Giovani in azione: Andrea Baldessari – Di Astrid Panizza
Da Rovereto ad Hong Kong: il fashion business è entrato nella mia vita così
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Apro Facebook alle 15 di un giorno piovoso, dalla scrivania di casa mia dove vedo le montagne. Schiaccio sul pulsante «videochiamata». E mi proietto in un attimo dall’altra parte del mondo, nel buio di una notte metropolitana, tra grattacieli e mille rumori.
Mi risponde Andrea Baldessari, roveretano di origine ma migrato ad Hong Kong da due anni e mezzo. Lì si occupa della gestione del settore tecnico e di controllo di un brand di lusso tutto italiano, uno dei primi e più famosi che sfilano alle Fashion Week di Milano o agli eventi più in di Parigi.
Andrea ha 27 anni e nel suo lavoro è ormai esperto. È a capo di 13 persone, «in Italia non esiste che un ragazzo giovane come me abbia un’opportunità del genere, – ci racconta. – Ci vogliono flessibilità e passione». Due delle componenti fondamentali per un lavoro come il suo, che è sempre in stretto contatto con l’Italia e per questo a volte protrae il suo lavoro oltre l’orario.
«Capita che debba mandare email alle dieci di sera, perché in Italia è pomeriggio e gli uffici lavorano ancora a pieno regime.»
È un ragazzo che mi sembra da subito con le idee chiare, molto determinato e pragmatico. Ma partiamo dall’inizio della sua storia.
Andrea, come sei arrivato ad ottenere un posto di rilievo ad Hong Kong con un brand di lusso, realtà che sembra spesso inavvicinabile?
«Sono partito lavorando in Italia. Dopo la triennale in Economia a Trento, ho iniziato due magistrali (non una, due!), ma sentivo che non erano la mia strada e quindi le ho lasciate, alla ricerca di un lavoro.
«Nella grande casa di moda in cui ora lavoro c’era una posizione aperta e sono stato chiamato per un colloquio dopo aver mandato il mio curriculum. Non ho mai avuto esperienze nel mondo fashion, e l’ho fatto presente fin da subito.
«Forse questo mio essere sincero è stato il fattore che mi ha premiato, non lo so, ma sono stato assunto come impiegato per un periodo di prova, per poi coprire invece un posto in sostituzione maternità.
«Doveva essere quindi inizialmente un periodo limitato, però alla fine di questo periodo mi è stata fatta la proposta di un possibile avanzamento di carriera con il posto di manager del settore tecnico qui ad Hong Kong.
«All’inizio non sapevo nemmeno dove fosse, se mi avessero detto: indica Hong Kong sul planisfero, non avrei avuto la più pallida idea di dove puntare il dito, sapevo solo che era vicino al mare. Il brand aveva probabilmente bisogno proprio di una figura come la mia, giovane e senza famiglia, con una conoscenza dell’inglese che seppur scolastica, non era male, disposto quindi a muoversi nel mondo.
«Siccome ho sempre avuto il rimorso di non aver mai fatto l’Erasmus quando ero in Università, ho visto questa occasione come una possibilità non solo di fare esperienza ma anche di recuperare il gap del passato, perché fare esperienza all’estero è secondo me un’opportunità che va sfruttata.»
Hai sempre avuto il desiderio quindi di vivere all’estero?
«A dirti la verità no, diciamo che mi ha sempre affascinato l’idea di andare all’estero per un periodo limitato e l’unico periodo che avevo passato fuori dall’Italia, prima di Hong Kong, era stato a Dresda, in Germania, per studiare tedesco, oltre alle vacanze trascorse all’estero ma sempre comunque per brevi periodi.
«Quindi no, non c’era proprio l’idea di andar via per un periodo così lungo, anche perché prima di partire per Hong Kong avevo una ragazza in Italia, da parecchio tempo, e stavo bene con lei quindi non avevo il desiderio di andar via.
«Questo è forse l’unico rimpianto che ho della mia vita, il fatto di aver sfruttato sì un’occasione importante, quella di poter lavorare in un ambiente stimolante come Hong Kong, ma di aver perso in questo modo qualcuno di altrettanto importante, perché purtroppo da quando sono qui non abbiamo più mantenuto i contatti.
«Ciò che mi dispiace ancora, a distanza di due anni e mezzo ormai, è che questa mia decisione non è stata accetta da lei. Se dovessi chiedermi cosa mi manca della mia vita passata la mia risposta sarebbe proprio lei, perché seppur adesso abbia raggiunto una buona posizione lavorativa, abbia fatto un sacco di viaggi (perché qui in Asia è facile ed economico), qualche volta ci penso.
