aprire un conto in banca, pagare l’affitto, prendere bei voti a scuola, non tardare a lavoro, tutto questo in un Paese dove la lingua non è la tua, dove la cultura non è la tua e ti confronti con ambienti e persone nuove. Ti mette alla prova sì, ma ti dà grandi stimoli, conosci sempre persone nuove, ti apre la mente.»
 
Hai mai avuto qualche esperienza negativa?
«Mah, come tutti nella vita ho sempre avuto alti e bassi. Il mio approccio verso le esperienze negative è di per sé positivo. Se mi succede qualcosa che non mi piace, io mi dico “Beh ma tu devi fare questa esperienza per migliorare un aspetto del tuo carattere, devi diventare più forte”.
«Rigiro quindi la frittata a mio favore, anche perché sono una testarda, che non molla, quindi se c’è una difficoltà io la affronto e continuo, cercando la strategia migliore.
«Quando poi l’esperienza finisce, per quanto negativa sia stata mi ripeto che dovevo farla per imparare quella cosa, in modo che mi potesse formare, forgiare anche, quindi se dovesse ricapitarmi una prossima volta so come reagire e comportarmi di fronte ad una difficoltà già superata.»
 

 
L’intervista è ormai giunta alla fine ma Silvia mi spiega il suo segreto per «ascoltarsi», per guardare dentro di sé e capire cosa si vuole veramente, chiave del successo che può avere ognuno di noi nella direzione migliore per se stesso.
Il segreto è per lei scrivere su di un libricino tascabile. Nei momenti in cui si sente ispirata descrive così i suoi pensieri, a partire da quello che prova, le sue paure o come affrontare nuove sfide, il motivo per cui sta facendo questa esperienza e via dicendo… si analizza quindi, rileggendo i suoi scritti in un secondo momento.
 
Mi saluta con un sorriso, quello che ha sempre avuto sul viso per tutta la durata dell’intervista, e il mio pensiero ricorre ai suoi studi e agli sforzi per arrivare dove vuole arrivare.
Quello che mi sento di dire è che sono sicura, Silvia, che trasmetti ogni giorno ai tuoi studenti la passione per la scienza, così come hai trasmesso in questa intervista la tua passione per la conoscenza, per il viaggio e l’apertura verso l’ignoto.
 
Astrid Panizza
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