Le cartoline di Bruno Lucchi: Iglesias, Sulcis Sardegna

Mi sorgono pensieri nostalgici. Quant'è cambiata la Sardegna! O sono cambiato io?

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 Iglesias ieri, oggi e tanta nostalgia 
La mia prima volta ad Iglesias è stata più di quaranta anni fa.
I genitori di Graziella vivevano lì, dopo il trasferimento da Solarussa dov'era nato il padre.
Da allora, durante le nostre vacanze in Sardegna, siamo sempre tornati a fargli visita.
Abitudine che teniamo viva ancor oggi per ritrovare i fratelli rimasti.
 
Quanto è cambiata la Sardegna! O, forse, sono cambiato io?
Mi ritrovo a fare pensieri nostalgici. La Sardegna, per me, è - e sarà - una terra straordinaria.
Mi sono promesso di cercare, nelle diapositive dimenticate in qualche cassetto, gli stessi luoghi visitati allora. Erano posti, per me che arrivavo dal Trentino, straordinariamente belli, diversi. Purtroppo, alcune di quelle meravigliose realtà si sono perse nel tempo, per sempre.
Luoghi caratteristici trasformati in attrazioni turistiche, mete di milioni di viaggiatori.
Non voglio parlare della Costa Smeralda, parco turistico dove ormai di sardo è rimasto solo qualche nome di spiaggia o di ristorante, ma della Sardegna del Sud che, per ora, è riuscita a mantenere la propria identità.
 
Proprio oggi sono andato al mercato di Iglesias: pesce e verdura per il pranzo.
Il mercato, assieme alla piazza, è sempre stato il luogo di ritrovo, di scambi commerciali, di cultura. Il mercato rispecchiava il volto di una città.
Oggi non più. Super e iper-mercati hanno soffocato il commercio tradizionale.
Resiste solo qualche bancarella di verdura, pesce e carne nonostante sorriso, cura e attenzione al prodotto esposto, consigli per come cucinarlo, parole scambiate capaci di illuminare la giornata, siano compresi nel prezzo.
 
Per me del Continente il mercato era quello settimanale. Il martedì i furgoncini occupavano la via centrale del paese. Sulle bancarelle veniva esposto di tutto, dal cibo ai vestiti.
I mercati di Oristano e di Iglesias, allora, erano come la Boqueria di Barcellona che ho avuto la fortuna di visitare anni fa, quando era un altro mondo.
Tanti piccoli stands allineati creavano un percorso ben organizzato, dove era semplice trovare il reparto delle verdure, delle carni e della pasta fresca con dolci e pane, a Oristano il reparto del pesce è in un locale a parte, come pure quello dei piccoli produttori agricoli che vendono i propri prodotti a Km zero.
 

I mercanti facevano a gara nel costruire piramidi di merce, accostando forme e colori per attrarre i clienti e, se non bastava, si esibivano in performance canore, più o meno apprezzate, che calamitavano l'attenzione di possibili acquirenti distratti.
Certo ben diversa l'architettura del famoso mercato spagnolo, soprattutto se paragonato con quello di Iglesias. La palazzina del periodo fascista è decisamente più piccola, lineare nel suo stile neo-classico, ma lo spirito e il metodo di vendita è lo stesso.
In Spagna, con l’apertura di caffetterie o tavole calde con «cibo e bevande tipiche», quell'atmosfera l'hanno intelligentemente mantenuta; è il motivo che ha permesso di conservare la clientela e, soprattutto, far diventare il mercato una meta turistica obbligata per chi visita la città.
 
Mi rendo conto di quanto tempo è passato e quanto le cose siano cambiate, ma il pensiero che le nuove generazioni abbiano perso il fascino di questa fotografia di vita passata mi rattrista.
Riprenderò l'argomento nostalgia, lo prometto.
Spero di trovare il tempo di rimettere in uso il vecchio proiettore e riprendere in mano i contenitori del mio archivio fotografico, dove riposano da troppo tempo diapositive di sagre, lavori artigianali e agricoli, storie di vita dimenticate.
Il digitale ha certamente facilitato la documentazione e l'archiviazione; ma non sono così sicuro sulla sicurezza nella conservazione.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bruno Lucchi
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