Filippo, che ama il Trentino – Di Maurizio Panizza
Il nome è italiano, il cognome è cinese. Il cuore, però, batte per entrambi i «suoi» Paesi: quello di nascita, dove torna ogni anno, e quello di adozione
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«Plego, avanti pel favole.»
Trattengo a stento di sorridere nel sentir parlare in questo modo il distinto signore di 55 anni che ho davanti.
Del resto - penso - non è che da una persona dell’Estremo Oriente ci si possa aspettare una perfetta pronuncia in italiano, no? Sorride anche lui sornione (mi legge forse nel pensiero?), mentre mi fa accomodare con modi estremamente gentili nel suo ufficio.
Siamo a Rovereto, in un enorme magazzino in zona industriale e Filippo Xia è un cinese fuori dal comune, uno, come si diceva una volta, che si è fatto da solo, un personaggio, insomma, che merita di essere intervistato per raccontare ai lettori la sua storia.
Filippo è lieve e misurato nelle parole, sembra addirittura dimostrare una certa ritrosia nei miei confronti. In realtà, mi rendo conto che il suo è un particolare senso di discrezione e di riservatezza, un mix tipico, da quanto ricordo, proprio dei cittadini cinesi.
Un segnale, questa sua timidezza, che temo possa pregiudicare il nostro colloquio che come tutte le interviste richiede, invece, di poter contare su di una specie di «nulla osta» delle emozioni per poter scoprire al meglio il personaggio intervistato. Ma mi sbaglio, non è così.
Filippo (il suo nome cinese è Rong Hua) mi racconta tranquillamente di essere nato in un piccolo villaggio del nord della Cina che si affaccia sul Mar Giallo, alla stessa latitudine della Corea del Sud distante in linea d’aria all’incirca 2mila chilometri.
Pochi, tutto sommato, se pensiamo che fra il suo Paese e il nostro ne intercorrono, invece, quasi novemila. Come a dire, un altro mondo.
La sua famiglia era composta dai genitori e da tre figli, due maschi e una femmina.
Lui, il secondo in ordine d’età, è stato l’unico in casa a poter studiare e a diplomarsi in una branca della medicina cinese e anche uno dei pochi ragazzi fortunati del villaggio a poter proseguire gli studi superiori.
Filippo mentre mostra in Google Earth il suo paese d'origine.
«Del resto – racconta Filippo – non posso dire che la mia famiglia stesse male economicamente, così come in generale nessuno, per la verità, a quell’epoca.
«Per tutti c’era un lavoro, anche se il reddito non era certamente da ricchi. Mio padre, ad esempio, faceva il pasticciere in casa, era molto bravo e aveva una discreta clientela, per cui, forse, noi stavamo un po’ meglio degli altri.»
L’epoca di cui parla Xia è quella della Cina comunista di Mao Tse-tung, il «grande timoniere» della Rivoluzione cinese, quello che fra alterne vicende governerà per tre lunghi decenni l’enorme Paese asiatico.
In nostro Filippo, però, nonostante il relativo benessere di cui godeva la sua famiglia, nel 1997 - poco più che trentenne - decide di partire per l’Europa, più per una sfida personale che per una vera e propria necessità.
È così che come tappa iniziale approda a Rotterdam, una grande città portuale del nord Europa, la seconda dell’Olanda, dove si sono stabiliti già da qualche anno dei parenti che vivono all’interno della numerosa comunità cinese.
Lì, inizia subito a lavorare nella cucina di un noto ristorante (cinese, ovviamente) fermandosi per otto anni. Nel 2005, sempre grazie a dei contatti di connazionali in loco, arriva quindi in Italia, in provincia di Teramo.
Si sposta poi per tre mesi a Napoli, dove frequenta un corso di italiano per imparare una lingua fino a quel momento a lui sconosciuta. In seguito, sempre seguendo le tracce di altri suoi amici, sale al Nord, e si stabilisce a San Bonifacio, nel veronese, dove poco tempo dopo, con i risparmi messi da parte in Olanda, apre il suo primo Bazar, «Un piccolo Bazar – sottolinea Filippo – a conduzione familiare».
Filippo il giorno della sua donazione alle Case di Riposo di Rovereto.
In effetti, nel frattempo, Xia si è sposato e ha avuto due figlie: una, che oggi ha 26 anni la quale l’ha già reso nonno, e un’altra, di 23, che sta studiando Economia e Statistica all’Università di Milano-Bicocca.
Ma il viaggio non è finito. La tappa successiva, quella che l’ha portato a Rovereto, il nostro la compie non molto tempo dopo, aprendo in via Abetone un altro «Super Bazar», il primo in assoluto in città.
Dopo di lui arriveranno altri cinesi, ma sarà lui a farsi ricordare per lungo tempo dalla cittadinanza, e non solo per il Bazar.
In effetti, pochi anni dopo, Filippo Xia sale agli onori delle cronache locali per un avvenimento del tutto inconsueto, perlomeno per un cittadino straniero.
Il fatto lo racconta nel dettaglio il giornale L’Adige del 22 dicembre 2014 con un titolo a mezza pagina: «Il cinese Filippo che ama Rovereto».
Ma cosa era accaduto a dimostrazione di tanto affetto per la città? Ce lo spiega subito dopo l’occhiello dell’articolo: «Donazione per gli anziani delle Rsa Vannetti e Borgo Sacco».
È lui stesso a mostrarci il ritaglio di giornale orgoglioso e ancora stupito per quel clamore suscitato, come scrive il giornale, dalla donazione di una «somma importante» alle due Case di riposo per anziani.
Ancora adesso dalle parole di Filippo emerge un profondo legame con la comunità che lo ha accolto e fatto sentire come a casa sua fin dall'inizio, alleggerendo le difficoltà insite, come è normale, in ogni progetto di integrazione.
Rileggo ad alta voce l’articolo mentre lui ascolta: «Filippo con il suo sorriso disarmante ha voluto ringraziare Rovereto e per lasciare un segno tangibile della sua riconoscenza ha scelto un gesto di solidarietà a favore degli anziani non autosufficienti di quella che lui definisce la sua città, la città in cui vorrebbe invecchiare e veder crescere i suoi figli e i suoi nipoti».
Lui, l’imprenditore cinese di Rovereto, conferma con il capo e mi sorride ancora.
Poi mi dice: «Qui mi sento a casa mia. Se ne ho la possibilità, perché mai non dovrei condividere qualcosa con i miei concittadini?»
In effetti il ragionamento non fa una grinza. Semmai ciò che può suscitare meraviglia è il fatto che colui che parla e che fa seguire i fatti (anche con altre donazioni meno pubbliche della prima) non è un italiano, né tanto meno un trentino d.o.c.
È semplicemente un immigrato giunto da un lontano Paese che fino a non molti decenni fa noi italiani guardavamo con distaccata superiorità e che conoscevamo solo grazie ai racconti di un viaggiatore di nome Marco Polo.
Così, osservando Filippo mentre mi avvio verso l’uscita, penso che a volte sono proprio queste cose, molto più di altre spettacolari imprese della vita, quelle che riescono a lasciarci senza parole.
Esco dalla porta del capannone.
«Grazie, Filippo, per l’intervista e per tutto quello che mi hai trasmesso.»
«Plego», – risponde con quel suo modo singolare di parlare l’italiano.
Poi mi saluta con un sorriso, mi allunga la mano e me la stringe forte. Vedo che mi segue con lo sguardo mentre raggiungo la mia auto. Entro e metto in moto.
Lui è ancora lì, sulla porta: mi fa un cenno alzando la mano e da lontano mi sorride ancora.
Maurizio Panizza