Cent'anni fa gli eserciti italiano e austriaco presero contatto

I primi scontri a fuoco per assestare la linea del fuoco in attesa della prima Battaglia sull’Isonzo

Foto archivio Grande Guerra Euregio.
 
Appena dichiarata la guerra tra Italia e Austria, la notte stessa del 24 maggio scoppiano le prime ostilità da entrambe le parti.
Le avanguardie delle quattro armate italiane si erano messe in marcia per abbattere ovunque i pali gialli e neri sormontati dall’Aquila Bicipite che segnavano il confine, che la stampa italiana definiva «iniquo».
La guerra veniva così portata subito dall’Italia sul territorio nemico.
Da parte loro, le truppe austro ungariche erano risolute a restare sulla difensiva e pertanto, dallo Stelvio al golfo di Trieste si erano ritirate per assestarsi nelle posizioni più opportune.
Vista la facilità con cui le avanguardie avevano occupato i territori abbandonati del nemico, Cadorna impartì l’ordine di imprimere maggior vigore a queste iniziative locali, pensando di avere colto alla sprovvista il nemico.
Il suo obbiettivo rimaneva la progettazione strategica della prima Battaglia dell’Isonzo, ma sapeva quanto fosse positivo per i suoi soldati e per i Paese leggere bollettini favorevoli.
Purtroppo però, si trattava di iniziative spontanee, fatte senza la minima cognizione di causa. Cioè i singoli comandanti di piccole unità operative avanzavano finché non trovavano resistenza insormontabile da parte degli austriaci.
Il fatto era che il servizio informazioni dell’Esercito non aveva fatto tempo ad attivare spie dietro le linee, di conseguenza gli alti comandi non sapevano che ordini impartire. D’altra parte, avvalersi dei fuorusciti irredenti era un po’ presto e, con ogni probabilità, conoscevano bene il territorio ma non la dislocazione delle truppe.
Merita però sapere come andarono le cose nei 600 km di fronte italo austriaco in quella prima fase di assestamento.
 

Forte Strino (Vermiglio) - Trentinograndeguerra.it.
 
La Prima Armata, distesa dallo Stelvio alla Croda Grande (Cadore), aveva lasciato mano libera agli alpini dell’ala sinistra della 5ª divisione (Tonale), e alla Brigata Mantova (Monte Baldo) comandata dal Generale Cantore, ujnico ufficiale generale a prendere parte a queste operaizioni e destinato a diventare un personaggio leggendario.
Sul Tonale, gli alpini occuparono subito la Forcella del Mentozzo e Ponte Caffaro, mentre allo sbocco del Chiese i Fanti della Sesta divisione riuscirono a portarsi a Vestino.
A sud, il generale Cantore conquistò l’Altissimo e il Monte Baldo, prendendo possesso degli alloggiamenti e del materiale abbandonato dagli austriaci, che erano stati presi alla sprovvista.
L’ala destra della brigata, operante sulla sinistra del fiume Adige, occupava il Pasubio, il Baffelan e Monte Corno di Vallarsa. Altri reparti risalivano la Valsugana, giungendo in vista di Borgo, mentre nella valle del Cismon le colonne in marcia arrivarono quasi a Fiera di Primiero.
Sugli altipiani di Lavarone e Asiago, i rispettivi forti austriaci e italiani avevano aperto il fuoco allo scoccare della guerra. Per conoscere meglio questa pagina di guerra, consigliamo di leggere il libro di Fritz Weber intitolato «tappe della disfatta», nella cui prima parte l’autore descrive i mesi di combattimento sostenuti dai forti che si sono bombardati tra loro senza risparmiare colpi.
Francamente oggi risulta inspiegabile per quale motivo i forti si siano presi a cannonate, quando invece erano stati eretti solo per impedire al nemico l’avanzata. Fatto sta che morirono inutilmente migliaia di soldati e centinaia di civili. Tra questi, ricordiamo che la prima vittima femminile della guerra Italo-Austriaca fu una ragazzina di 16 anni, Berta Zatta Nicolussi, colpita da una cannonata mentre si trovava pacificamente a Luserna.
Le cannonate comunque danneggiarono in maniera pesante sia i forti da una parte che quelli dall’altra. Quello austriaco di Luserna arrivò ad arrendersi, anche se poi i soldati asserragliati nel forte rifiutarono la resa e riuscirono a mantenere le posizioni nonostante il forte fosse ridotto a un cumulo do macerie.
Stessa fine accadde al forte Verena, italiano, ridotto alle sole mura. Non si arresero perché gli austriaci – almeno in quel momento – non avevano alcuna intenzione di attaccare. Però morino migliaia di soldati italiani che erano stati mossi per portarsi a ridosso dei forti nemici.
Danni notevoli furono subiti dai forti austriaci di Busa, Spitz e Verle.
 

Pilcante oggi - Wikipedia.
 