«Ci sono le giornate in cui anche se sono a Tokyo, o a Kuala Lumpur, mi manca anche solo il mandarle un messaggio. Ecco, questo è un sassolino che sento dentro e che non riesco a togliere, ma se lei è felice così sono contento anche io per lei.»
Come sono stati i primi tempi ad Hong Kong? E come ti trovi invece adesso?
«Allora, sono qui da due anni e mezzo. Sono arrivato il primo novembre del 2015, era una domenica sera, sono atterrato alle 22 e alle 9 del lunedì ero già in ufficio, con il Jet lag, non capendo niente e con la stanchezza addosso anche perché in Italia avevo lavorato fino al venerdì, tre giorni prima, quindi non c’è stato un periodo di pausa in cui mi sono sistemato con calma.
«Sono atterrato ad Hong Kong con le mie tre valigie piangendo, te lo dico in maniera molto sincera, senza vergogna. Il volo l’ho fatto praticamente tutto piangendo. Caso vuole che in aeroporto a Malpensa c’era Monti quando stavo per prendere l’aereo, ed ho pensato a me che andavo via per scelta dall’Italia, ma anche a chi invece è dovuto andare via per costrizione e magari sarebbe potuto rimanere grazie a politiche più mirate ad aiutare chi ha bisogno. Non voglio dare colpa a qualcuno, questa riflessione non vuole essere accusatoria verso il sistema, bisogna rimboccarsi in ogni caso le maniche per migliorare il mondo, anche se a volte sembra che faccia schifo.
«Per quanto riguarda la mia prima impressione di Hong Kong, mi è sembrato un presepe, con le luci dei grattacieli accese perché era notte.
«Il primo mese qua ho perso 7 chili, non mangiavo ed ero triste sia a causa della rottura con la mia ragazza, sia per la mancanza della mia famiglia e dei miei amici. Non sono mai stato una persona grassa, quindi perder sette chili mi faceva star male anche fisicamente. Dopo un po’non ce la facevo più perché ero molto provato e non mi piaceva neanche tanto il lavoro che facevo in quel periodo. Ero il più giovane dell’azienda all’epoca e mi sentivo solo. Il lato positivo è stato che i week end, anche se me li passavo da solo, visitavo la città. Non so quanti musei io abbia visitato (che poi non mi piace neanche troppo veder così tanti musei!), potrei fare la guida turistica adesso, davvero, conosco più posti io che persone che abitano qui da una vita e magari sono arrivate avendo già contatti e quindi uscendo più in compagnia che visitando luoghi come ho fatto invece io.
«Il miglioramento della situazione è nato con una maggior conoscenza della lingua, l’inglese, che ho iniziato ad approfondire solo parlandola continuamente e studiandola. La casa di moda per cui lavoro mi è stata vicina, non lo dico per dovere nei loro confronti ma perché mi hanno davvero motivato a continuare e mi hanno fatto capire l’importanza di quello che stavo facendo nonostante fosse difficile. Ovviamente le cose belle sono quelle che ti guadagni, con il tempo e con i sacrifici. Arrivato a quel punto era giusto quindi che riuscissi a sfruttare quello per cui avevo lavorato fino ad allora.
«Ho cominciato a conoscere persone, esci con uno, passi una giornata con altri, inizi a fare network e allargare la cerchia di amici. L’aspetto che mi piace di più delle persone con cui ho creato un legame, è che siamo un gruppo internazionale. All’estero non è giusto circondarsi solo di italiani, come non apprezzo il fatto di andare a mangiare in ristoranti italiani, non perché non mi piaccia la cucina, sia chiaro, ma perché voglio sfruttare le diversità che mi si presentano ogni giorno.
«Adesso per esempio, trovare un momento per chiamare mia mamma nei week-end è difficile, perché un giorno sono in barca, quello dopo sono in spiaggia, un altro ancora su qualche montagna fuori dalla città, ho un compleanno, una festa d’addio o che ne so, è veramente difficile incastrare i tempi. E’cambiata radicalmente la situazione.»
Pensi di rimanere ad Hong Kong ancora per molto tempo o vorresti tornare in Italia?
