Cartoline di Bruno Lucchi: Tonnara di Su Pranu a Portoscuso

Come se il tempo si fosse fermato dal momento in cui la stessa aveva cessato di avere senso di esistere

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Finalmente il sole comincia a scaldare la terra e le giornate si allungano.
È stato un inverno mite. Da quando ho smesso di praticare gli sport invernali non amo più molto questa stagione.
Questa primavera strana, anomala, fa venir voglia di caldo, di estate e di vacanze.
Certo, colpa anche dei lavori al Molo51 che ci stanno impegnando molto, sono più di tre anni che non andiamo in Sardegna (terra che ha dato i natali a Graziella) e ci manca, e parecchio.
Per questa ragione ho cominciato a rovistare nelle foto fatte in passato e mi ritrovo la cartella del museo archeologico di Cagliari con le immagini di una vacanza di qualche anno fa sulla costa del Sulcis di fronte all’isola di San Pietro, fra queste le foto della Tonnara di Su Pranu a Portoscuso.
 
Quello che colpisce è la grandezza del sito e la natura che cerca di riprendersi lo spazio che nella seconda metà del XVI secolo, dopo i numerosi avvistamenti di tonno rosso, il commerciante cagliaritano Pietro Porta ottenne dal viceré spagnolo l’autorizzazione per impiantare le prime strutture dedicate alla pesca del tonno a Su Pranu, il pianoro attorno al quale nel corso dei secoli i pescatori hanno edificato le abitazioni che hanno formato la cittadina di Portoscuso.
Bellissime le strutture che servivano ad ospitare le imbarcazioni lunghe da 9 a 13 metri con il fondo quasi piatto indispensabili per la mattanza del tonno. Questo tipo di pesca, da anni in via di estinzione per via della pesca industriale fatta da imbarcazioni moderne che con le attrezzature elettroniche intercettano i tonni ancora prima che si avvicinino alle zone costiere.
 
I tonnarotti, così si chiamavano i lavoratori che in aprile postavano in mare 4 o 5 km di reti che formavano le varie «camere», e con la loro disposizione portavano i tonni ad addentrarsi nelle zone più interne fino alla camera della morte.
Un mese dopo il Rais, il capo che dirigeva la battuta di pesca, guidava le barche costruite appositamente per questo scopo e dopo aver accerchiato la camera della morte, iniziavano a tirare le reti costringendo i tonni ad affiorare in modo da poter essere arpionati e tirati nelle barche per poi essere portati nella tonnara dove venivano lavorati e inscatolati per la conservazione e commercializzazione.
 
Assieme alle tonnare siciliane quelle sarde di Sant’Antioco, Portoscuso, Porto Paglia, Carloforte, Stintino sono state le più floride e importanti tonnare del Mediterraneo.
In questi luoghi traspare ancora oggi il forte legame con il mare, la pesca e le antiche tradizioni religiose.
Qualche pescatore anziano racconta gli anni di questo tipo di pesca che oggi verrebbe vista con orrore, ma che negli anni ha portato lavoro e benessere.
Oggi fortunatamente sostituita dal turismo e della bellezza delle coste e dai siti di archeologia industriale come questo.

Ricordo ancora il giorno degli scatti; mi ha particolarmente colpito l’immobilità della struttura.
Come se il tempo si fosse fermato dal momento in cui la stessa aveva cessato di avere senso di esistere. Il mare la accarezza dolcemente, una barca ammarata che le fa compagnia.
Mi ha fatto pensare a tutte le persone che con grande fatica fisica ci lavoravano.
La Sardegna di allora era un’altra Sardegna, come lo era la vita qua in Trentino.
Molto più dura, forse però con un amore molto più intenso per le cose che venivano fatte perché indispensabili per la vita stessa.
 
Bruno Lucchi





























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