Il 27 maggio il generale Cantore scendeva a Peri, quindi - con il concorso della Guardia di Finanza e delle batterie da campagna - sferrava una poderosa avanzata verso Ala.
Gli austriaci si erano trincerati a Pilcante, dove opposero una strenua resistenza.
Il combattimento, iniziato a mezzogiorno, durò fino a sera e si concluse con la ritirata degli austriaci. Le truppe italiane, vittoriose in quel primo scontro entrarono in «Ala redenta, che accolse con entusiasmo i liberatori». Questo si legge almeno nel bollettino ufficiale italiano.
Già che c’era, Cantore proseguì la marcia e si arrampicò sulle pendici delle montagne sulla sinistra Adige, occupando lo Zugna.
 
Sensibili anche i successi in Valsugana, dove le truppe giunsero a Ospedaletto e stabilirono dei capisaldi a Cima Caldiera e a Cima Rava.
Ne settore Cadorino gli austriaci si ritirarono poco. Il IX Corpo d’armata poté impadronirsi di tutti i transiti lungo il confine, mentre il I Corpo occupava la conca di Cortina d’Ampezzo e il passo Tre Croci.
Ma ben presto le avanguardie cozzarono contro gli sbarramenti avversari. Tentarono di forzarli, ma non ci fu nulla da fare.
Conrad aveva disposto una linea di difesa attiva sul cadorino, il che faceva pensare a suoi probabili progetti in quel settore.
 

 
Nel settore dell’Alto Isonzo, la dichiarazione di guerra aveva fatto muovere l’intera Seconda Armata, comandata come abbiamo visto dal generale Frugoni.
Già il primo balzo portava i battaglioni a occupare la stretta di Saga e il monte Stol.
Risalendo il Natisone, altri reparti giunsero a Caporetto. Insomma, cadeva nelle mani italiane la displuviale fra lo Iudrio e l’Isonzo, portando all’Italia tutte le alture del fiume più tragico di tutta la guerra.
Il 25 e il 26 maggio la Seconda Armata passava l’Isonzo e cominciava a risalire le irte pendici del Monte Nero. Ma lì gli alpini trovarono gli austriaci ad attenderli.
 
La Terza Armata, comandata dal Duca D’Aosta, si stendeva nel tratto pianeggiante e collinoso della parte orientale del fronte.
Come abbiamo detto, solo la III Armata aveva alcune divisioni di cavalleria proprio perché era l’unica ad avere il terreno favorevole. La Prima divisione di cavalleria, comandata dal generale Pirozzi, e un gruppo misto comandato dal generale Vercellona, furono mandate in avanscoperta.
La cavalleria era formata da soldati a cavallo e a bordo di autoblindo, ma in tutti i casi erano dotati di armamenti leggeri.
Vercellona puntò su Cervignano e procedette sul basso Isonzo. Gli austriaci avevano distrutto i ponti di Pieris e di Sagrado, quindi dovettero attendere che venissero gettati i ponti militari. E si arrivò a giugno inoltrato.
Il 9 giugno le truppe della 13ª Divisione occuparono Monfalcone. L’11 la 21ª Divisione si consolidava a Gradisca. Infine la 14ª Divisione si impadronì delle prime abitazioni di Ronchi e la 19ª si stendeva tra Redipuglia e Fogliano.
Da notare che già il 24 maggio il generale Pirozzi aveva avuto l’opportunità di attraversare l’Isonzo grazie a due ponti non distrutti dal nemico nei pressi di Gorizia, uno dei quali serviva la ferrovia Udine-Trieste.
Temendo che fossero minati, il generale indugiò troppo e alla fine rimase di qua. E così gli austriaci ebbero il tempo di rinforzare Gorizia: per loro era una questione di prestigio.
 

 
Dinanzi ai battaglioni italiani si ergeva ora l’altipiano Carsico, ben fortificato da Boroevic.
La prima linea italiana si attestava da nord a sud dal Monte Santo, a Tolmino e San Michele.
La seconda linea, distante dalla prima da uno a cinque chilometri, correva dal San Gabriele, il san Marco, il san Grado e il Faiti.
Insomma, il dispositivo messo in piedi da Cadorna aveva due obbiettivi, quello di essere pronti ad avanzare nel caso di sfondamento sul Carso o sulla Bainsizza, e quello di resistere nel caso di attacco nemico.
Come sappiamo, gli austriaci avevano disposizioni di resistere. Quindi si erano trincerati a mezzacosta al di là dell’Isonzo, stendendo migliaia e migliaia di metri di filo spinato.
I reticolati furono la prima amara e terribile sorpresa peri soldati della Seconda e Terza Armata. Gli attacchi d’impeto si fermarono in attesa di decisioni dall’alto.
Insomma, la fase di assestamento si era conclusa, così come si era completata la mobilitazione italiana.
Cadorna stava lavorando sulla strategia della prima Battaglia dell’Isonzo, che era stata programmata per il 23 giugno 1915.
 
G. de Mozzi
 
Fine della fase di assestamento – Si riprende con la Prima battaglia sull’Isonzo.