«Allora, il primo problema del rimanere qui è la questione del visto lavorativo, perché c’è molta selezione a causa della grande richiesta. Per adesso però non ci sono grossi problemi, a me l’hanno rinnovato da poco per altri tre anni, scaduti i tre anni posso fare richiesta per rinnovarlo per altri due dopodiché rilasciano il visto permanente, e quindi non è più necessario fare visti.
«Diciamo che attualmente mi trovo bene qui, però considera anche che ho 27 anni. Per l’età che ho è giusto secondo me stare qua. Se decidessi di metter su famiglia sarebbe un po’dura, le scuole internazionali costano molto (il divario tra scuola pubblica e privata è davvero accentuato quindi è preferibile la scuola privata), inoltre qui gli affitti sono altissimi. Al momento infatti vivo in un appartamento di 50mq e pago 2.000 euro al mese.»
Ti sei mai sentito ostacolato in quanto straniero?
«No, c’è un grande apprezzamento degli italiani, in genere stanno sempre molto simpatici. L’Italia è conosciuta come un Paese affascinante, dove il cibo è buono.
«Però ti dico una curiosità, tutti i cinesi che conosco che hanno fatto un viaggio in Italia hanno subìto un furto. Ma sai perché? Qui c’è un grande rispetto delle persone, in metropolitana c’è la fila, giusto per farti un esempio, se arrivi all’ultimo aspetti che gli altri salgano, quindi non sono abituati al contesto italiano dove se metti il telefono nella tasca dietro dei pantaloni in metropolitana rischi che ti venga rubato.
«Tutti i miei amici cinesi mi dicono che l’Italia è molto bella ma che non è sicura. Oddio, Rovereto rappresenta una situazione diversa da quella delle grandi città, ma se penso ad Hong Kong che ha quasi 8 milioni di abitanti, è come dire Roma, Milano e Napoli messe assieme. Se prendiamo una qualsiasi di queste città, da nord a sud senza fare discriminazioni, effettivamente è vero, non sono il massimo della sicurezza. Ad Hong Kong invece se perdi il telefono per strada te lo riportano a casa.
«Qui non mi sento discriminato perché l’inglese lo parlano tutti, lo uso sul lavoro come fuori, la maggior parte delle persone sa la lingua. Se invece in una possibile situazione opposta un cinese arrivasse a Rovereto, lì forse si sentirebbe più discriminato credo, o quantomeno in difficoltà, perché l’italiano è una lingua difficile da imparare e se parli in inglese dal panettiere o al negozio non è così scontato che chi hai di fronte capisca.»
Ti faccio ancora una domanda, forse la più difficile. Con la consapevolezza di ora, cosa diresti all’Andrea di due anni e mezzo fa, appena arrivato ad Hong Kong?
«Il primo mese di sicuro gli direi di mangiare che perder sette chili è brutto [ride]. A parte gli scherzi, sicuramente di non mollare nonostante le difficoltà, perché se hai raggiunto un qualcosa che ti sei guadagnato e se hai ottenuto la fiducia delle persone, questa va in qualche modo ricompensata.
«Probabilmente sono ancora in debito con il brand per cui lavoro, con le persone all’interno della società che mi hanno dato fiducia, perché sono arrivato che non sapevo niente e in questi due anni e mezzo ho fatto grandi passi nel mondo lavorativo. Dal mio arrivo ad oggi ho sempre avuto, comunque, almeno dieci persone sotto di me. In Italia quanti ragazzi della mia età hanno una responsabilità del genere?!
«Ho avuto fortuna, forse più che bravura, però se sono ancora qua vuol dire che magari qualcosa di corretto l’ho fatto, quindi voglio sfruttare questo treno per continuare a seguire la rotta finché me lo potrò permettere. Il mondo del fashion è da un lato stimolante, ma anche molto stressante, il film Il diavolo veste Prada, è niente in confronto. Hong Kong è come un acceleratore, a 25 anni ero dall’altra parte del tavolo quando facevo le selezioni gli altri selezionavano me… dopo un anno ero già io che dovevo selezionare gli altri.»
La chiacchierata con Andrea mi ha aperto un po’ gli occhi. Anche se sono consapevole degli sforzi di chi vive e lavora all’estero, mi è sembrato che i suoi sacrifici siano stati ben più duri del normale. Eppure è ancora lì, non molla e anzi ha trovato la serenità.
Ad ogni sacrificio corrisponde quindi una giusta ricompensa fatta di felicità, mi piace pensarla così, e tu Andrea te la meriti tutta.
Astrid Panizza
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