Giovani in azione: Gabriele De Uffici – Di Astrid Panizza

La storia del giovane gestore del Rifugio Campei sul Monte Baldo: un sogno diventato realtà

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Gabriele De Uffici ha 30 anni e da questa stagione ha in carico il Rifugio Campei di Brentonico, a 1.470 metri di altitudine.
«Ho fatto la scuola alberghiera, ma a dirti la verità non l'ho mai finita – mi confida – perché ho preferito fare da subito esperienza sul campo.»
E così è stato: cameriere in diversi ristoranti da quando aveva 16 anni e fino all'anno scorso, dividendosi tra stagioni invernali in montagna e quelle estive al mare.
Questo, invece, è stato il suo primo anno (piuttosto burrascoso per via della pandemia) nel ruolo di gestore del rifugio Campei sul Monte Baldo, una stagione ormai quasi giunta al termine, visto che il rifugio rimarrà aperto tutti i giorni solo fino al 30 settembre prossimo.
Lungo poco più di cinque chilometri, il trekking non richiede particolare sforzo fisico, né presenta grandi dislivelli. Partendo dal Rifugio Graziani, ai piedi del Monte Altissimo, si raggiunge Campei in circa un’ora e mezza di facile cammino per un sentiero panoramico e con una splendida vista sulla valle.
 


Come sei arrivato a gestire il Rifugio Campei?
«È iniziato tutto per caso, perché qualche anno fa sono arrivato in bici al rifugio e mi sono letteralmente inamorato di questo posto così tranquillo. Da qui vedi un panorama pazzesco sulla Vallagarina, sulla Valle di Gresta e in lontananza sulle Dolomiti e trovarsi in mezzo alla natura è un sogno per me, soprattutto dopo aver fatto esperienze stagionali in luoghi molto affollati. Avevo bisogno di staccare, per cui, quando c'è stata l'occasione di prenderlo in gestione non ci ho pensato due volte e ho fatto il grande salto.
«All'inizio mi spaventava un po' questa nuova esperienza, ma con il tempo ci ho preso gusto e adesso qui mi sento a casa.»
 


Di cosa ti occupi nello specifico?
«Sia del rifugio, che della malga con gli animali. Devo controllare che le manze stiano bene e che i recinti siano a posto. Poi le conto tutte le mattine per assicurarmi che ci siano tutte e le sposto da recinto a recinto.
«Poi c'è il grosso lavoro del rifugista, ma per fortuna sono affiancato in questo da un cuoco e durante il week-end anche da alcuni familiari, personale che soprattutto nei periodi di alta stagione è stato fondamentale.
«Ho cominciato in giugno, sono stato tra i primi ad aprire il rifugio dopo il lockdown. All'inizio ci siamo organizzati con il take-away, poi piano piano con i tavoli all’esterno.»
 


Com'è stato cominciare in un anno così difficile come questo, in piena emergenza Covid-19?
«Beh devo ammettere, mi spaventava l'idea di cominciare in questo periodo, perché non sapevo cosa sarebbe potuto succedere. Ho notato da subito, però, un riscontro positivo da parte dei clienti che hanno sempre rispettato le distanze e il lavoro che abbiamo messo a disposizione.
«Non è stato facile lavorare con tutte le precauzioni, ma ce la siamo cavata egregiamente e sono convinto di poter proseguire su questa strada. Dal riscontro dei clienti, inoltre, mi sono accorto che ora la montagna è apprezzata forse ancora di più rispetto agli anni passati.
«Per quanto riguarda i prezzi dei piatti offerti, abbiamo preferito mantenerli più bassi rispetto al solito, nonostante i nostri prodotti siano di qualità eccellente e a chilometro zero, questo per invogliare la gente a consumare il pranzo da noi. Preferisco che le persone vengano qui perché apprezzano il nostro lavoro, piuttosto che puntare sul guadagno facile. Anche perché in un anno come questo, in cui è vero che per noi è stato difficile partire da zero, era necessario andare incontro anche alle esigenze e magari alle difficoltà dei nostri ospiti.
«Direi però che in un momento storico del genere non posso proprio lamentarmi, è andata fin troppo bene guardando indietro e pensando alla situazione in primavera.»
 


Hai scelto di dare la tua impronta «giovanile» al rifugio, rendendolo meta ambita da parecchi giovani grazie ai numerosi eventi che hai organizzato?
«Sì, sempre rispettando i protocolli anti-Covid, mi sono organizzato con cene vicino al fuoco, o collaborazioni con enti locali. Attraverso queste modalità nuove, ho percepito una risposta molto positiva anche da parte di numerosi giovani del luogo che hanno riscoperto (alcuni scoperto per la prima volta) un luogo come il Rifugio Campei, che essendo a mezza montagna è facile da raggiungere e non sempre è così frequentato come i rifugi sulle cime.»
 


Essere un rifugista è uno stile di vita, ti senti nel tuo elemento?
«Assolutamente sì, anche se in rifugio e in malga si lavora dalla mattina alla sera inoltrata e le ore e le fatiche non si contano.
«Non credere poi che i guadagni siano alti. Tuttavia, essere in mezzo alla natura, uscire e vedere il panorama che abbiamo qui di fronte non ha prezzo. Tutto ciò ripaga delle fatiche e dei sacrifici che si fanno.
«Insomma, per me essere qui al Rifugio Campei come gestore è un sogno, un sogno realizzato.»
 
Astrid Panizza - [email protected]
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